Non profit

Nella regione laboratorio si è spenta la voglia di ideare

Standard sempre elevati, ma poco spazio alla coprogettazione

di Maurizio Regosa

Peppone e Don Camillo non abitano più qui. E anche l’Emilia Romagna non è più quella. La regione dei contrasti pure un po’ complici, delle rivalità appassionate, dei record perfino, è cambiata. E i tempi in cui addirittura da New York si guardava agli asili di Reggio, appaiono lontani. Annebbiati come dalla patina della routine. Ovvero di un fare (e parecchio) che forse ha perso lo smalto dell’innovare.

Il confronto con la società civile
«Anni fa, all’amministrazione regionale, avrei dato un 8. Oggi siamo sopra la sufficienza», confessa Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro, «non è che non ci siano i servizi, è scarseggiata la voglia di innovare, coinvolgendo per esempio la società civile». Un tassello mancante di non poco conto, in particolare in taluni settori che – più e meglio di altri – si configurano come snodi cruciali della politica territoriale, quella che cambia (o meno) la vita dei cittadini: i servizi socio-sanitari, le iniziative per la famiglia e l’ambiente. Ebbene, al netto delle aspettative (che pesano, e molto), forse proprio l’assenza di condivisione penalizza Vasco Errani e i suoi.
Almeno stando alle riflessioni che alcuni osservatori ci hanno consegnato. Sulla famiglia, ad esempio, che – secondo Ermes Rigon, presidente regionale del Forum delle associazioni familiari – «è ancora vista come oggetto di provvidenze e non come soggetto attivo sul quale puntare», nucleo «penalizzato» e «non sostenuto» da una Regione che pure ne riconosce, all’articolo 9 dello Statuto, l’essenziale ruolo sociale. «Un articolo disatteso, come non sono applicate altre norme ad esempio relativamente al garante dei minori». «Scontiamo», prosegue Rigon, «il paradosso di una Regione che sostiene più le coppie di fatto che non le unioni nate sul matrimonio». Peppone e Don Camillo non si parlano più, si diceva. Non sono più, l’uno per l’altro, interlocutori. Il che è un male, perché le esigenze cambiano e perché solo dal confronto possono nascere vere soluzioni. «È stato mantenuto lo standard del passato, ma è andata riducendosi la nuova progettazione. Ad esempio non si è affrontata l’area del disagio adolescenziale. E non è questione», aggiunge Caffo, «di sole risorse: se mancano i fondi si preferisce tagliare piuttosto che trasformare, cioè elaborare nuove idee».
Uno stare sulla difensiva che dà l’impressione che non sia sufficiente tenere la posizione, che si possa fare di più. «Per quanto riguarda l’ambiente ci sono anche delle leggi discrete, se non buone», premette Cinzia Morsiani, presidente regionale del WWF, «ma rimangono troppo spesso lettera morta, data la scarsità di controlli. Nei documenti scrivono priorità anche condivisibili, ma poi è dai piani finanziari che si capiscono le vere strategie». Un esempio? «La raccolta dei rifiuti: al primo punto si mette la riduzione della produzione, al tempo stesso si indirizzano le risorse verso gli inceneritori e le discariche». Insomma, si predica in un modo, si razzola in un altro. «Tanti tavoli di discussione, ma poca efficacia e coerenza», chiosa.

Si può fare di più
Che si potesse fare più lo sostiene, dal suo punto di vista di responsabile regionale di Legacoopsociali, Alberto Alberani: «Per le badanti, gli asili, l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, per sostenere le imprese cooperative, ad esempio esonerandole dal pagamento dell’Irap come noi abbiamo chiesto: bisognerà pure cominciare a dire che ci sono imprese con più meriti sociali di altre». Aggiunge però che molto è stato fatto: «Sono tre le principali novità: il potenziamento della rete dei servizi socio-sanitari, in particolare per la non autosufficienza; il superamento delle gare verso l’accreditamento; la creazione di 38 distretti socio-sanitari, nei quali si co-progettano i Piani di zona». Un parere analogo è quello di Gaetano De Vinco, a capo di Federsolidarietà Emilia, che sottolinea anche lui «l’evoluzione dei servizi alla persona, il loro ampliamento in un contesto di tagli. L’Emilia Romagna è l’unica Regione che ha deciso una tassa di scopo sulla non autosufficienza» (spende da sola più del governo nazionale).
Giudizi sostanzialmente più positivi quelli della cooperazione rispetto a quelli del mondo dell’associazionismo. E forse non a caso. Le cooperative sono la parte di terzo settore più strutturalmente coinvolta nella gestione del welfare e quindi, probabilmente, più ascoltata dall’amministrazione. «Ciò non toglie», conclude De Vinco, «che per certi aspetti le scelte regionali siano più rivolte al pubblico che al privato sociale, noi invece spingiamo perché si realizzino le diverse forme di sussidiarietà sul territorio».

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