Salute
Nella terra dei veleni
Napoli, un anno dopo. Arriva l'appello dell'associazione Terra dei Fuochi perchè Roma intervenga. Andando a rileggere un reportage del novembre 2012 si scopre che nulla è cambiato. Anzi...
«Le province di Napoli e Caserta tornano alla ribalta delle cronache con la quesitone dei rifiuti». Così cominciava un reportage del mensile Vita del novembre 2012 (“Nella terra dei veleni” di Luciana Passaro). E con la stessa frase si potrebbe cominciare oggi nel parlare di Campania.
«Secondo rapporti ufficiali dei VV.FF lo scorso anno sono stati documentati e censiti circa 3.500 incendi di rifiuti speciali nelle sole province di Napoli e Caserta. Centinaia al mese sono stati i roghi di materiale tossico e nocivo, i quali continuano incessanti a tutt'oggi con gravi rischi per la salute, l'immagine e l'economia della regione Campania e dell'Italia». Con questo riassunto il presidente dell'associzione Terra dei Fuochi, Angelo Ferrillo, ha introdotto il suo appello ai Ministri della Salute, dell'Interno, della Giustizia e dell'Ambiente.
«Noi semplici cittadini, domandiamo loro. Se il fumo di sigaretta anche passivo è accertata causa del cancro, cosa provoca quello di copertoni misto amianto e rifiuti speciali di ogni genere? Di questo dovrebbe rispondere il Ministro della Salute e le altre Istituzioni competenti per la sicurezza, la giustizia e l'ambiente. Dunque non ascoltino persone stolte che per ignoranza o malafede stanno ancora appresso agli studi e al nesso di causalità. Studi e relazioni sono utilissimi, ci mancherebbe, ma in questo preciso istante rischiano di esser “funzionali” a chi vorrebbe buttarla in “politichese” e perdere altro tempo prezioso.
Davanti a rifiuti speciali dati alle fiamme quotidianamente e in modo sistematico, non c'è alcuna evidenza scientifica da ricercare o dimostrare. Urge solo la necessità di intervenire in modo straordinario, concreto e repentino. Pertanto, noi chiediamo che si fermino roghi tossici e scarichi illegali di rifiuti speciali con ogni mezzo e risorsa dello Stato, il prima possibile, con misure ad effetto immediato a carattere di straordinarietà e urgenza».
Intervenire in modo straordinario, concreto e repentino scrive Ferrillo. Proprio il reportage di Vita sottolineava un tipo di intervento simile. Ma a metterlo in campo non sono le sitituzioni, né locali né nazionali, ma un prete, solo. Ecco la sua storia:
Nuvole dense di fumo nero dal sapore acre e pungente, roghi appiccati infiammando pneumatici a ridosso di frutteti e abitazioni, rifiuti sversati illegalmente in zone dove vige il rigoroso divieto di scarico… la lista delle omissioni è lunga e procede verso una sola direzione chiamata morte. Sì, perché in questi territori che appartengono a “Gomorra”, la tesi di un vero e proprio genocidio di innocenti è ogni giorno più evidente. Un tempo queste terre erano già note come “Triangolo della morte” a causa delle continue faide tra i clan camorristici per accaparrarsi il controllo del territorio. L’appellativo fino a qualche anno fa circoscriveva le zone tra Acerra, Marigliano e Nola, ora il perimetro si è allargato anche ad altri comuni, sicchè verrebbe da parlare di poliedrici confini nel braccio della morte. Le zone in cui si verificano più roghi tossici, sono, paradossalmente, aree de-industrializzate. In queste campagne, un tempo fertili e note per la bontà dei prodotti agricoli coltivati, per trent'anni camorra e politica corrotta hanno scaricato i rifiuti provenienti dal Nord Italia.
Gli esperti. Un boom di tumori
Le cifre elaborate dall’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori “G. Pascale” di Napoli dicono che in queste zone la frequenza del cancro al polmone è del 30% più elevata rispetto alla media nazionale e che il tasso di mortalità femminile per questa patologia è il più alto nel nostro Paese, con un aumento del 100% in soli 20 anni (1988-2008), a fronte di una diminuzione di circa il 50% sull’intero territorio nazionale. Nell’ultimo anno sono stati riscontrati oltre 30.000 casi di tumore nella sola regione Campania; il tasso di mortalità ha raggiunto picchi del 40% in diversi Comuni tra Napoli e Caserta. A lanciare l’allarme è Antonio Marfella, oncologo e responsabile dell’Isde (Associazione Medici per l’Ambiente) il quale dichiara fermamente l’auspicata impotenza del Servizio sanitario nel far fronte a questa malattia che si diffonde con un’incidenza del 4% l’anno. Dal 2002 il costo delle cure è aumentato del 400% ed entro il 2016 è prevista, per la cura dei pazienti, l’introduzione di 85 nuovi farmaci costosissimi. Le cifre sono destinate ad aumentare in proporzione all’estensione dei territori più colpiti dal fenomeno.
Istituzioni. Le grandi assenti
Bisogna puntare sulla riqualificazione ambientale attraverso le bonifiche ha affermato, inoltre, Marfella, il quale con tono accusatorio verso la politica ha fermamente condannato la decisione di cancellare il Dipartimento di Prevenzione per la conseguente nascita delle Arpa, in quanto con tale operazione i controlli si sono ridotti e ciò non ha fatto altro che aggravare la già triste situazione. Basterebbe un serio programma di bonifiche ambientali per avere effetti positivi già dopo un paio di anni. Al Governo è stata chiesta l’istituzione del Registro Tumori, che sarebbe l’unico modo per dimostrare in maniera scientifica il collegamento tra discariche illegali e tumori. Ma nell’ultima manovra economica il Presidente del Consiglio Monti non ha certificato il Registro forse per evitare di innescare quell’atroce duello tra cittadini e istituzioni. Sì, perché è a suon di ricorsi e denunce penali verso sindaci, presidenti e governatori che forse giustizia sarebbe fatta. Questi politici corrotti non hanno attivato nessun meccanismo risolutivo al dramma ambientale della Campania negli ultimi trent’anni, e il popolo non aspetta altro che condannarne le gravi colpe. Per ora il ministro dell’Ambiente Clini ha annunciato una serie di controlli serrati e presidi militari nelle campagne e in prossimità delle discariche. Una task force che non deve calare.
Don Maurizio e il prefetto
I roghi sono un problema che va avanti da decenni, ma ora i cittadini sono stanchi di continuare a subire e a rimetterci la salute. Insieme, uniti e solidali vogliono investire tutte le energie nella lotta ai fuochi, nella difesa dei propri territori e nella tutela dell’ambiente dai rifiuti tossici e industriali. In prima linea, con loro, nella denuncia di tali crimini c’è don Maurizio Patriciello, lui stesso definitosi “parroco nella Terra dei Veleni” che svolge servizio nella parrocchia San Paolo Apostolo di Caivano. Il nome e il volto di don Maurizio sono saliti alla ribalta della cronaca nazionale per l’incredibile umiliazione subita dal prefetto di Napoli e vista via YouTube da milioni di persone. «Ho ricevuto la solidarietà di tante persone presenti all’increscioso episodio e la rassicurazione da parte della signora prefetto di Salerno che non si era sentita per niente offesa da me nell'essere chiamata signora. Forse le sarà sfuggito che lei non era e non è un mio superiore », commenta don Maurizio a qualche giorno di distanza dall’episodio. «Comunque mi sento di ringraziare il prefetto perché con quello che ha detto a me ha attirato l’attenzione su quello che accade in questa zona dove si muore di cancro». E continua: «Ormai respiriamo pneumatici. Non è più un problema ecologico, ma un dramma umanitario. Quelle che sono bruciate ad Acerra non sono ecoballe, ma bombe ecologiche. Le periferie oggi sono allo stremo: sostanze di ogni tipo vengono incendiate e sversate sui nostri territori. Le comunità stanno continuando a pagare un prezzo altissimo».
Nel campo rom
In uno dei tanti incontri con don Maurizio, il Coordinamento Comitati Fuochi decide di effettuare un sopralluogo in un campo rom devastato a livello ambientale dalla massiccia e ininterrotta presenza di fumi tossici e nauseabondi che rendono l’aria irrespirabile. Il campo dista pochi chilometri dal centro di Caivano. Qui ogni giorno si bruciano, illegalmente, migliaia di fili elettrici, di dubbia provenienza, a scopo di recuperarne il rame per poi rivenderlo sul mercato nero. E ogni giorno, da quasi 10 anni, gli abitanti del campo, 30 famiglie di origine slava, respirano, incuranti dei rischi per la propria salute e quella dei loro bambini, i fumi asfissianti e le ceneri tossiche dei roghi. Per qualche arcano e omertoso motivo, però, carcasse di televisori, computer, frigoriferi e altri rifiuti ingombranti si ritrovano ammassati nei terreni circostanti il campo rom. Alla vista di tali orrori i cittadini indignati e disgustati dal fumo denso e appiccicoso non credono più al semplice retaggio culturale di questo popolo, purtroppo, condannato alla sopravvivenza, e puntano consapevolmente il dito contro l’ennesimo evidente sub-appalto dell’ecomafia. Ai rom si riconosce, o meglio, si ascrive la colpa della manovalanza che opera con l’assurda certezza dell’impunità dei propri reati, senza rendersi conto della sistematicità con la quale stanno uccidendo loro stessi. Un’etnia da sempre costretta ai margini della società sembra che voglia punire noi per il destino incivile a cui è relegata. Ma di fronte a tale ipotesi viene solo da chiedersi se questa non sia altro che un’inutile guerra tra poveri, mentre alle nostre e alle loro spalle qualcuno scolpisce fiero l’ennesima e plurima làpide.
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