Non profit

Nel laboratorio creativo di Rebibbia dov’è nato il trionfo dei Taviani

di Maurizio Regosa

Cesare lo sa da secoli: Bruto e i suoi lo colpiranno, e lui dovrà cadere a terra e morire. Eppure da sempre si risolleva e torna a recitare la sua parte, in ogni angolo in cui la magia del teatro si ricrea. Come nella pellicola che Paolo e Vittorio Taviani hanno girato nel nuovo complesso di Rebibbia, Cesare deve morire appunto, docu-film che intreccia, alternandole, la verità shakespeariana (a colori) e quella (in bianco e nero) dell’esistenza dietro le sbarre. Un’opera che ha conquistato Berlino, meritato l’Orso d’oro e messo sotto i riflettori del mondo l’esperienza del laboratorio creativo di Rebibbia, dove dal 2000 Fabio Cavalli, che ha collaborato alla sceneggiatura del film, realizza un percorso teatrale con i carcerati.

Berlino non è un caso
«I Taviani hanno fatto il loro lavoro», premette il direttore di Rebibbia, Carmelo Cantone, «avvalendosi di uno dei nostri quattro laboratori teatrali, quello della sezione Alta sicurezza». Ma il teatro del resto non è che uno dei filoni artistici portati avanti a Rebibbia: ci sono i corsi di scrittura creativa, la formazione universitaria a distanza (grazie alla collaborazione con la Sapienza e Tor Vergata), il laboratorio di “arte utile” nel quale, dal 2007, i carcerati realizzano opere disegnate da designer esterni, e quello visivo, che ha prodotto diversi murales visibili nei cortili interni. «Il nostro fine non è l’arte in sé», precisa il direttore, «semmai la valenza pedagogico-educativa che queste esperienze possono riuscire ad avere. Certo, se si raggiungono risultati di qualità, siamo ancora più contenti».
Quello ottenuto dai fratelli Taviani, pur essendo il riconoscimento più alto, non è isolato: la Compagnia Teatro Libero di Rebibbia (formata da ex detenuti e diretti sempre da Cavalli) ha calcato molti palcoscenici, e ottenuto premi portando in scena Dante, Giordano Bruno, Shakespeare. «È il fascino del teatro», aggiunge Cantone, «che dà la possibilità di rileggere le proprie esperienze alla luce di testi importanti, e aiuta le persone a elaborare una diversa consapevolezza». Peccato che i posti disponibili siano pochi, pochissimi. «Quando va bene, solo 300 detenuti su 1.750 riescono a partecipare», puntualizza don Sandro Spriano, da 22 anni cappellano di Rebibbia. «Oltretutto, i partecipanti sono spesso gli stessi: riescono ad avere un lavoro, a partecipare ai vari corsi quelli che sanno proporsi e promuoversi. E gli altri?». Si dovrebbe fare di più, va da sé, ma con quali risorse? Finisce così che chi non ha strumenti culturali per mettersi in relazione è «abbandonato a se stesso», conclude il cappellano.

Dal palco alla libreria
Sarà un caso, ma nel film dei Taviani il personaggio di Cassio è interpretato dal 58enne Cosimo Rega, che lo scorso anno ha partecipato (con un racconto sul giorno di visita dei parenti) al concorso letterario intitolato a Goliarda Sapienza, riservato a scrittori-detenuti e curato da Antonella Bolelli Ferrera, autrice di programmi su Radio3. «L’idea mi è venuta occupandomi della scrittrice siciliana che ottenne la pubblicazione del suo L’arte della gioia dopo essere stata appunto a Rebibbia». È nato così il premio cui collaborano (a titolo volontario) come tutor e in giuria molti scrittori italiani, fra cui Dacia Maraini nel ruolo di madrina.
Lo scorso anno, nella prima edizione, i detenuti di Rebibbia hanno saputo conquistarsi molto spazio. Due primi classificati nelle tre sezioni hanno scritto appunto dal carcere romano (i racconti poi sono stati pubblicati da Mondadori nell’antologia Volete sapere chi sono io? Racconti dal carcere). «Anche nella seconda edizione, che stiamo preparando in queste settimane, molti dei finalisti sono persone recluse in questa struttura, il che vuol dire che qui si fanno esperienze significative e stimolanti». Una conferma che rende ancora più amare le parole di don Sandro: «Purtroppo anche dietro le sbarre c’è il primo e il quarto mondo». C’è chi se la cava e chi rischia di andare a fondo. «Ogni settimana portiamo cento pacchi di vestiti e riusciamo a soddisfare solo in parte le richieste», ricorda il cappellano. Osservazioni vere e tristemente note. Anche quel Cesare, che deve morire per poi rialzarsi, le conosce…


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