Cultura

Nascono a scuola i registi di domani

Non solo gavetta: per darsi al cinema bisogna studiare, preferibilmente nelle strutture pubbliche. Parola di Silvano Cavatorta e Daniele Segre

di Sara De Carli

Come fare del cinema una professione? Silvano Cavatorta, inventore e direttore di Filmaker, se lo chiedeva pubblicamente, aprendo l?edizione 2005. «Oggi è più difficile rispondere alle domande cruciali di chi si affaccia al cinema: come entrare? Dove trovare le risorse per le opere prime?». Se non lo sa lui, penso… E allora glielo chiedo. La prima risposta la dà di botto: «Studiare, senz?altro. Prediligendo le scuole pubbliche, con una storia seria alle spalle, con molti professionisti collaudati nel corpo docente. Ci sono un sacco di scuole private dai costi proibitivi, che a livello di sbocchi lavorativi però non sono in grado di dare ciò che promettono». Specchietti per allodole, d?accordo, ma come evitarli? Cavatorta si sbilancia: per andare sul sicuro scegliete la Scuola nazionale di cinema di Roma, ex Centro sperimentale di cinematografia; la Scuola di cinema, televisione e nuovi media di Milano e l?Istituto Roberto Rossellini, meglio noto dal nome della sua sede, in via Vasca navale a Roma. «Ce ne sono altre, l?importante è che l?approccio sia teorico-pratico». Ci sono anche altri motivi per cui la scuola è fondamentale: perché fai un?esperienza su un set, incontri persone con la tua stessa passione, ti metti alla prova, fai gruppo. «Il primo lavoro è sempre gratis, e allora devi arrangiarti come puoi. Col digitale i mezzi sono accessibili, anche economicamente, il problema sono le persone: fra compagni si possono unire le competenze. È qui che ognuno si inventa la propria via». Il primo prodotto per Cavatorta è cruciale: «Non esiste più la prospettiva di partire dalla gavetta a Roma: funzionava negli anni 60, quando in Italia si producevano 70 film all?anno. A Roma è meglio arrivare quando si ha in mano qualcosa da far vedere: è una specie di portfolio. Per questo i festival sono così importanti?». Viaggia sulla stessa lunghezza d?onda Daniele Segre, figura di spicco del segmento più impervio del settore, il cinema della realtà. «Questo è un territorio di resistenza. In teoria è una palestra di formazione eccezionale, ma il mercato poi non è disponibile ad acquistare». Segre dei segnali positivi li vede, soprattutto nell?università, che dal punto di vista dell?attenzione ai linguaggi audiovisuali sta cambiando in meglio.Come quella di Pisa, dove lui insegna. È docente anche alla Scuola nazionale di cinema e pure lui consiglia la strada dei festival, da affrontare ancora prima di fare una scuola di specializzazione: per approcciare il mezzo tecnico e verificare le proprie capacità. E pure lui è preoccupato dalle scuole-trabocchetto: «Eviterei strutture luminose e prediligerei scuole storiche. Se uno può spendere 8mila euro all?anno, invece di buttarli in una scuola-parcheggio vada all?estero. Ci sono ottime scuole a Parigi e a Londra. Per scoprirle consiglio di frequentare Cinéma du réel, il festival che si svolge a Parigi al Centre Pompidou». Ma la golden rule di Segre è un?altra: «Non pensate a fare solo i registi. Ci sono molte altre professioni nel mondo del cinema, come il fonico o il tecnico di post produzione. Sarà meno romantico, ma è la strada più realistica per lavorare».


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