Non profit
Nel nuovo secolo, più leggeri
Dobbiamo essere più flessibili, servono forme nuove di associazionismo. Intervista ad Andrea Olivero.
Migrare dal 900, abitare il presente, servire il futuro: le Acli per il XXI secolo: è il tema del prossimo congresso (ad aprile 2008) dell?associazione, reduce alla sesta Assemblea nazionale dei servizi e delle imprese svoltasi a Padova. Lasciarsi alla spalle un secolo per abbracciarne pienamente un altro. Ne parliamo con il presidente Andrea Olivero.
Vita: Cosa significa ?migrare dal 900??
Andrea Olivero: Vuol dire affrontare la realtà attuale, lasciandosi alle spalle alcuni miti e confrontandosi coi cambiamenti, guardando al futuro con speranza. Il migrante non sa quale sarà il futuro ma parte mosso dalla convinzione che potrà trovare qualcosa di meglio.
Vita: Ci può spiegare quali sono questi miti?
Olivero: La nostra organizzazione è nata come dopolavoristica in un?epoca in cui il lavoro era prevalentemente fordista. Oggi quel modello non è più l?unico. Per questo dobbiamo cambiare: per intercettare il bisogno di socialità che è cresciuto ma che ha un profilo almeno in parte nuovo. Servono forme associative più leggere. Il circolo deve diventare il nodo di una rete territoriale, all?interno della quale trovare tante attività accomunate dalla volontà di agevolare una cittadinanza attiva.
Vita: Per rimanere nella metafora, il migrante porta nel secolo nuovo un circolo più propositivo.
Olivero: Esattamente. Anche se guardiamo dalla logica dei servizi, nati per rendere esigibili per tutti i medesimi diritti, ci rendiamo conto che il nostro impegno deve cambiare. Oggi è necessario accompagnare ciascun cittadino al riconoscimento dei propri diritti e alla costruzione di un percorso personalizzato. Un esempio: nel nostro patronato non è più così centrale rendere esigibile il diritto previdenziale. Che è un diritto del quale c?è diffusa consapevolezza. Oggi va seguito anche il giovane che vuole arrivare alla fine della carriera con una pensione che gli permetta una vita dignitosa. Ha bisogno di essere accompagnato per fare scelte coerenti con il suo progetto. Stesso discorso per la formazione: non possiamo proporre a tutti il medesimo percorso formativo.
Vita: Un compito difficile, che ci sembra richieda un atteggiamento quasi imprenditoriale.
Olivero: Serve un modello organizzativo più flessibile, capace di rispondere alle domande attuali. Dobbiamo migliorare nella capacità imprenditiva, accompagnando gli stessi cittadini a muoversi in una logica autoimprenditiva. Ciò detto, bisogna fare in modo che tutta questa riorganizzazione non annulli l?attenzione alla persona e la partecipazione che ci hanno sempre caratterizzato.
Vita: Mantenendo la centralità della persona?
Olivero: Un aspetto fondamentale. I nostri servizi nascono dall?identità associativa e hanno ragione di vita nella misura in cui sono ad essa connessi, e sanno render conto dell?agire sociale.
Vita: Vi avviate verso una trasformazione molto impegnativa…
Olivero: Lo è. Ma siamo in un passaggio fondamentale. Se non riusciamo a dare risposte nuove rischiamo di essere letti come un soggetto vecchio e di non attrarre nuove risorse volontarie, che sono la ragione stessa della nostra associazione. Rimanere immobili non è conservarsi, vuol dire morire. Noi traiamo forza dall?adesione ideale dei nostri associati. Se non sentono che i nostri valori sono i loro, perdono l?interesse di starci accanto.
Vita: Quali cambiamenti auspicate per il terzo settore?
Olivero: Crediamo fortemente nel terzo settore, sul fatto che possa dire e dare molte cose al nostro Paese. La prospettiva dalla quale ci muoviamo può aiutare le altre organizzazioni ad avere più fiducia in se stesse, a scommettere sulla propria capacità di dare un contributo di cambiamento e innovazione. Si è data l?impressione che la grande rete di solidarietà e di promozione sia non dico residuale ma facilmente riconducibile ad altre forme di rappresentanza. Noi crediamo che non sia così. L?aspetto nuovo di questa fase è che non vogliamo nettamente dividere l?azione volontaria e l?intrapresa sociale. Scinderle vorrebbe dire non comprendere la profonda unicità del terzo settore.
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