Mondo

Naufraghi senza volto: senza diritti da vivi e da morti

Il libro di Cristina Cattaneo diventa una lettura scenica grazie all'attore e regista Renato Sarti che dice: «Il teatro porta riflessione attraverso l’emozione e l’emozione attraverso la riflessione. Useremo un leggio proprio per rimarcare la natura di documento dei nostri testi, nessun bisogno di interpretare o di ricorrere alla finzione. L’enorme rischio è che i fatti vengano dimenticati o che, come spesso accade, falsificati». Al Piccolo Teatro di Milano dal 20 giugno

di Nicla Panciera

Ci incontriamo una mattina di sole nel quartiere Niguarda di Milano al Teatro della Cooperativa, da lui fondato nel 2001, per parlare di «Naufraghi senza volto», la lettura teatrale che Renato Sarti presenterà con Laura Curino al Piccolo Teatro di Milano dal 20 al 25 giugno (con anteprima venerdì 16 al teatro Miela di Trieste). Il testo ripercorre il dramma dei naufragi nel Mediterraneo narrato nel libro pubblicato da Raffaello Cortina Editore dell’antropologa forense Cristina Cattaneo, responsabile del Labanof Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università degli studi di Milano. La caparbietà della Cattaneo nel restituire identità e dignità ai profughi morti in mare ha portato a un’impresa coordinata dall’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per le Persone Scomparse, dalla Marina Militare e coadiuvata anche da diverse università e organizzazioni di volontariato, che è, scrive l'autrice, «il simbolo di ciò che possono fare le scienze forensi per la tutela dei diritti umani».

Il tema dei migranti non le è nuovo, come è nata questa produzione?

Una mattina, ascoltando Radio Popolare, ho sentito Lorenza Ghidini intervistare Cristina Cattaneo, ho subito letto il libro e l’ho contattata. Dopotutto, il primo spettacolo andato in scena in questo teatro è «Nome di battaglia Lia», donna uccisa da una raffica di mitra di nazisti proprio il giorno della liberazione di Niguarda il 24 aprile 1945. Il secondo è stato «Nave fantasma», la vicenda del battello carico di migranti affondato la notte di Natale del 1996, al largo delle coste siciliane [entrambe le opere pluripremiate].

«Naufraghi senza volto» racconta di migranti trovati e dello sforzo per identificarli: è un passo avanti?

Solo in parte. Certo, in qualche maniera vengono ritrovati ma poi rimangono senza nome. È come se ci fossero persone senza diritti in vita e nella morte, persone di serie A e persone di serie B. C’è un forte valore simbolico nelle vicende che raccontiamo che non si ferma a quel 2013 e a quel 2015.

In che modo il teatro contribuisce qui alla battaglia per i diritti umani, alla «crociata» per usare le parole di Cristina Cattaneo?

C'è un tipo di teatro civile che, anche se non parla esplicitamente di alcune battaglie, racconta i temi del mondo, il progresso e l’emancipazione; poi, c'è un teatro che si schiera. E che può essere anche comico: è teatro politico e di denuncia anche quello di Brecht, Dario Fo e a modo suo William Shakespeare. Dopodiché, il teatro si rivolge direttamente a chi lo vede, pone delle domande e delle problematiche per invitare a elaborare e riflettere. La speranza è che qualche coscienza si muova, ma c’è sempre il rischio, per dirla alla triestina, del Son 'ndà baul e son tornà casson (vuoto sono andato, vuoto sono tornato).

Lei come si è preparato?

Assistendo agli esami autoptici eseguiti dal team di Cattaneo al Labanof e leggendo libri, documenti e interviste. Quanto all'ambigous loss, quella perdita ambigua di chi non ha mai la certezza di un corpo, è esperienza comune alle guerre: mia zia ha sempre avidamente guardato ogni documentario sulla Grande Guerra, alla ricerca di un fotogramma del fratello, mai rientrato dalla Russia.

Cosa ha imparato?

Che la quotidianità impone di alleggerire: esattamente come in Shakespeare i becchini sono gli unici che scherzano, lo stesso accade in sala settoria, l’ironia è per difendersi da quello che rischia di diventare un trailer dell’orrore notturno.

Cattaneo ha deciso di scrivere per «far rivivere al maggior numero possibile di persone, con tutti i loro sensi, quell’oggetto, con i suoi spazi stretti e decrepiti, affinché “vedessero” e capissero la tragedia delle vittime». C’è una peculiarità di questa lettura scenica?

In genere, per non sollecitare la fascinazione per il macabro, rifuggo dalle gallerie dell’orrore presenti in alcuni testi. In questo caso, mi sono trattenuto di meno. Verranno proiettate anche alcune immagini, le più toccanti forse sono quelle degli oggetti appartenuti ai morti in mare che, come scrive Cattaneo, provocano «la stretta allo stomaco più forte» perché «il contenuto delle loro tasche è spaventosamente simile a quello che anche noi ci portiamo addosso».

Ci sono poi le musiche del suo compositore Carlo Boccadoro.

Rimarcheranno solo alcuni momenti. Non c’è bisogno di alcuna costruzione artistica, non c’è niente da interpretare, niente da recitare, nessuna finzione. E la scelta di un’attrice come Laura Curino sul palco lo dimostra: è un'attrice che ha fatto della testimonianza e del suo lavoro di ricerca sui testi la sua drammaturgia. Nelle letture sceniche, generalmente non amo fogli e leggii, ho letto solo nello spettacolo «I me ciamava per nome: 44.787» relativo alla Risiera di San Sabba. Lo farò anche questa volta, proprio per rimarcare la natura di documento dei nostri testi, che sono testimonianze di esperienze vissute realmente in prima persona. L’enorme rischio è che i fatti vengano dimenticati o che, come spesso accade, falsificati.

Nessuna licenza artistica?

Questa non è né un’opera narrativa né un’opera scientifica, il teatro porta riflessione attraverso l’emozione e l’emozione attraverso la riflessione. Tutti i testi sono tratti dai libri di Cristina Cattaneo e dalle sue dichiarazioni. Mi è piaciuto raccontare il suo amore per gli animali che tratteggia un percorso per così dire umano, legato all’emozione e all’impegno, fin da quando, bambina, vedeva ammazzare gli esemplari non buoni alla caccia. Sono tanti i cani che accompagnano Cristina, non solo il suo Argo, ma anche i “siciliani” Orso, Ricky e Rocky e gli altri. Anche nella scena centrale della comparsa all’orizzonte del Barcone di rientro al porto, con tutti i suoi cadaveri intrappolati, loro sono con lei. Sembrano intuirne l'arrivo.

Nel libro si legge: «Anche il più atroce racconto ha un tono diverso, se è riportato da un sopravvissuto. La vera angoscia e l’orrore del viaggio li possono raccontare solo i morti. E quello che avevo di fronte agli occhi ora, nella stiva, era il racconto più semplice ed efficace». È d’accordo?

Sì. Eppure, la tragedia più grande, può sembrare paradossale, è quella di coloro che non riescono a partire, è quella di un mondo diviso tra ricchi e poveri, senza la prospettiva di un governo globale sovranazionale capace di risolvere le diseguaglianze.

Piccolo teatro Grassi via rovello 2 – m1 cordusio 20-22-24 giugno ore 19.30; 21-23 giugno ore 20.30; 25 giugno ore 16.00

Biglietteria teatro Strehler info e prenotazioni – tel. 02.21126116 – www.piccoloteatro.org

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