Non profit

Nel segno di quelle cose che non hanno prezzo

Editoriale

di Giuseppe Frangi

È un numero importante questo per la storia di Vita. Riccardo Bonacina, che ne è il fondatore e che ne è il volto pubblico, nelle prossime pagine spiega ai lettori le ragioni di una sfida che porterà questa società editoriale a quotarsi in Borsa. Una scelta imprenditoriale che rompe gli schemi e che si annuncia appassionante per il suo portato di innovatività.
Ovvio che un passaggio come questo costringa anche chi fa materialmente questo giornale ogni settimana (e ogni giorno il portale vita.it) a riflettere sui criteri e le ragioni del proprio lavoro. Costringe ad essere più ambiziosi, a pensarsi con più intelligenza, profondità e coraggio. Il compito svolto sino ad ora è stato importante ma ora occorre qualcosa di più, che non è semplicemente una crescita in continuità. Occorrerà invece un salto, di coscienza e di professionalità. Occorrerà avere nuovi orizzonti, e ragioni più forti e persuasive.
Quando ci si trova davanti a sfide come queste il segreto è sempre quello di cercare delle sponde, nel pensiero e nella visione di quei personaggi che hanno lasciato un segno nelle nostre vite o nel nostro tempo. Le pagine di Pasolini, di Testori e e Charles Péguy sono state dei riferimenti quasi quotidiani sino ad oggi. Sono stati baluardo contro il cinismo e il moralismo dominanti; hanno sfidato a una sincerità e a una continua apertura umana nel fare informazione. Maestri senza una verità prestabilita, ma tutti febbrilmente appassionati del vero. Ma oggi voglio aggiungere a questi “maestri di riferimento”, un altro. È uno scrittore americano, notissimo, che si è tolto la vita un paio di anni fa, David Foster Wallace (come un uomo che pensi cose come queste che seguono, possa togliersi la vita, è davvero un mistero. E un richiamo: con il mistero si ha sempre a che fare, anche facendo informazione. Se non si accetta questo, la nostra diventa solo inutile presunzione).
«Siamo d’accordo un po’ tutti che questi sono tempi bui, e stupidi, ma abbiamo davvero bisogno di opere letterarie che non facciano altro che mettere in scena il fatto che tutto sia buio e stupido? Nei tempi bui quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e di fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità del mondo. La buona letteratura può avere una visione del mondo cupa quanto vogliamo, ma troverà sempre un modo sia per raffigurare il mondo sia per mettere in luce le possibilità di abitarlo in maniera viva ed umana… Che la cultura di oggi sia materialistica lo sappiamo già. È una diagnosi che si può fare in due minuti: Non è stimolante. Ciò che è stimolante è, dando per assodata l’idea che il presente sia grottescamente materialistico, cercare di capire questo: come mai noi esseri umani abbiamo ancora la capacità di provare gioia, carità, sentimenti di autentico legame per cose che non hanno prezzo? E queste capacità si possono far crescere? Se sì, come, e se no, perché?». In queste domande c’è molto della mission futura di Vita.
(Le frasi di Wallace sono tratte da La ragazza dai capelli strani, Minimum Fax, pag. 335/7)


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