Povertà educativa

Neet, anche se in calo sono ancora troppi

La Giornata mondiale delle competenze dei giovani che le Nazioni Unite celebrano ogni 15 luglio è un’occasione per verificare gli sforzi compiuti da ciascun Paese nell’investire su capacità e competenze delle nuove generazioni. In Italia sono passati dal 23,5% del 2020 al 16,1% del 2023, tuttavia ancora al di sopra della media europea che è poco più dell’11%

di Redazione

Il 15 luglio di ogni anno le Nazioni Unite celebrano la Giornata mondiale delle competenze dei giovani. Occasione per verificare gli sforzi compiuti da ciascun Paese per investire sulle capacità e sulle competenze delle nuove generazioni.

Molti indicatori descrivono la condizione giovanile come critica sotto diversi fronti. Tanto dal punto di vista socio-economico, con il peggioramento nell’incidenza della povertà minorile, quanto in termini educativi, con l’aumento di fenomeni come la dispersione implicita, soprattutto tra gli studenti svantaggiati come evidenzia il grafico elaborato da Openpolis al link. In questo quadro vi sono alcuni segnali positivi, anche rispetto allo sviluppo delle competenze e capacità dei più giovani.

Neet il fenomeno resta un problema per il Paese

Primo tra tutti la diminuzione dei neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione, passati dal 23,5% nel 2020 al 16,1% nel 2023, nel contesto della ripresa economica post-pandemica.

Un calo importante, che però non significa che il problema sia risolto o vada trascurato, per diverse ragioni. In primo luogo perché l’Italia resta ai vertici in Europa per incidenza del fenomeno. Secondo, perché – come osservato anche dagli studiosi del tema – è verosimile che da questo trend restino comunque esclusi i giovani meno formati, aspetto che investe la capacità del sistema educativo di valorizzare attitudini e competenze. Il terzo motivo, connesso con i precedenti, è che permangono ampi divari territoriali nella quota di giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione.

Giovani neet, l’Italia nel confronto europeo

Storicamente, in Italia l’incidenza dei giovani che non studiano e non lavorano è stata più elevata rispetto agli altri paesi Ue. A maggior ragione in uscita dalla crisi economica degli anni 2008-2012.

Nel 2014 l’incidenza dei neet nel nostro Paese si attestava al 26,3% tra i giovani tra 15 e 29 anni. Ancora prima della pandemia, nonostante un calo sensibile, continuava a superare il 20% (22,3% nel 2019, a fronte di una media Ue del 12,8%). Dopo il picco raggiunto nel 2020-21 (quando ha superato il 23%) è scesa al 19% nel 2022 e al 16,1% attuale.

Fonte: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat

Un miglioramento netto, anche per la distanza dimezzata con la media Ue (11,2% nel 2023) rispetto al pre-pandemia.
4,9 punti di distanza tra quota di Neet in Italia e in Ue nel 2023. Erano 10 nel 2021.

Eppure quella italiana resta la seconda incidenza più elevata dopo quella della Romania. A ciò va aggiunta la questione di chi resta fuori da questi miglioramenti.

La domanda che resta sullo sfondo è: e chi non ce la fa? Perché se è positivo il recupero degli ultimi anni è anche probabile che a beneficiarne sia stato chi ha un profilo professionale e un pregresso formativo più appetibile; chi non soffre dei crescenti disagi psichici che colpiscono i più giovani; chi si trova in un territorio che offre delle opportunità occupazionali importanti.

Il ruolo delle competenze e dell’istruzione

Sono ancora i dati raccolti da Eurostat a mostrare l’influenza delle opportunità educative sulla condizione dei più giovani. In Italia, nel 2022, si trovava nella condizione di Neet il 19% dei giovani tra 15 e 29 anni. Una quota che scende al 14% tra chi ha un livello di istruzione terziaria (cioè il segmento di chi, in questa fascia d’età molto ampia, ha la laurea) e più elevata tra chi ha al massimo un livello di istruzione secondaria inferiore (19,4%) e superiore (20,3%).

Tra i dati che segnalano una difficoltà del sistema educativo di sviluppare capacità e competenze dei più giovani e che ha un impatto diretto sui percorsi di vita e sull’autonomia di ragazze e ragazzi viene segnalato che nel 2022 l’età media in cui si stima che i giovani italiani lasciano la casa dei genitori è 30 anni, il settimo dato più elevato in Ue. Una quota molto superiore alla media Ue (26,4 anni) e agli altri due maggiori paesi dell’Unione (Germania, 23,8 e Francia, 23,4).

Le competenze e la relazione con le aree fragili

Indicatori che segnalano una vera e propria compressione delle possibilità dei giovani e anche una dispersione delle loro energie, che pone un’ipoteca seria sullo sviluppo del Paese. In particolare nelle aree più fragili, con minori opportunità educative e professionali. Ciò rende necessario capire dove incida maggiormente il fenomeno, anche in collegamento con il livello di competenze.

Nei test Invalsi dell’anno scolastico 2022/23 è emerso come i territori con i punteggi medi più bassi nelle prove di italiano in terza media fossero le province di Crotone, Caltanissetta, Agrigento, Ragusa, Vibo Valentia, Palermo, Enna, Trapani, Siracusa, Prato, Reggio Calabria, Napoli, Catania, Sassari e Cosenza.

elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (censimento permanente) e Invalsi

Territori collocati quindi in 14 casi su 15 nell’Italia meridionale, l’area del Paese dove anche il fenomeno dei neet è più grave. I 15 capoluoghi dove il fenomeno incide di più sono Catania, Palermo, Napoli, Messina, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Frosinone, Enna, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Como e Cosenza. Undici di queste si trovano nelle province con le competenze più basse in italiano, in terza media.

In apertura photo by Jesús Rodríguez on Unsplash

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