Welfare

Nei cinema “Sulla mia pelle”, film “nato” in carcere

Un cast di grandi attori per un film cui hanno contribuito anche i detenuti di Rebibbia

di Benedetta Verrini

Arriva nei cinema italiani un film realizzato con il contributo dei detenuti del carcere romano di Rebibbia: s’intitola ”Sulla mia pelle”, opera prima diretta da Valerio Jalongo e da lui stesso sceneggiata insieme a Gualtiero Rosella, Enzo Civitareale e Diego De Silva. Interpretato da Ivan Franek (il protagonista di “Brucio nel vento”), Donatella Finocchiaro e Vincenzo Peluso, il film viene distribuito dalla Lady Film in 10 copie a partire dal 10 giugno. Pensato per essere inizialmente una commedia, poi trasformatosi in melodramma, ”Sulla mia pelle” nasce dai racconti e dalle esperienze dei carcerati (tra gli altri anche Germano Maccari, condannato per il rapimento di Aldo Moro) che il regista ha incontrato durante un corso di scrittura creativa: ”Ho proposto uno scambio: io avrei insegnato loro a scrivere e loro mi avrebbero aiutato a scrivere il mio film” racconta Jalongo. Il risultato e’ una pellicola che affronta la condizione di chi vive in regime di semi-liberta’. ”Sulla mia pelle” racconta la storia di Tony (Franek), un detenuto, ex-rapinatore di banche, che dopo numerosi colloqui riesce ad ottenere la semiliberta’ e viene assunto in un caseificio di Battipaglia. Ben presto si rende conto della difficile situazione in cui versa l’azienda: Alfonso (Peluso), figlio del proprietario, ha contratto un grosso debito con degli usurai, ma della cosa non ha informato ne’ il padre ne’ la cugina Bianca (Finocchiaro). Tony cerca di tenersi fuori dalla faccenda, ma s’innamora di Bianca e quando gli strozzini riescono ad impossessarsi del caseificio decide di intervenire spingendosi fino alle estreme conseguenze. ”Sono fiero di vivere in un Paese, che e’ anche l’unico al mondo, che contempla la semiliberta’ e quindi la possibilita’ per un detenuto di essere recuperato, contrariamente a quanto avviene negli Usa, dove si contano 2 milioni di carcerati contro i nostri 57 mila – dice Jalongo -. Ma devo anche ammettere che l’Italia e’ un paese ipocrita, che si e’ dimostrato incapace di gestire questa istituzione. La semiliberta’ non e’ un beneficio di cui possono godere tutti, ma solo quelli che hanno i giusti agganci fuori dalla prigione. La maggior parte di quelli che ne usufruiscono, una volta fuori, sfruttano la situazione per tornare a delinquere”.


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