Mondo

Nel magma di Lynch

Fa discutere INLAND EMPIRE: la grammatica del prima e del dopo non c’è più. Lo spettatore resta un po’ spaesato. Ma è quello a cui il regista mirava...

di Maurizio Regosa

Un dialogo realizzato attraverso l?opposizione di campo/contro campo è, direi, una soluzione più che classica. Appartiene ormai alla grammatica di base. Ma se un campo è mostrato con un grandangolo che stacca il volto del personaggio dallo sfondo, deformando quest?ultimo e quasi stilizzandolo, e se l?altro campo è invece illuminato con una luce naturale e ripreso ?normalmente?, beh allora ci troviamo di fronte a qualcosa di differente dalla classicità. Una soluzione che può dar adito a moltissime ipotesi. Si potrebbe trattare della soggettiva di un personaggio che osserva l?altro oppure della sua proiezione o ancora dell?idea che il regista ha di uno dei protagonisti del film? Ipotesi tutte valide se si tratta, come in questo caso, dell?ultimo David Lynch, visionario entrato in una fase acuta dopo un crescendo di alcune tappe che non sembra destinato a conclusione.

Un po? come questo INLAND EMPIRE (si scrive maiuscolo): 172 minuti che faticano a trovare la parola ?fine? soprattutto perché questa è usualmente collegata alla parola ?intreccio?, a sua volta strutturata su un ?prima? e un ?dopo?, magari apparentati da un nesso di causalità. Niente di tutto ciò in questo Impero della mente: qui abbiamo una donna (Laura Dern) che attraversa moltissime situazioni, alcune delle quali collegate e speculari, con personaggi che paiono uscire dalla porta di una scena e rientrare dalla finestra in quella successiva, ammiccamenti vagamente paranoici e ossessioni oniriche, doppie e triple vite, alcune delle quali cinematografiche.

Va da sé che in un?opera di questo tipo, il contenuto conta relativamente mentre prende il sopravvento la capacità di sfruttare al meglio l?ampio repertorio di soluzioni stilistico-formali di cui Lynch dispone (e che padroneggia, in taluni passaggi, con una sagacia notevole).

Vi è però, fra le mille piste plausibili, il filo rosso costituito da quello che potremmo definire la ricchezza significante delle inquadrature: ciascun quadro trasmette allo spettatore emozioni e pensieri, consuetudini ed emozioni del tutto ?tipici?. È sufficiente escludere qualcosa (ad esempio lasciar fuori campo una moribonda) e mostrare solo degli homeless che, attorno a lei, discutono di autobus per evocare un significante di banale normalità. La cui stabilità e la cui tenuta sono però completamente effimeri: basta uno zoom o un movimento di camera per risignificare il tutto. Estraniando ancor più il pubblico e rendendolo ancor più incerto. Del resto, se ha avuto la pazienza di arrivare fin qui?

Inland Empire
di David Lynch, Usa-Francia 2006
con Laura Dern e Jeremy Irons


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