Welfare
Nelle periferie serpeggia la disperazione, non il razzismo
Lidia Borzì, presidente delle Acli di Roma si appella alle istituzioni «La situazione è delicata. È il metro di un malessere sociale che serpeggia e che sfocia in una tragica guerra tra poveri. La politica, ma anche i media e la società civile tutta, devono muoversi e farlo concretamente»
Quello che succede a Roma in Tor Sapienza, dove il quartiere per giorni ha preso d'assedio un centro per rifugiati in via Morandi, è solo uno dei focolai di tensione che si registrano in queste settimana in Italia. Da Carrara, con l'assalto al comune, agli scontri di via Larga a Milano, da Bologna con l'aggressione a Salvini, alle proteste in Liguria e Nord Est per le inondazioni, lo scontento sta dilagando e spesso si trasforma in violenza. Che poi sui giornali è bollata come razzismo. In prima linea a Roma c'è Lidia Borzì, presidente delle Acli locali. Con lei abbiamo fatto il punto della situazione.
Quel è il quadro della situazione?
È ancora molto delicata. Quello che succede qui a Roma è il metro di un malessere sociale che serpeggia in tutte le città da un po' di tempo. L'esito è spesso la guerra tra poveri.
C'è una miccia che ha fatto detonare questo disagio?
Bisogna stare attenti ai tagli nel sociale, noi lo diciamo da tempo. Siamo nel mezzo di una crisi che non è solo economica, ma anche valorire, di rapporti e umana. Ormai i problemi della quotidianità sono sempre più pressanti, le famiglie sono al limite. Anziani, disabili, migranti non hanno lavoro e di che sfamarsi
Siamo all'inizio di qualcosa o all'apice del problema?
Si tratta della punta dell'iceberg. È solo l'emergere in superficie di problemi molto più seri e più profondi. C'è ormai una disperazione che porta a reazioni violente. Disperazione che non trova più risposte e interlocutori. Bisogna riallestire tavoli di reciprocità. La società civile si sta impegnando e lo farà ancor di più nel futuro. Ma le istituzioni devono essere presenti. Proporre risposte concrete, reali.
Spesso questi fatti contrappongono italiani e migranti. E sui giornali si parla di allarme razzismo. È così?
Non si può ridurre tutto questo sotto la definizione di razzismo. Non è così. Faccio un esempio: Acli sta lottando contro il taglio dei Patronati. È uno di quei presidi territoriali di prossimità che aiuta ad evitare che gli esclusi e i disagiati rimangano abbandonati e dimenticati. Se le persone ricevono risposte sono più disponibili a ragionare. Ma non basta
Perché?
C'è un problema culturale. In Italia viviamo della cultura delle paura. Fa molto notizia tutto ciò che è noir e che fa scandalo. Le cose buone e che funzionano invece non interessano. Questo alimenta la tensione, perché dà alle persone la sensazione che sia tutto perso, senza speranza. Bisogna cambiare, tutti. Basta con il populismo. Torniamo a guardarci in faccia
Vi siete appellati anche a Papa Francesco. Perché?
Perché è il nostro vescovo. Abbiamo bisogno del suo aiuto per promuovere la centralità e la dignità della persona
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