Cultura

Nella Bielorussia dimenticata dal mondo. I figli di Chernobyl

17 anni dopo. In un Paese dove chi può scappa e chi no si butta nella vodka, i bambini sono l’ultima speranza (di Pierluigi Senatore).

di Redazione

Braghin, Bielorussia
Krjuki nel 1986 aveva 2mila abitanti, una banca, un ufficio postale, una scuola, uno spaccio e una sola colpa: essere a meno di 20 chilometri, in linea d?aria, dalla centrale ucraina di Chernobyl. Quella notte gli abitanti di Krjuki stavano dormendo, forse qualcuno faceva l?amore oppure meditava sui sogni e fantasticava sulle sue speranze per un futuro migliore; ma tutto, improvvisamente, è stato interrotto all?1 e 23 di quel sabato 26 aprile quando, dopo una serie di errori umani, il reattore numero 4 della centrale nucleare è esploso. Krjuki adesso è un villaggio ?morto? abbandonato dai suoi abitanti e dalla vita; un villaggio che si trova all?interno della famigerata ?zona morta? dove una natura rigogliosa, ma malata, ha preso il sopravvento. La tappa di Krjuki è stato il momento più ?difficile? del viaggio fatto da Paolo Belli (che da anni s?interessa della Bielorussia e che da tempo ospita durante l?estate uno dei tanti ?bambini di Chernobyl?), Roberto Rebecchi, responsabili regionale di Legambiente Solidarietà, e i tecnici dell?Arpa, l?Agenzia regionale protezione e ambiente, dell?Emilia Romagna.

Come se nulla fosse
La sosta a Krjuki è stata di poche decine di minuti, il tempo di fare delle rilevazioni che hanno confermato livelli di radioattività micidiali. Ma anche fuori dalla cosiddetta ?zona morta?, la situazione non è delle più facili. A pochi chilometri, infatti, ci sono centri importanti come Braghin, dove la vita procede come se non fosse accaduto nulla: le scuole sono aperte, i pochi negozi e le scarse fabbriche anche e la gente continua ad alimentarsi con i prodotti della terra che risultano ancora contaminati con valori di radioattività superiori anche cento volte a quelli sopportabili dall?uomo senza conseguenze.
Ma la filosofia che sta dietro a questa scelta è molto semplice, come ci dice Tamara, ritornata a vivere a Braghin dopo anni passati in un anonimo palazzo della capitale: “Preferisco morire nella mia povera casa, dove sono nata, che di fame, in miseria e in solitudine a Minsk”. Sì, perché la Bielorussia del presidente Lukashenko non sembra dare molte possibilità con un?economia dove ancora sopravvive il modello sovietico senza però la copertura dei servizi e del lavoro garantito che l?ex potenza comunista dava. Molte famiglie si stanno disgregando, con i giovani che cercano fortuna all?estero e i più anziani che cercano una via d?uscita attraverso la vodka. A tutto questo si aggiunge l?esplodere dell?Aids che in certe realtà si sta diffondendo pericolosamente; oppure l?aumento incontrollato del diabete a causa dell?alimentazione e delle allergie per l?abbassamento delle difese immunitarie. L?unica speranza, ancora una volta, sono i bambini, quelli che il Progetto Chernobyl di Legambiente sta cercando di aiutare da anni; non attraverso interventi a pioggia e casuali, ma con progetti specifici e mirati in particolar modo a far crescere nel popolo bielorusso una nuova consapevolezza.
Molteplici erano gli obiettivi di questo viaggio. Il primo era quello di verificare lo stato di avanzamento del progetto Rugiada, un intervento sperimentale che prevede l?accoglienza di bambini delle zone contaminate che, per 24 giorni, saranno ospitati in un centro di risanamento, con gli stessi risultati di un soggiorno all?estero, senza il disagio dello sradicamento. Il tentativo è quello di curarli facendoli rimanere nel loro Paese perché è lì che dovranno costruire il loro futuro. Per questi bambini l?uscire dal loro Paese è sicuramente un?esperienza importante e positiva, ma troppo spesso rientrando in Bielorussia in alcuni di loro rimane il rammarico di avere lasciato in Italia o in Germania o in Irlanda (i Paesi che regolarmente li ospitano), un mondo più facile, più bello, fatto di grandi magazzini, divertimenti, ma che rappresenta una realtà, se non contraffatta, sicuramente parziale.

Generosità boomerang
Oltre a questo aspetto disgregante per una società che si vede messa sotto accusa dai suoi giovani, troppo spesso le famiglie ospitanti si legano in modo morboso al bimbo ospitato e ogni anno ?vogliono? sempre e solo quello che quindi, nel suo villaggio d?origine, diventa il privilegiato (anche se non è sempre il più bisognoso), quello che può contare su regali e denaro dall?estero, mentre gli altri rimangono nel limbo. Un altro degli obiettivi del viaggio ha visto per protagonisti i tecnici dell?Arpa dell?Emilia Romagna, Laura Gaidolfi e Annibale Gazzola, che hanno verificato l?eventuale contaminazione dell?area in cui sorge il centro Nadiejda (in italiano, speranza), 80 chilometri a nord della capitale bielorussa Minsk, e controllare che nei cibi somministrati non ci fossero radionuclidi. Infine, il terzo obiettivo era la verifica del lavoro dell?ambulatorio mobile, realizzato anche grazie al contributo dell?associazione modenese Rock No War e costato oltre 80mila euro, che da un anno opera sotto la direzione del professor Alexander Romanoski nelle zone contaminate della regione di Brest, al confine con la Polonia, per la diagnosi precoce del tumore tiroideo. In dodici mesi sono state realizzate oltre 3mila ecografie, diagnosticati 6 tumori e un migliaio di patologie tiroidee.
A 17 anni dal disastro nucleare di Chernobyl, circa 7 milioni di persone sono ancora esposte al rischio contaminazione. La maggiore fonte di pericolo arriva dal cibo prodotto nelle aree colpite dall?esplosione, in cui si registrano alte concentrazioni di cesio. Vittime maggiori di questa tragedia sono i bambini che, alimentati con carne, latte, cereali inquinati, sempre più spesso si ammalano di tumore tiroideo o sono affetti da immunodepressione. In quella lunga notte l?incidente, per una strana situazione di venti, colpì gran parte della Bielorussia, dove ancora oggi un quinto del territorio è contaminato. Fu l?inizio di un disastro che ha provocato la morte immediata di 32 persone, di altre centinaia nelle ore successive, di ulteriori 5 milioni di individui sottoposti al fall-out radioattivo.
In realtà secondo l?Onu i morti per cause direttamente collegate all?esplosione sono stati finora 7mila, ma gli scienziati giapponesi che dal 1945 studiano gli effetti delle radiazioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki, stimano che il numero totale dei morti potrebbe aggirarsi attorno ai 200mila e che nefaste conseguenze si potranno registrare fino alla fine di questo secolo. Le sostanze rilasciate nell?aria rimarranno ancora attive per anni: lo stronzio 90 e il cesio 137 ancora per un?altra decina mentre il plutonio rimarrà attivo per 24mila anni prima di perdere il suo carico di pericolosità.

Una spada di Damocle
Una tragedia, quella di Chernobyl, che nasconde altre minacce, come avverte l?allarme lanciato dal ministro russo all?Energia atomica, ma passato praticamente inascoltato, che ha annunciato come il sarcofago di cemento che ricopre uno dei quattro reattori di Chernobyl stia cedendo e che le radiazioni potrebbero riprendere a uscire con il loro carico di morte. La centrale è stata chiusa, ma rimane una bomba ad orologeria per l?intera Europa in quanto non è stata attivata alcuna procedura concreta per renderla sicura. E nonostante l?allarme, da più parti si minimizza. Il governo bielorusso dice che non c?è più pericolo di contaminazione e quindi taglia sui contributi alle famiglie dei territori colpiti, l?Ucraina, dall?altra parte, usa il reattore di Chernobyl come merce di scambio con l?Occidente: “Se non ci aiutate”, viene detto tra le righe, “Chernobyl rimarrà sulla testa dell?Europa come una micidiale ?spada di Damocle?” …e la vita continua.
di Pierluigi Senatore

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