Cultura

Nelle sale “12 anni schiavo” con il patrocinio di Amnesty

Il film, candidato a 9 premi Oscar, arriva in Italia il 20 febbraio con il patrocinio di Amnesty International. L'organizzazioni ricorda che la storia di schiavitù raccontata si collega a quella di tanti anche nel XXI secolo

di Antonietta Nembri

Candidato a 9 premi Oscar “12 anni schiavo” di Steve McQueen, arriva in Italia il 20 febbraio. E per la sua uscita nelle sale italiane il film (distribuito da Bim distribuzione) che racconta la storia vera di Solomon Northup ha il patrocinio di Amnesty International. E non è un caso. Per un’organizzazione come Amnesty che si occupa di diritti umani la vicenda di un uomo che dopo aver vissuto da uomo libero nello Stato di New York fino al 1841 si ritrova schiavo in Lousiana, si collega a quella di tanti uomini e tante donne il cui lavoro è sfruttato in condizioni estreme anche oggi nel XXI secolo.

Ripercorrere la vicenda di Solomon Northup, tratta dalla sua autobiografia che a metà dell’Ottocento rivelò i retroscena dello schiavismo un decennio prima dello scoppio della guerra di secessione, è un modo per riflettere su una condizione di vita che anche oggi in troppi vivono e che Amnesty International non manca di richiamare. La schiavitù, purtroppo, non è una storia del passato. Basti pensare che in Mauritania, ultimo paese al mondo ad aver abolito per legge la schiavitù nel 1981, la pratica persiste: si stima – ricorda Amnesty – che il 20% della popolazione (in particolare il gruppo etnico harratin) sia asservito totalmente o parzialmente. Mentre le organizzazioni anti-schiavitù vengono perseguitate dalle autorità e i loro leader vengono spesso imprigionati.

Amnesty International, in una nota,  denuncia anche il fatto che in diversi Paesi dell’Asia meridionale milioni di persone, bambini inclusi, sono costretti a lavorare per pagare debiti di famiglia, spesso in condizioni di estremo pericolo e in pieghi usuranti. A Hong Kong, migliaia di donne indonesiane – vittime del traffico degli esseri umani –  lavorano in condizioni di sfruttamento o vera e propria schiavitù come collaboratrici domestiche. Sono sottoposte a orari massacranti, sottopagate, vittime di violenza sessuale e impossibilitate a uscire dall’abitazione in cui prestano servizio.

Nel corso delle sue ricerche in Qatar – dove risiedono 1.400.000 lavoratori migranti, quasi tutti provenienti dall’Asia meridionale e sudorientale attirati nel paese del Golfo dalla richiesta di manodopera per l’organizzazione dei campionati mondiali di calcio del 2022 –  Amnesty International ha riscontrato assenza di controlli sulla sicurezza; mancato pagamento dei salari; condizioni abitative sconcertanti; turni di lavoro di 12 ore al giorno per sette giorni alla settimana, anche durante il torrido periodo estivo; i crudeli effetti del sistema dello “sponsor” – che impedisce ai lavoratori migranti di lasciare il paese o di cambiare impiego senza il permesso del loro datore di lavoro -; lavoratori costretti di fronte a funzionari del governo a dichiarare falsamente di aver ricevuto il salario per riavere indietro i passaporti e poter così lasciare il paese.
Di fronte a debiti crescenti e impossibilitati a sostenere economicamente le famiglie a casa – denuncia Amnesty – , molti lavoratori migranti maturano gravi disturbi psicologici e in alcuni casi arrivano sull’orlo del suicidio. Gli standard emanati dal governo l’11 febbraio scorso, «ammesso che saranno applicati, riguarderanno una piccola parte dei lavoratori migranti, ossia quelli impiegati nella costruzione degli impianti sportivi» rimarca l’organizzazione per i diritti umani. (qui l’appello di Amnesty contro lo sfruttamento dei migranti in Qatar)

Nelle ricerche di Amnesty International rientra anche il nostro Paese, in particolare le ricerche effettuate sul settore agricolo hanno evidenziato «una situazione assai preoccupanti». A fine 2012, infatti, ricorda una nota dell’organizzazione, Amnesty «ha denunciato gravi forme di sfruttamento dei lavoratori migranti provenienti dall'Africa subsahariana, dall'Africa del Nord e dall'Asia, impiegati in lavori poco qualificati, spesso stagionali o temporanei, per lo più nel settore agricolo delle province di Latina e Caserta. Essi ricevono paghe inferiori di circa il 40%, a parità di lavoro, rispetto al salario italiano minimo e lavorano un maggior numero di ore». A complicare la loro situazione secondo Amnesty anche l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale che ha impedito a molti lavoratori migranti di chiedere giustizia per la prospettiva di essere arrestati o espulsi in quanto irregolari in caso di denuncia. (qui un approfondimento sulle richieste per i diritti umani in Italia)
 


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