Non profit

Nel 2011 il volontariato sarà cosa da museo?

editoriale

di Riccardo Bonacina

C’è una domanda che rimbalza tra chi in queste settimane ha partecipato a convegni ed eventi che hanno messo a tema o che hanno avuto come soggetto il volontariato. Tanto per citare gli ultimi eventi: la Conferenza regionale del volontariato a Torino e I giorni del volontariato a Milano, un week end promosso da Aim – Associazione interessi metropolitani in collaborazione con Ciessevi, il Centro servizi volontariato di Milano, e l’assessorato comunale ai Servizi sociali. La domanda è questa: sopravviverà il volontariato alle celebrazioni previste per il 2011 dall’Unione Europea? Come è noto, l’Ue ha deciso – giustamente – di dedicare il 2011 al volontariato promuovendone la conoscenza e le attività. Ma come arriverà il volontariato all’appuntamento dell’Anno europeo? Il volontariato che forse mai come in questa stagione ci è parso così provato? Come evitare che invece della povertà (come ha proposto provocatoriamente Muhammad Yunus) a finire in un museo sia proprio il volontariato? Perché questo paradosso non s’avveri propongo u’agenda di riflessione.
Meno tavoli. Il volontariato oggi è sfiancato dalla partecipazione (spesso inutile) a tavoli che pure anni fa aveva rivendicato. Qualcuno, oltre ai tavoli già previsti, ne vorrebbe altri ancora (nelle Asl o nelle Aziende ospedaliere). Io penso che si dovrebbero tagliare a iosa. Quello che era stato rivendicato per orientare la programmazione di enti pubblici e istituzione locali si è rivelato come uno strumento che ha fatto diventare il volontariato una variabile dipendente dei decisori pubblici e uno strumento di intervento a bassi costi per politiche comunque decise altrove. Occorre una moratoria.
Meno burocrazia. Il tempo di scarsità di risorse che attraversiamo obbliga anche il volontariato a ripensare alle strutture e alle funzioni che tali strutture (previste dalla legge 266 del 1991) hanno sviluppato in tempi di “vacche grasse” o anche grassissime. Non c’è dubbio che nell’ultimo decennio si sia sviluppata una sorta di burocrazia del volontariato che è cosa diversa dalle forme di rappresentaza e di leadership. Una sorta – ci si passi il termine – di “addetti” al volontariato che dovrà ripensarsi per guadagnare, dopo la trasparenza che è ormai un dato acquisito, in efficienza e in efficacia d’azione.
Più identità. Proprio la Conferenza del volontariato in Piemonte ha reso noto un dato su cui torneremo sul prossimo numero. Crescono i volontari delle ambulanze e della protezione civile, ovvero i “volontari in divisa”. Cala, invece, del 12% il volontariato socio-assistenziale e di prossimità. Un dato che dice quanto, soprattutto tra i giovani, sia diffusa la domanda di proposte educative capaci di fascinazione rispetto al bisogno di identità e di appartenza. Bisogni in sé ambigui e che necessitano di proposte chiare e il meno possibile esteriori. Possibile che la risposta si limiti alla distribuzione di distintivi e casacche, sia pur nobili? Che proposte il volontariato oggi è in grado di mettere in campo? Che percezione ha della propria identità e come la comunica?


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