Welfare

Né senza cielo né Senza Terra

Non hanno mai avuto santi in paradiso che li proteggano o campi da coltivare che li sfamino. Eppure i “Sem terra” continuano a sperare in una vita diversa.

di Cristina Giudici

Hanno i volti ricoperti da strati millenari di miseria e sguardi che vengono dal passato. Hanno guance scavate dal lavoro nei campi e si tramandano le leggende dei banditi del Sertão. Hanno corpi scolpiti dalla fatica e guizzi di ribellione negli occhi. Sono l?unico vero nemico del governo brasiliano, guidato per la seconda volta consecutiva da Fernando Henrique Cardoso, un ex professore di sociologia cresciuto sui testi marxisti che nel 1994 ha prestato il suo volto pulito al neoliberismo e ai fazendeiros. Il movimento dei Sem Terra, dei Senza Terra, è una parabola di fine secolo, iniziata nel 1986 quando, davanti a una riforma agraria mancata e al continuo impoverimento dei contadini, alcuni gruppi di famiglie decisero di occupare la terra da coltivare. Un esercito di nullatenenti, dunque, che hanno deciso di ribellarsi e di conquistarsi il proprio paradiso perduto. Carlos Finatto Bellé è uno di loro. Ha l?espressione della riscossa disegnata sul viso e viene dal sud del Brasile, vicino a Rio Grande do sul, dove vivono i figli degli ex immigranti tedeschi. Viene proprio da quel luogo sperduto, al sud del sud del mondo, dove dieci anni fa sono iniziate le prime occupazioni di terre. Lì, a Santa Caterina, Carlos ha fatto l?università, ha conosciuto i primi sindacalisti e ha assistito alle prime occupazioni di terre. Oggi è un leader di un movimento che si allarga a macchia d?olio e cresce insieme ai numeri della miseria. Oggi racconta l?epopea di un milione e mezzo di persone che nel Quinto stato del mondo per estensione geografica hanno occupato 13 milioni di ettari su 26 stati del Brasile. «Il momento dell?occupazione delle terre è un momento di attesa, speranza e riscossa, ma è anche un momento di festa. Quando si individua una terra improduttiva che appartiene a qualche proprietario di latifondo e politico locale, si fanno delle riunioni segrete. Poi, quando arriva il momento, si lancia un messaggio via radio: ?Stasera padre Julio darà una messa? e tutti sanno cosa vuol dire. A volte sono poche decine di famiglie, a volte sono a migliaia. Si entra nella terra e si costruiscono gli accampamenti. Da quel momento inizia una guerra per difendere il territorio conquistato, per proteggere le famiglie e i bambini dai poliziotti o dai paramilitari. Si organizzano i turni di vigilanza, nessuno deve rimanere da solo, soprattutto di notte. Poi contemporaneamente si formano delle squadre, si nominano i responsabili dell?educazione, della salute, del settore logistico, della produzione e si costruisce un accampamento. In molti casi siamo riusciti a trasformare le terre occupate in terra conquistate e cioè, dopo un periodo di negoziazione del governo, abbiamo ottenuto la proprietà legale della terra, riuscendo con la pressione e la ribellione a ottenere di fatto un pezzo di riforma agraria. Ma molto rimane da fare. Il governo di Fernando Henrique Cardoso ha beneficiato 280 mila famiglie, ma nel frattempo altre 400 mila sono state espropriate e oggi ci sono ancora cinque milioni di persone senza terra perché il governo non vuole democratizzare la proprietà. Ieri agivamo nella clandestinità, mentre oggi i nostri uffici sono quotidianamente assaltati da famiglie che ci chiedono di occupare la terra. Cresciamo a un ritmo vertiginoso e il governo lo sa, perciò con noi usa la politica del bastone e della carota». I contadini dei Senza Terra sono presenti in tutto il Brasile. Da nord a sud, hanno occupato le terre dei fazendeiros che dai tempi dell?impero portoghese di don Pedro hanno detenuto il dominio delle terre e delle risorse del Paese. Sulle loro terre sono già cresciute due generazioni, scuole, centri di formazione per contadini e piccoli produttori. I figli dei primi leader dei Senza Terra sono cresciuti in un Brasile diverso. Diverso da quel Brasile delle megalopoli dove si muore d?inedia, di crack o per mano di un poliziotto dalla pelle nera. Diverso da quel Brasile dove riuscire a invecchiare è un lusso per pochi e la vita scorre troppo in fretta, incalzata dalla pura di morire e la sicurezza di non farcela. Nel loro Brasile la parola d?ordine è giustizia. I loro nemici vengono solo da fuori, sono le guardie dei latifondisti che nel Brasile di fine secolo rappresentano l?un per cento della popolazione e possiedono il 43% della terra. I loro nemici sono i poliziotti militari che nel 1996, nello stato del Parà, hanno sparato a freddo alle teste di 19 contadini. O che ammanettano i leader del movimento per poi sparagli alla nuca. Mille persone sono state uccise in dieci anni, 135 solo quest?anno, e 140 mila famiglie hanno avuto un pezzo di terra, ma dei 400 milioni di ettari ancora in mani private solo 60 vengono utilizzati per l?agricoltura: le terre migliori sono destinate alle monoculture per l?esportazione – canna, caffé, cotone, soia e arance – mentre 32 milioni di persone (su 158 milioni) soffrono la fame e 65 sono sottoalimentate. «Ci dicono che siamo violenti, ma le uniche armi che possediamo sono i nostri attrezzi di lavoro e quando entriamo in una città per manifestare ce li tolgono perché sanno che possiamo difenderci, e invece i poliziotti in Brasile vogliono continuare ad avere la licenza di uccidere», racconta ancora Carlos, che ha 35 anni e sette vite come i gatti. «Ogni giorno da quattro anni dicono che abbiamo occupato la fazenda del presidente della Repubblica. Lo dicono per avere un pretesto per massacrarci, ci hanno fatto diventare come quei comunisti che si diceva che mangiavano i bambini, ma la maggior parte dei brasiliani sa che noi abbiamo solo fame, che chiediamo giustizia e democrazia; eguaglianza sociale e rispetto dei nostri diritti. Ora ci hanno accusato di aver creato dei campi di coltivazione della marijuana, ma tutti sanno che non è vero perché sono i proprietari terrieri a coltivare e a vendere la droga». Ma è vero, fra i descamisados dei Senza Terra e il governo c?è una guerra, una guerra ad armi impari: machete contro i fucili automatici, capanne contro castelli dorati, terre incolte contro possedimenti grandi come le Regioni d?Italia. Una guerra ad armi impari che dura sin dal tempo delle colonie e che sembra voler continuare a fermare le lancette della storia. Come nel maggio scorso quando nel Nord-est del paese, dove si concentra la maggior percentuale di povertà e di poveri, è tornata la siccità e la carestia. Mancava il cibo e mancava l?acqua che da quelle parti vale come oro e confluisce sempre nei pozzi dei proprietari terrieri e politici locali. Così sono riapparsi migliaia di figli del buio; dalle campagne sono sbucate migliaia di persone che fermavano i camion per saccheggiare i viveri, si riversavano nei magazzini dove venivano nascosti gli alimenti che il governo federale dava in donazione per la crisi e i mediatori tenevano nascosti per poter rivenderli a costi più elevati. Gente scalza, vestita di stracci, con occhi allampanati e la gola secca che correva verso le città in cerca di cibo: «Scene che non si vedevano dai tempi di don Pedro», dice Carlos con un sorriso amaro, «storie che pensavamo fossero oramai relegate alla letteratura d?autore di Guimaraes Rosa, storie che non pongono mai fine all?orrore. Noi del movimento abbiamo coordinato i saccheggi perché la gente non morisse di fame, ma allo stesso tempo non ci sfuggisse il controllo dalle mani. La Chiesa è arrivata al punto di dire che il saccheggio era dettato dalla necessità di sopravvivere. Forse così potrete capire perché il governo, sostenuto dal partito dei grossi latifondisti, durante la campagna elettorale nelle campagne comprava voti in cambio di un litro d?acqua». Certo, guardandole dal di fuori le immagini dell?epopea dei Senza Terra hanno toni fortissimi, sono immagini di centinaia di braccia minacciose che impugnano infernali strumenti di lavoro, volti cupi forgiati dalla rabbia, occhi che brillano come che se fossero di ritorno dall?inferno. Gente che non ha più niente da perdere e quindi disposta a tutto; guidata da ex contadini ribelli trasformati in politici radicali che sognano ancora nella rivoluzione sociale (e socialista) e installano accampamenti sulla base di criteri comunitari come se il sogno e l?utopia fossero ancora vicini da accarezzare. Ma viste dal di dentro le cose sono diverse perché nel Brasile dei campi e della miseria bisogna scegliere fra vivere o morire, e allora tanto vale provare a vivere. Piccoli contadini adesso studiano… In tutto il Brasile duemilacinquecento professori ogni giorno entrano negli accampamenti abusivi dei Senza Terra per dare un?educazione elementare e media a 85 mila bambini e adolescenti, ma i salari per loro sono ancora più bassi del normale, i programmi sono parziali e i pericoli sono tanti. Perciò il movimento dei Sem Terra ha lanciato una campagna internazionale per raccogliere i finanziamenti necessari e fondare una scuola nazionale. Una scuola che permetta alla popolazione dei Senza Terra di studiare amministrazione, tecniche di gestione delle cooperative e agronomia; pedagogia e arte; agricoltura e industria, scienze umanistiche e sociali. Il progetto della scuola nazionale Florestan Hernandes prevede di creare anche una scuola per quadri, leader politici e sindacali. Gli occupanti di terra si siederanno sui banchi di scuola per imparare diritto internazionale, comunicazione, finanza, cooperativismo agricolo, sanità ecc… Parte dei finanziamenti sono stati già raccolti grazie a un contributo del ministero di educazione brasiliano, parte grazie ai contributi volontari dei simpatizzanti del movimento. La prima fase del progetto prevede un impegno finanziario di 400 milioni di lire. Finora in Europa sono stati raccolti 300 milioni. In Italia l?associazione Fratelli dell?uomo sostiene politicamente e finanziariamente il movimento dei contadini brasiliani senza terra. Per qualsiasi informazione o contributo potete chiamare al 02/33404091 oppure scrivere via E-mail all?indirizzo fdu@iol.it. Così li ha visti il re dei fotografi ?Terra? è il titolo della mostra di uno dei più grandi fotografi mondiali, Sebastião Salgado, che ha messo a disposizione una serie di immagini riprodotte in poster per finanziare il movimento Sem Terra. Le foto esposte nella mostra raccontano un lungo viaggio nelle terre del Brasile. Quarantacinque fotografie sulla vita quotidiana di milioni di contadini: le grandi proprietà, le occupazioni, l?esodo verso le favelas ai bordi delle città, i conflitti e la violenza intorno alla terra. La mostra è anche un libro omonimo pubblicato in tutto il mondo con prefazione dello scrittore portoghese José Saramago e disponibile presso l?agenzia fotografica Contrasto (tel. 06/42086551). Salgado, nominato due volte ?miglior giornalista fotografo dell?anno? dall?international Center of Photography di New York, dal 1992 è presidente onorario della American Accademy of Arts and Science. Il grande fotografo brasiliano ha viaggiato per sei anni attraverso i cinque continenti per realizzare il libro ?La mano dell?uomo?, approfondita ricerca fotografica su scala mondiale sul tema del lavoro e dei movimenti delle popolazioni.


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