Famiglia
Nel vulcano dei poveri
Qui disperazione e sono degrado ingrottate, nascoste dietro i simboli del benessere. Le persone che affollano le mense della Caritas o del Banco alimentare sono ben vestiti e hanno il cellulare
«Dati precisi non saprei fornirgliene ma, mi creda, negli ultimi tempi i furti di candele e di elemosine nelle chiese sono spaventosamente aumentati. E si tratta di persone che a casa loro non hanno più la corrente elettrica perché non riescono a pagare le bollette».
È la frase che Salvo Cacciola, sociologo della Asl catanese, si sente ripetere sempre più spesso dai sacerdoti con cui ha a che fare per i suoi periodici monitoraggi sul disagio nella città etnea: «Sì, sono proprio questi i nuovi poveri invisibili».
L?esercito nascosto dei disperati
All?inizio degli anni ?90 Cacciola, che è anche responsabile dell?Osservatorio Mediterraneo, un centro-studi sulle politiche sociali e sul Terzo settore, aveva condotto una ricerca, intitolata emblematicamente ?Cittadini invisibili?, nella quale prendeva in considerazione le emergenze più rilevanti del territorio: dai ?senza dimora? ai tossicodipendenti, dalle ragazze-madri agli emarginati gravi. Oggi, però, segnalazioni come quelle dei preti insieme ad altri indicatori, quali ad esempio la quantità di sussidi distribuiti tramite le parrocchie od altri gruppi di volontariato del Banco alimentare, lo spingono ad additare senza indugi un altro rischio: quello delle ?povertà ingrottate?. «Grazie ad alcune intuizioni coraggiose del Comune di Catania ed alla partecipazione attiva del privato sociale», spiega infatti, «i servizi sociali hanno fatto in questi anni passi da gigante, riuscendo a dare prime risposte concrete a quelle forme di disagio ?visibile?. Adesso però c?è da affrontare il problema di quelle povertà che rimangono sommerse, perché non sono dichiarate dagli stessi soggetti».
Cacciola parla di numerose nuove indigenze latenti ma letteralmente nascoste da chi si ritrova improvvisamente espulso dal mercato del lavoro, e tuttavia non intende rinunciare al tenore di vita medio-alto che conduceva precedentemente. Ed in questi casi è facile, pur di continuare a vivere nel benessere, entrare nella ferrea tenaglia dell?usura, da cui alla fine è quasi impossibile uscire per tornare ad un circuito di normalità. Quando i servizi sociali arrivano ad intervenire, la situazione è quasi disperata.
Chiedono cibo, hanno il telefonino
Basta appostarsi fuori dalle parrocchie, per averne una prima controprova immediata. Le donne e gli uomini che vengono a chiedere la pasta o il latte per la propria famiglia sono quasi sempre ben vestiti, qualcuno addirittura non esce di casa se non ha con sé il telefonino (Catania è tra le province d?Italia, quella con più alti tassi di diffusione di apparecchi cellulari) o l?auto sportiva. «Poi magari non hanno i soldi per pagare l?affitto o la luce», insiste Cacciola. «Sociologicamente ciò si motiva con il rifiuto psicologico di accettare un brusco abbassamento del reddito, perciò si preferisce impegnare le piccole entrate in beni voluttuari piuttosto che in generi di prima necessità». E alle affollate mense della Caritas o delle suore di Madre Teresa non si trovano più solo extracomunitari o senza dimora: «Da qualche tempo», racconta il sociologo, «viene sempre più spesso un distinto quarantenne, ex-dirigente di una grossa compagnia assicurativa che, da quando è stato licenziato, ha perso casa e famiglia e non ha altro posto dove andare a sfamarsi».
A conferma di ciò vengono i dati dell?Ufficio di Collocamento e quelli sulle tonnellate di alimenti distribuiti dal Banco alimentare.
«Oltre 78 mila catanesi», spiega Domenico Palermo, direttore del Collocamento, «risultavano iscritti alle liste di disoccupazione all?inizio del ?99, cioè circa il 33% della popolazione attiva». Questa percentuale, precisa il dirigente, va ovviamente depurata dal numero di coloro che continuano a studiare, da chi effettua lavori in nero o precari, part-time, a tempo determinato, Lsu, piani di inserimento professionale della Regione o borse di lavoro statali: «Ma pesano ancora molto i disoccupati di lunga durata o quegli espulsi dal mercato del lavoro che non riescono a riconvertirsi. E la sensazione è che le grandi tensioni che covano non siano esplose finora proprio perché si è fatto ricorso a questo genere di ammortizzatori, che hanno posto un momentaneo freno all?insoddisfazione soprattutto dei giovani?.
Alla voragine che dopo Tangentopoli aveva assorbito il settore delle imprese edilizie, fino ad allora trainante nella provincia etnea, si è affiancata – osserva Cacciola – la crisi stessa del sistema dell?economia criminale (che manteneva con stipendi dignitosi le famiglie dei ?soldati? della mafia) e dell?assistenzialismo statale, che avevano in qualche modo favorito un innalzamento dei livelli e della qualità dei consumi. Più viene prosciugata l?illegalità, più i rubinetti assistenziali si chiudono, maggiore è di conseguenza il numero di nuclei familiari che, come quelli dei senza-lavoro cronici, ripiombano drammaticamente al di sotto della soglia di povertà estrema.
«Alla fine del ?99», prevede Giuseppe Rubino, responsabile del deposito regionale del Banco alimentare, «solo su Catania avremo distribuito circa 1000 tonnellate di sussidi, tra latte, pasta, olio, formaggio, burro, biscotti e carne in scatola, che andranno a nutrire oltre 55 mila catanesi». Un settimo della popolazione residente nel capoluogo, insomma: nel ?98 erano stati invece 46 mila.
Il boom del reddito minimo
Ma quali sono le risposte istituzionali, al di là degli ?ammortizzatori? lavorativi? Tremila cittadini vivono già dell?assistenza economica erogata dai servizi sociali del Comune. Catania è inoltre una delle città d?Italia dove si sta sperimentando il cosiddetto ?reddito minimo d?inserimento?, un sussidio mensile proporzionale ai membri del nucleo familiare, finalizzato però ad un percorso di reinserimento sociale e lavorativo degli assistiti. «Fino ad ora», spiega Dino Barbarossa, responsabile della sperimentazione per conto dell?assessorato alla Dignità, «lo abbiamo applicato solo in 2 quartieri periferici: Monte Po-Nesima e San Giuseppe La Rena, 30 mila abitanti complessivi, che da dicembre ad oggi hanno risposto con 500 richieste presentate. I 37 miliardi a nostra disposizione ci consentiranno presto di estendere l?opportunità del Rmi anche ai 60 mila abitanti dell?enorme quartiere-satellite di Librino. Da qui ci aspettiamo per lo meno altre 800 domande».
L?anagrafe dei senza dimora
Ma c?è da registrare anche la battaglia vinta da quei senza dimora che – avendo rinunciato a qualunque legame con la propria famiglia o con la città di appartenenza – invisibili lo erano divenuti, perché ormai privi di qualsiasi identità anagrafica.
«Dormire sulle panchine o sotto i ponti per tanto tempo», spiega infatti Sandy Nicotra, presidente della cooperativa Stradaviva, che da alcuni anni opera in convenzione con il Comune contro l?emarginazione di strada, «comporta in alcuni casi perfino la cancellazione dalle anagrafi pubbliche. A febbraio abbiamo così siglato un accordo che consente a noi, a Manitese ed alla Caritas di concedere presso le nostre sedi la residenza a coloro che vogliono pian piano recuperare i propri diritti di cittadinanza. Uno di questi, che per gli uffici pubblici addirittura non esisteva più, adesso ha persino ricevuto il certificato elettorale per votare alle recenti elezioni europee?.
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