Economia
Nasce l’asse Coldiretti-Unci
Marini: Sarà la più grande centrale coop agroalimentare. Negativa Confcoop: «Così aumentano le divisioni»
Una filiera agricola tutta italiana, un grande sistema agroalimentare, che premi i produttori e offra ai consumatori prodotti di qualità e a un prezzo giusto, attraverso una estesa rete commerciale (attualmente sono 2mila i mercati di campagna amica, 2mila i punti di vendita delle cooperative, mille dei consorzi agrari, 5mila agriturismi e 10mila aziende agricole). Così il numero uno di Coldiretti Sergio Marini (in foto) ha annunciato l’accordo che Coldiretti e Unci (Unione nazionale cooperative italiane) hanno firmato per realizzare la più grande centrale cooperativa agroalimentare nazionale. I due soggetti creeranno un’ampia rete territoriale per la rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative aderenti, organizzata attraverso una funzionale sinergia tra le strutture di servizio già esistenti. Per guidare il processo di riorganizzazione che darà vita alla nuova centrale con l’adesione delle cooperative agroalimentari dell’Unci e della Coldiretti, si è deciso il commissariamento dell’Ascat (Associazione nazionale delle cooperative agricole e di trasformazione agroindustriali aderenti all’Unci). Lo guiderà Mauro Tonello, vicepresidente Coldiretti, affiancato dal Carlo Catanossi e da Paolo Galligioni.
Un’operazione che non piace a Confcooperative. «La montagna ha partorito il topolino. Quello che è nato è un accordicchio che alimenterà la divisione nel mondo agricolo, non produrrà alcun effetto positivo per i soci e non aiuterà i produttori. Chi ha stretto questo accordo dimostra di non lavorare per il rafforzamento delle imprese. L’esperienza Federconsorzi, purtroppo non è servita a nulla», questo il commento che arriva dalla associazione della coop bianche.
L’assemblea Coldiretti
Un made in Italy responsabile e trasparente. Che tenga conto delle esigenze dei produttori agricoli e di quelle dei consumatori. Che sappia interpretare il suo ruolo – mettere sul mercato prodotti sicuri, dal punto di vista alimentare, equi sotto il profilo della remunerazione di tutte le componenti – e al tempo stesso essere motore di sviluppo. È questo il fil rouge che ha caratterizzato l’assemblea di Coldiretti aperta stamattina al centro congressi Rospigliosi, nella capitale.
Una comprensibile euforia
Una assemblea che si svolge all’indomani di un importante successo: i tre giorni della mobilitazione che ha portato gli imprenditori agricoli ai valichi e ai porti dello Stivale hanno prodotto la presentazione ufficiale di un decreto che prevede l’obbligo di indicare l’origine in etichetta per latte e derivati e sul divieto dell’uso delle polveri per la produzione di formaggi. Ovviamente l’iniziativa è stata sospesa: saranno tolti tutti i presidi ai valichi di frontiera e nei porti. «Con la nostra mobilitazione di oltre centomila agricoltori abbiamo ottenuto» – ha sottolineato il presidente di Coldiretti – «un primo e grande risultato che va nell’interesse degli imprenditori agricoli, ma soprattutto dei consumatori e della trasparenza e competitività dell’intero sistema Paese. Un sincero ringraziamento va al ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, che ha presentato il decreto e a tutte le forze dell’ordine, dalla guardia di finanza ai carabinieri, dai servizi doganali alla polizia di Stato, delle quali abbiamo potuto apprezzare anche in questa occasione la grande professionalità». Comprensibile dunque il clima di euforia nel quale si è aperta l’assemblea nel corso della quale Marini ha riferito anche dell’incontro, svoltosi ieri, con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che si è impegnato a mettere in calendario gli altri provvedimenti di interesse agricolo.
Ripensare il proprio ruolo
Giacché l’etichetta per latte e derivati, è solo il primo passo. Forte di un sondaggio secondo il quale il 98% dei cittadini considera necessario che debba essere sempre indicato in etichetta il luogo di origine della componente agricola contenuta negli alimenti, la Coldiretti intende impegnarsi ora per la generalizzazione dell’etichetta (attualmente è esente dall’obbligo oltre il 50% della spesa: non è prevista infatti per la carne di maiale, coniglio e agnello, per la pasta, le conserve vegetali, ma anche per il latte a lunga conservazione e per i formaggi non a denominazione di origine). L’etichettatura non è comunque un obiettivo in sé: è strumento necessario per la lotta alla contraffazione, per l’affermazione di maggiore competitività (a favore dei consumatori) e per la realizzazione di una filiera alimentare tutta italiana. Un cavallo di battaglia per la più grande organizzazione europea di imprenditori agricoli sempre più protesa alla difesa del made in Italy e sempre più determinata ad assumere un ruolo più ampio. «Vogliamo essere una forza sociale», spiega ai giornalisti Marini, che lo sia davvero, «che rappresenti una ampia fetta della società». Un pezzo di società che sappia scardinare antiche posizioni di privilegio (quelle della grande distribuzione, per intenderci) che non aiutano né l’economia né i cittadini. Tant’è che nel 2009 sono nate più imprese agricole che industriali. I dati elaborati da Infocamere confermano il ruolo anticiclico del settore primario, che nel primo semestre di quest’anno ha visto nascere 18.863 imprese in agricoltura contro le 15.556 dell’industria. Ruolo anticiclico fortemente ridotto dalla mancanza di vera competizione sul mercato: i prezzi dei prodotti alimentari continuano ad aumentare su base tendenziale nonostante il crollo dei prezzi alla produzione. Una dimostrazione in più, sottolinea Marini, che vi sono pesanti distorsioni nel passaggio degli alimenti dal campo alla tavola che colpiscono gli agricoltori ed i consumatori.
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