“All’inizio c’è soltanto uno che canticchia Stille Nacht, heilige Nacht. La canzone della nascita di Gesù risuona lieve e si disperde lentamente nel paesaggio spettrale delle Fiandre. Poi, però, quel canto si diffonde lungo il fronte come un’ondata, <<da un riparo all’altro e dall’intera linea scura delle trincee risuonò: “Schlafe in himmlischer Ruh”>>. Dall’altra parte del fronte, a cento metri di distanza, nelle postazioni degli inglesi, rimane tutto tranquillo. Ma i soldati tedeschi sono in vena e, canzone dopo canzone, danno vita ad un concerto di <<migliaia di voci umane, da ogni dove>> fino a che, dopo Es ist ein Ros entsprungen, rimangono senza fiato. Svanita l’ultima nota, gli uomini che si trovavano dall’altra parte aspettano ancora un minuto, poi cominciano ad applaudire e a gridare: <<Good, old fritz>> e <<encore, encore>>, <<more, more>>. Bis, bis.”
E’ questo l’incipit del libro del giornalista tedesco Michael Jurgs che con il libroLa piccola pace nella Grande guerra (2003, edito in Italia nel 2005 da il Saggiatore, con successive ristampe) fa conoscere al grande pubblico la notizia della disobbedienza civile di massa compiuta la notte di Natale del 1914 dai soldati degli opposti eserciti lungo la linea del fronte della “grande guerra”, che sospesero le ostilità e fraternizzarono.
La guerra era stata dichiarata ufficialmente il 3 agosto di quell’anno e dopo il massacro della “prima battaglia di Ypres”, nelle Fiandre, gli eserciti anglo-francesi e quello tedesco si posizionarono dentro le enormi trincee che tagliarono in due l’Europa, dal Mare del Nord alla Svizzera. L’impatto della tragedia di una guerra che mieteva vittime come nessun’altra precedente – e che nelle previsioni degli Stati maggiori avrebbe dovuto finire “entro Natale” – fu tale che lo stesso papa Benedetto XV si appellò ai governi affinché i cannoni potessero tacere “almeno nella notte in cui gli angeli cantano”. Ma i governi respinsero ufficialmente l’appello, mentre i giornali dei Paesi coinvolti erano impegnati nelle campagne di de-umanizzazione e demonizzazione dell’avversario. Scienziati, letterati e artisti sottoscrivevano autorevoli “appelli” a favore della guerra. E nelle trincee ogni atto di fraternizzazione con il nemico era considerato “alto tradimento” e punito con la morte.
Eppure, quella notte di Natale di cento anni fa, accadde qualcosa di straordinario ed imprevisto, che colse di sorpresa e riempì di rabbia gli Stati maggiori degli eserciti contrapposti, i quali cercarono prima di nascondere e poi di minimizzare i fatti. Qualcosa che oggi si trova raccontato nelle lettere archiviate all’Imperial War Museum di Londra. Per esempio questa del soldato inglese Tom alla sorella Janet, che per la sua lucidità merita di essere letta quasi integralmente:
“…non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi. Tra noi c’è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango. Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festa tranquilla, ma non ci contavamo.
Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: Vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi! Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia. Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. Che cos’è?, ho chiesto al compagno, e John ha risposto: ‘alberi di Natale!’. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: ‘ stille nacht, heilige nacht…’. Il canto in Inghilterra non lo conosciamo, ma John lo conosce e l’ha tradotto: ‘notte silente, notte santa’.
Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa. Quando il canto è finito, gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e ci siamo tutti uniti a lui: ‘the first nowell the angel did say…’. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con le loro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti, e poi ne hanno attaccato un’altra: ‘o tannenbaum, o tannenbaum…’. A cui noi abbiamo risposto: ‘o come all ye faithful…’. E questa volta si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: ‘adeste fideles…. “Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. ‘Inglesi, uscite fuori!’, li abbiamo sentiti gridare, ‘voi non spara, noi non spara!’.
Nella trincea ci siamo guardati non sapendo che fare. Poi uno ha gridato per scherzo: ‘venite fuori voi!’. Con nostro stupore, abbiamo visto due figure levarsi dalla trincea di fronte, scavalcare il filo spinato e avanzare allo scoperto. Uno di loro ha detto: ‘Manda ufficiale per parlamentare’. Ho visto uno dei nostri con il fucile puntato, e senza dubbio anche altri l’hanno fatto – ma il capitano ha gridato ‘non sparate!’. Poi s’è arrampicato fuori dalla trincea ed è andato incontro ai tedeschi a mezza strada. Li abbiamo sentiti parlare e pochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca! Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi.
Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzare poche ore prima. Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con le divise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l’inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. ‘Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra’, ha risposto. ‘Prima di questo sono stato cameriere all’Hotel Cecil.” “Forse ho servito alla tua tavola!’ ‘Forse!’, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: ‘non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla’. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altro tedesco è stato portabagagli alla Victoria Station.
Mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia che sta a Monaco. Anche quelli che non riuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostre sigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce. Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n’è uscito con il tremendo elmetto col chiodo! Anch’io ho cambiato un coltello pieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostrerò quando torno a casa. Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi disfatta.
Noi gli abbiamo ribattuto che non era vero, e loro. ‘Va bene, voi credete ai vostri giornali e noi ai nostri’. E’ chiaro che gli raccontano delle balle, ma dopo averli incontrati anch’io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i ‘barbari selvaggi’ di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – ‘Auld Lang Syne’. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio.
E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?”
Invece la guerra continuò fino al 1918 e fece complessivamente 16 milioni di morti, e dopo di quella vennero altre guerre, “mondiali” e “locali”, che continuano ancora in questa “terza guerra mondiale diffusa”. Invece la “tregua di Natale” – dopo alcune foto pubblicate sui giornali inglesi ed americani nel gennaio del 1915 – fu per lungo tempo dimenticata, proprio perché dimostra che la guerra è estranea all’umanità finché “le masse non vengono avvelenate con la propaganda”, come scrisse Albert Einstein in riferimento alla “grande guerra”. Solo nel 2005, dopo il libro di Jurgs, esce il film Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia di Christian Carion e solo nel 2008 a Frelinghein, tra la Francia e il Belgio viene inaugurato un monumento che ricorda quella sospensione dal basso dei combattimenti. Quest’anno – in occasione del centenario di quell’episodio – c’è un rinnovato interesse: è uscito in Italia il libroLa Tregua di Natale. Lettera dal fronte curato e tradotto da Alberto Del Bono (edizioni Lindau) e la catena inglese di supermercati Sainsbury ne ha fatto un video-spot che è circolato in rete.
Ma a me piace ricordare la canzone e il video di Paul McCartney Pipes Of Peaceche già nel 1983 ricordava la pace dal basso tra le trincee della grande guerra
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