Welfare

Nave con mille clandestini dispersa nel canale d’Otranto

La testimonianza di Dino Frisullo

di Redazione

Questa notte, le tre del mattino. In questo momento ad alcune migliaia di chilometri da me e da voi, in nome nostro, forse esplodono bombe a grappolo e fanno strage. Lo sappiamo, e ci indigna. Nel tempo che impiegherete a leggere questa frase saranno morti diversi bambini, di fame. Lo sappiamo, ma non ci scandalizza più. Per primordiale autoconservazione, rimuoviamo un pensiero che altrimenti ci toglierebbe ogni residua gioia di vivere. Ciò che non sapete, e che non sapevo neppure io fino a tre ore fa, è che mentre scrivo più di mille persone stanno tremando di fame, di freddo e di terrore, strette su un guscio di nave in balia del mare forza sette. Quando leggerete questa mail, forse saranno ancora vivi, forse no. Tre ore fa una telefonata concitata ha raggiunto in Belgio la sede di Kon-Kurd, la confederazione della diaspora kurda in Europa, e poi è rimbalzata alla sede romana dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan. “Siamo più di mille, partiti dal porto turco di Smirne cinque giorni fa. Da tre giorni non mangiamo, e ci sono donne e bambini. Il motore è andato a fuoco, la nave è alla deriva e fa acqua. L’equipaggio ci ha abbandonati nel mare in tempesta. Potremmo morire tutti da un momento all’altro. Vi prego, fate qualcosa…” I compagni kurdi informano subito le agenzie di stampa. Io mi attacco al telefono. Dal Viminale mi rinviano alla questura di Lecce, la quale sì, aveva già saputo oggi della segnalazione di una nave in avaria nel canale d’Otranto, sono uscite un paio di motovedette ma il mare era grosso, gli aerei e i radar non dipendono da noi, richiami il ministero… Dal ministero mi dicono allora di verbalizzare un esposto in un ufficio di polizia, altrimenti non possono raccoglierlo. Ma laggiù stanno morendo… Niente da fare: la burocrazia ha le sue prassi. A mezzanotte passata, sentendomi ridicolo, mi presento alla questura di Roma per verbalizzare un naufragio in corso. Per fortuna gli agenti in servizio in questura sono più ragionevoli. Non verbalizzano, s’informano, in tandem con i loro colleghi di Milano allertati dalla locale agenzia Ansa. La Capitaneria di porto di Bari finalmente conferma: la nave esiste, il nome coincide, ma è al sicuro nel proto dell’isola greca di Zante. Sospiro di sollievo. Ma, il naufrago con telefonino, prima che la linea cada definivamente, fa a tempo a confermare: siamo in mare aperto, sopra di noi sono appena passati degli elicotteri. Ma non si sono fermati. Strano? No, non per chi conosce i comportamenti delle autorità greche in fatto di migranti “clandestini”. Come l’Australia o l’Indonesia, cercano di impedire ad ogni costo che i carichi di clandestini sbarchino, sia pure in emergenza, sulle loro coste. Dunque l’ipotesi più probabile è anche la più assurda e cinica: la nave esiste, sta presso Zante (il che coincide con la testimonianza telefonica: l’equipaggio prima di lasciare la nave li aveva avvertiti che mancavano sei-sette ore di navigazione per l’Italia), ma le autorità greche, che l’hanno individuata, la lasciano a dibattersi fra le onde al largo dell’isola, mentre alle aurorità italiane giurano che la nave sta ormeggiata in porto. E se il mare è grosso e la nave è in avaria, non saranno certo gli elicotteri a mettere in salvo più di mille disperati…Il telefonino di partenza non risponde più sulla nave. Tremo al pensiero del senso possibile di questo silenzio. Se oggi sapremo di un enorme naufragio, sapremo anche chi ne è responsabile. Domani, o anche dopo: perchè quella nave, respinta dalla Grecia, se riuscirà a navigare ancora punterà sull’Italia. E in quelle condizioni, non è detto che ci arrivi. Alle tre del mattino, e la stanchezza mi impedisce di ragionare sulle responsabilità di questa, che potrebbe essere la peggiore tragedia del mare Mediterraneo. Solo una domanda: perchè fuggono così, a rischio della vita? Una risposta: tre giorni fa nella città di Dogubeyazit, sulle falde dell’Ararat, i famigerati Jandarma hanno sparato a bruciapelo su un uomo, un dirigente locale del partito (sinora legale) Hadep, dopo aver bussato alla sua porta. I tamburi di guerra coprono questa e molte altre cose. Coprono anche il grido di terrore di quei mille esseri umani in fuga nel mare Egeo.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA