In un articolo molto argomentato la nostra Anna Spena con l’ausilio del giurista Gianfranco Schiavone sottolinea tutte le falle e le incongruenze esplicite o nascoste nella bozza di decreto contro le ong impegnate in operazioni di salvataggio dei migranti in mare. Non aggiungo altro essendo l’analisi, a me sembra, completa anche alla luce delle disposizioni internazionali ed europee.
Ciò che però più mi impressiona nel decreto e prima ancora nella tenacia perseverante e anche un po’ idiota nel perseguirlo, è che in esso riluce una delle caratteristiche prime del fascismo: l’intolleranza verso le libere associazioni, la volontà di reprimere e controllare tutto ciò che non è governativo, ciò che può sfuggire al potere politico e dell’esecutivo.
Questa risonanza fascistissima la coglie bene Luigi Ferrarella, giornalista esperto in giudiziaria sul Corriere della sera quando scrive: “La bozza mette in mano al prefetto una progressione di sanzioni pecuniarie e di fermi amministrativi delle navi da venti giorni a due mesi, e persino di loro confisca in caso di recidiva. Come prima conseguenza, l’autorità amministrativa che infligge queste sanzioni (prima di qualunque vaglio giurisdizionale anche solo cautelare) non ha le garanzie di indipendenza dei magistrati, perché è chiaro che il prefetto di turno fa quello che vuole il ministro dell’Interno da cui dipende gerarchicamente. La seconda conseguenza è la mancanza di tassatività (rispetto alla norma penale) del precetto di condotta asseritamente violato, e quindi la gassosità degli indici di inosservanza che l’autorità amministrativa ritenga di punire. La terza è l’inversione della tempistica delle sanzioni. Poiché il vero obiettivo (bloccare le navi) non è stato raggiunto in passato quando la cassetta degli attrezzi era quella penale, applicata da magistrati che in conformità al diritto internazionale finivano quasi sempre per concludere le proprie istruttorie in termini favorevoli ai soccorritori marittimi, ecco che allora si fa invece decidere ai prefetti una sanzione subito eseguibile, contro la quale saranno le Ong a doversi attivare per contestarne la legittimità al Tribunale amministrativo regionale, ma con a loro carico sia i non brevi tempi sia i costi, visto che in attesa dell’esito del ricorso le norme accollano all’armatore le spese di mantenimento della nave sotto fermo”.
La bozza di decreto contro le ong (sul cui nome non starei a dibattere, è così bello e salutare sapere che esistono organizzazioni indipendenti dai governi!) conferisce il potere, tutto il potere alla struttura che più statale non si può: le prefetture, articolazioni dello Stato nei territori, articolazioni le cui inefficienze sono del resto note a tutti (ricordate la sanatoria della Bellanova? Remember?). La bozza di decreto toglie alla magistratura il potere per affidarlo ai prefetti che sono impiegati del Ministero dell’Interno. Cose da Codice Rocco, che solo recentemente, nel 2017 è stato cambiaato almeno in parte grazie alla Riforma del Terzo settore. Oggi si può fare una Fondazione senza chiedere permesso ai prefetti. Evviva.
Invece per la Meloni e il suo Governo si va in avanti guardando indietro, anche in questo caso: ritorna l'allergia a chi è troppo indipendente. Essendo che come a tutti è noto che l’opera di soccorso di una decina di navi delle Ong ha salvato nel 2022 solo il 14 % dei migranti arrivati in Italia via mare l’unica ratio della nuova norma è ostacolare il campo del non governativo o commerciale. E chi se ne frega dei migranti in pericolo.
Capite che tutto questo è non solo odore di fascismo ma molto di più!
Questa scelta del Governo mi ha ricordato due triste invettive, la prima del futuro Paolo VI quando era assistente nazionale della Federazione universitari cattolici (Fuci) e il 30 maggio 1931 scrive ai genitori e racconta del «triste giorno» in cui il fascismo sciolse d’autorità i gruppi giovanili cattolici: «Carissimi, come saprete, le nostre associazioni giovanili oggi sono state sciolte. Anche la Fuci. L’intimazione avvenne verse le due e mezzo nel nostro povero, misero ufficio, dove s’era tanto lavorato. Rovistarono ogni cosa per una perquisizione, ma che cosa possono trovare di cattivo tra le nostre povere carte? Il palazzo era pieno di agenti di Questura e Carabinieri. Da dieci giorni ci eravamo quasi abituati a questa strana compagnia. Poi siamo andati a San Pietro, ci siamo incontrati con alcuni amici. Nessun smarrimento d’animo; ma quanta pena. Quale umiliazione per il nostro Paese!. Mi si dice che il Santo Padre abbia avuto commozione fino al pianto a queste notizie ma che dimostri una forte e consueta chiarezza di comando. Tutti si ha la sensazione che qualche cosa di terribile prima, di provvidenziale poi sta per accadere. Speriamo sempre e preghiamo».
Prima di lui anche Luigi Einaudi avvertì che col pretesto della pace sociale, si stava pian piano soffocando le libertà fondamentali, imponendo con la forza unanimità e consenso. Scriveva: “Lo fanno malmenando il diritto di associazione col decreto del 24 gennaio 1924 sulla vigilanza sulle associazioni operaie. Se la «vigilanza» fosse stata giuridica, cioè affidata al magistrato in virtù di leggi uguali per tutti, sarebbe stato un’ottima cosa, ma col decreto essa era per definizione politica in quanto si dava al prefetto e al ministro degli interni autorità per ispezionare, revocare, sostituirsi ai consigli di amministrazione, gestire e liquidare il patrimonio delle associazioni operaie, e solo di esse”.
Ecco, ragazzi, attenzione: a volte ritornano
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