Non profit
Nella regione laboratorio si è spenta la voglia di ideare
Standard sempre elevati, ma poco spazio alla coprogettazione
Peppone e Don Camillo non abitano più qui. E anche l’Emilia Romagna non è più quella. La regione dei contrasti pure un po’ complici, delle rivalità appassionate, dei record perfino, è cambiata. E i tempi in cui addirittura da New York si guardava agli asili di Reggio, appaiono lontani. Annebbiati come dalla patina della routine. Ovvero di un fare (e parecchio) che forse ha perso lo smalto dell’innovare.
Almeno stando alle riflessioni che alcuni osservatori ci hanno consegnato. Sulla famiglia, ad esempio, che – secondo Ermes Rigon, presidente regionale del Forum delle associazioni familiari – «è ancora vista come oggetto di provvidenze e non come soggetto attivo sul quale puntare», nucleo «penalizzato» e «non sostenuto» da una Regione che pure ne riconosce, all’articolo 9 dello Statuto, l’essenziale ruolo sociale. «Un articolo disatteso, come non sono applicate altre norme ad esempio relativamente al garante dei minori». «Scontiamo», prosegue Rigon, «il paradosso di una Regione che sostiene più le coppie di fatto che non le unioni nate sul matrimonio». Peppone e Don Camillo non si parlano più, si diceva. Non sono più, l’uno per l’altro, interlocutori. Il che è un male, perché le esigenze cambiano e perché solo dal confronto possono nascere vere soluzioni. «È stato mantenuto lo standard del passato, ma è andata riducendosi la nuova progettazione. Ad esempio non si è affrontata l’area del disagio adolescenziale. E non è questione», aggiunge Caffo, «di sole risorse: se mancano i fondi si preferisce tagliare piuttosto che trasformare, cioè elaborare nuove idee».
Uno stare sulla difensiva che dà l’impressione che non sia sufficiente tenere la posizione, che si possa fare di più. «Per quanto riguarda l’ambiente ci sono anche delle leggi discrete, se non buone», premette Cinzia Morsiani, presidente regionale del WWF, «ma rimangono troppo spesso lettera morta, data la scarsità di controlli. Nei documenti scrivono priorità anche condivisibili, ma poi è dai piani finanziari che si capiscono le vere strategie». Un esempio? «La raccolta dei rifiuti: al primo punto si mette la riduzione della produzione, al tempo stesso si indirizzano le risorse verso gli inceneritori e le discariche». Insomma, si predica in un modo, si razzola in un altro. «Tanti tavoli di discussione, ma poca efficacia e coerenza», chiosa.
Giudizi sostanzialmente più positivi quelli della cooperazione rispetto a quelli del mondo dell’associazionismo. E forse non a caso. Le cooperative sono la parte di terzo settore più strutturalmente coinvolta nella gestione del welfare e quindi, probabilmente, più ascoltata dall’amministrazione. «Ciò non toglie», conclude De Vinco, «che per certi aspetti le scelte regionali siano più rivolte al pubblico che al privato sociale, noi invece spingiamo perché si realizzino le diverse forme di sussidiarietà sul territorio».
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