Formazione
Neet, che fare? Ecco quattro progetti-modello per riattivarli
Due milioni di giovani italiani condannati a «restare semplicemente figli a carico». Tre le sfide: intercettarli, ingaggiarli, attivarli. Tutte più complesse di quanto sembri. Ecco quattro esperienze che stanno funzionando.
Giovani che non studiano e non lavorano, alias Neet. Un acronimo che abbiamo imparato tutti a conoscere: 2,4 milioni in Italia, un potenziale non utilizzato che ci costa 36 miliardi di euro all’anno, il 2% del Pil del Paese, difficilissimi da intercettare perché nemmeno rientrano nel radar delle politiche del lavoro. Accanto all’aspetto quantitativo del problema, però, c’è quello qualitativo: significa due milioni di giovani costretti nel limbo di eterni figli, condannati a un progetto di vita incompiuto, bloccati nella costruzione della loro identità adulta, sospesi in un limbo che genera sfiducia nelle istituzioni e deterioramento del senso di appartenenza sociale. «È un processo corrosivo di demotivazione e perdita di self-confidence, che avviluppa i giovani in una spirale di disagio emotivo via via più pesate. I neet invecchiano rimanendo bloccati, non aumentando le aspettative di crescita personale», ha ripetuto più volte il professor Alessandro Rosina durante il convegno Neeting, tenutosi il 3 e 4 novembre a Milano. Vivono a lungo con i genitori non perché siano bamboccioni o perché le mamme italiane siano più protettive, ma semplicemente perché il sistema non prevede sbocchi: «restano semplicemente figli a carico», quasi fossero «una categoria da proteggere» anziché la fascia attiva su cui costruire il futuro.
Che fare? Certo non si può aspettare. Tre gli step del percorso tracciato dal professor Alessandro Rosina: primo intercettarli, cosa molto più complicata di quel che sembra; secondo ingaggiarli, cioè riattivare in loro l’idea che ci sia un percorso di miglioramento; terzo attivarli, dimostrando loro che tramite quel percorso è possibile andare verso l’uscita dalla condizione di Neet. Ecco quattro progetti che stanno tentato questo triplice salto.
Progetto NEETwork, di Fondazione Cariplo
Su Facebook per agganciare i più fragili
La premessa del progetto è la difficoltà a raggiungere la fascia meno istruita dei Neet, quelli che ad esempio nemmeno sono venuti a conoscenza dell’opportunità offerta da Garanzia Giovani: basti pensare che fra i 113.533 giovani che hanno aderito a Garanzia Giovani in Lombardia, solo il 16% ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media, quando sappiamo che fra i Neet, complessivamente, sono in questa condizione ben il 40% dei giovani. Il progetto NEETwork si rivolge a loro, quelli che da soli fanno più fatica in assoluto, anche a destreggiarsi fra le opportunità esistenti: 18-24 anni, disoccupati da almeno 6 mesi, con solo la licenza media. L’obiettuvo del progetto? Portare mille giovani a fare un tirocinio remunerato di 4-6 mesi, in una realtà non profit. «Sono già state messe a disposizione 500 posizioni da 230 onp, la campagna è aperta fino ad arrivare all’obiettivo di mille ragazzi», spiega benedetta Angiari, di Fondazione Cariplo. Le onp che hanno dato disponibilità sono in tute province lombarde, con una maggior offerta a Milano, molto diverse fra loro per forma giuridica: il 60% sono cooperative sociali, ma ci sono anche piccole associazioni, con un’ampia varietà di mansioni e settori per i tirocini.
L’intercettazione dei ragazzi si è rivelata la fase più ostica del progetto. Per andare oltre ai data base dei Centri per l’Impiego, sono state fatte due innovative campagne su Facebook, una rivolta ai giovani, una a mamme e nonne di ragazzi con più di 18 anni. «Abbiamo identificato circa 26mila ragazzi con le caratteristiche del target: dopo verificato il loro status di disoccupazione, 12mila sono stati contattati per raccogliere un loro primo interesse di massima. Così a cascata, fino ad arrivare ai 100 giovani che in questo momento sono attivi su un tirocinio. Sono nomi che si sovrappongono pochissimo ai 25mila nominativi dei database in nostro possesso, sono giovani diversi da quelli che si rivolgono autonomamente a un Centro per l’impego», spiega Angiari.
C’è una fragilità enorme, che non è l’eccezione ma regola di questo specifico segmento di giovani. Tanti si dicono disinteressati e da parte nostra c’è una grandissima preoccupazione per quanti rinunciano, che non si rendono nemmeno conto di essere in una condizione penalizzante
Benedetta Angiari, Fondazione Cariplo
Ingaggio online, innovazione, sperimentare di nuove forme di aggancio, quindi. «646 nominativi sono trasferiti alle agenzie per lavoro, dei 337 che hanno confermato disponibilità, 100 stano facendo il tirocinio: qualcuno si dice disinteressato e da parte nostra c’è una grandissima preoccupazione per quanti rinunciano, che non si rendono nemmeno conto di essere in una condizione penalizzante», continua Angiari. «Nella faticosa presa in carico riscontriamo altre cadute, per alcuni viene fissato un appuntamento e non si presentano, si fa l’abbinamento con la onp e si tirano indietro. Cosa significa? Che c’è una fragilità enorme, che non è l’eccezione ma regola di questo specifico segmento di giovani».
Cosa stiamo imparando? «Che per portare a bordo i ragazzi servono canali poco formali, è essenziale parlare il loro linguaggio: una volta che cominciano il tirocinio, la strada è in discesa, registriamo grande soddisfazione sia da parte loro sia delle onp. Dobbiamo accorciare i tempi fra il primo aggancio a l’avvio del tirocinio, più il tempo passa e più è facile che il ragazzo cambi idea. In corso c’è una riflessione su come non perdere chi è stato intercettato ma poi ha rinunciato, magari facendogli una proposta diversa dal tirocinio».
Progetto Crescere in digitale, di Google
Trasformare i Neet nei digitalizzatori delle aziende italiane
«Siamo partiti mettendoci da un punto di osservazione opposto a quello da cui solitamente si guardano i Neet. Ci siamo chiesti quali sono le skills quasi naturali di questa generazione. Questa generazione sono i digitalizzatori delle piccole e medie imprese italiane, è naturale pensarlo»: Diego Ciulli è public policy manager di Google Italia e racconta di un progetto di dimensioni enormi, una lampadina che si è accesa quasi per caso durante una chiacchierata informale con il ministro Poletti. «L’Italia ha due grandi problemi, la disoccupazione giovanile e la scarsa digitalizzazione dell’economia, le aziende italiane non riescono a cogliere il potenziale del digitale, eppure l’85% di tutti i lavori dell’UE richiede e-skills», continua Ciulli.
L’idea allora è quella di spingere sull’accelerazione della digitalizzazione, tramite un empowement proprio dei Neet: in altre parole, «trasformare i neets in digitalizzatori delle imprese italiane, visto che tutti i casi successo che hanno vinto sfida sono legati a passaggi generazionali. I giovani sono disruptive per natura e cultura. Ecco come mettere insieme i due problemi, creando un sistema win win: i neet possono essere quelli che digitalizzano? Il nostro obiettivo non è tanto trovare un mestiere a questi 2 milioni di ragazzi ma trovare per loro una missione: prendere il made in Italy e portarlo nel digitale».
Ecco come mettere insieme i due problemi, creando un sistema win win: i neet possono essere quelli che digitalizzano? Il nostro obiettivo non è tanto trovare un mestiere a questi 2 milioni di ragazzi ma trovare per loro una missione: prendere il made in Italy e portarlo nel digitale
Diego Ciulli, Google Italia
Ed ecco il progetto Crescere in digitale, che in realtà è fatto di due programmi: da un lato «l’ambizione folle di offrire a tutti i ragazzi che hanno aderito a Garanzia Giovani un percorso di e-skills» e dall’altro «offrire 3mila tirocini come digitalizzatori delle PMI». Il corso online di 50 ore è offerto da Google con proprie risorse, senza vincoli di rendicontazione rispetto a Garanzia Giovani, è un mix fra docenti universitari, colleghi di Google (spesso italiani che lavorano all’estero e che hanno messo a disposizione la loro professionalità per il Paese), storie di successo di aziende trasformate. Al termine c’è un test online e per alcuni l’incontro con le PMI locali: sono 3mila tirocini pagati con Garanzia Giovani, ma in un anno sono 77mila i giovani che si sono iscritti alla piattaforma e 7mila hanno già completato i corsi. 3700 imprese hanno dato disponibilità per un tirocinio (al Nord più aziende che giovani interessanti) e 800 sono quelli già attivati in sei mesi. Tutte le storie sono su www.crescereindigitale.it
Lavoro di squadra, di Action Aid
Lo sport che allena al lavoro
I numeri sono più piccoli e l’approccio metodologico è differente: si parte dalla pratica sportiva per intercettare ma anche per coinvolgere i ragazzi. Il progetto è partito a Torino nel 2014, per poi estendersi a Asti e Milano: «Lo sport è strumento di aggancio, di tenuta e di motivazione per i ragazzi. Parlo di partica sportiva a vari livelli, danza, calcio, arti marziali, l’idea è che lo sport abbia un valore democratico di inclusione», spiega Tiziano Blasi, Coordinatore Sviluppo Territoriale di ActionAid Italia. L’allenamento sportivo può essere allenamento al lavoro? Sì, e non solo come metafora. «Il percorso ha una parte di allenamento sportivo più un percorso di case managment, di empowerment, lavoro individuale e di gruppo, di orientamento al lavoro e di presa in carico individuale e collettiva. Allenamento al lavoro è anche incontrare i responsabili delle risorse umane di alcune aziende, rivedere il proprio cv, prepararsi al colloqui… tutto in rete con attori territorio».
Il progetto ha intercettato 211 ragazzi e ne ha coinvolti 84: 70 sono maschi e 14 femmine, «perché già a questa età è emerso con forza che le ragazze spesso hanno un carico di cura in casa che le porta a rinunciare ad opportunità». 145 ragazzi vengono dalle reti del territorio, solo 10 da internet: hanno situazioni familiari e sociali molto complesse, sono diversi dai ragazzi attivi, non sono attivi nemmeno sul digitale. Degli 84, che hanno partecipato, 14 stanno facendo un tirocinio, 30 sono in formazione, 15 hanno trovato lavoro da soli.
Il progetto ha intercettato 211 ragazzi e ne ha coinvolti 84: 70 sono maschi e 14 femmine, perché già a questa età è emerso con forza che le ragazze spesso hanno un carico di cura in casa che le porta a rinunciare ad opportunità.
Tiziano Blasi, ActionAid
Tre per Blasi le parole chiave: ricerca, «perché spesso parliamo di Neet ma intendiamo cose molto differenti, spesso anche lo usiamo in maniera fuorviante»; intercettazione, perché «attualmente non sappiamo quali pratiche funzionino veramente, soprattutto con le fasce più svantaggiate»; valutazione di impatto, «che è il new black del Terzo settore, ma in realtà dobbiamo ancora capire come valutare l’impatto di questi progetti, che hanno un esito concreto come il lavoro ma anche un aspetto psicologico importantissimo».
CivicNeet, di Territorio e cultura Onlus
Insieme, per lo sviluppo della comunità locale
«Stabilità oggi non è un posto di lavoro sicuro, ma una catena stabile di job opportunities, da cui non uscire. La premessa alla base del progetto è andare oltre lo stage»: esordisce così Giacomo Balduzzi, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Pavia. È lui che racconta il progetto CivicNeet, in corso a Novara con la onlus Territorio e Cultura, con il contributo di Fondazione Cariplo.
Qui, 15 ragazzi che hanno aderito a Garanzia Giovani affiancano al tirocinio un’esperienza di impegno civico. Sono tutti ragazzi diplomati, tirocinanti in aziende nel settore manifatturiero (un campione molto rappresentativo, metà degli iscritti a Garanzia Giovani a Novara ha questo profilo) e insieme a ciascun ragazzo è stato costruito un progetto di comunità: c’è chi fa servizio in un’associazione di promozione sociale, chi nella compagnia teatrale della parrocchia, chi è in un centro di animazione e chi in una coop sociale. Anche qui è emerso con forza inattesa il fattore di genere: «molte ragazze interpellate hanno detto di essere impossibilitate a fare attività fuori dagli orari del tirocinio per impegni di natura famigliare. Sul coinvolgimento civico delle giovani donne e la loro partecipazione alla vita collettiva ci sono ancora barriere forti». Le prime conclusioni? «Che c’è spazio per sperimentare strategie innovative per i Neet e che una chiave fondamentale per agire è quella di valorizzare un approccio placebased, con diversi attori a mettere insieme le risorse per convertire un problema in opportunità di sviluppo per tutta la comunità locale», spiega Balduzzi.
I tirocinio è uno strumento per rimettersi in gioco, ma è ancora troppo poco. Poniamocelo questo problema: io vorrei sentire che mille ragazzi hanno trovato un lavoro, non un tirocinio
Valentina Aprea, Regione Lombardia
Ma un tirocinio basta?
Una provocazione forte, nell’ambito del convegno Neeting, è arivata da Valentina Aprea, assessore all’Istruzione, formazione e lavoro di Regione Lombardia: «Va bene, il tirocinio è uno strumento per rimettersi in gioco, ma è ancora troppo poco. Un tirocinio non si nega a nessuno, ma poi? Qualcuno di questi ragazzi sta avendo qualche offerta di lavoro? Che succede quando il tirocinio finisce e Fondazione Cariplo scompare? Con che cosa si ritrova il ragazzo? Poniamocelo questo problema: Regione Lombardia sostiene il progetto e lo sosterrà ancora, ma io vorrei sentire che mille ragazzi hanno trovato un lavoro, non un tirocinio».
Foto Nick Miller/Unsplash
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