Non profit

Napolitano, ultimo appello

Estremo tentativo di salvare la legislatura, giornata cruciale

di Franco Bomprezzi

Il presidente della Repubblica usa tutto il peso del suo ruolo super partes per cercare di far tornare la politica al compito di governare il Paese. Il suo appello da Bergamo perché si esca dalla spirale delle contrapposizioni arriva alla vigilia del giorno più lungo per il governo e per la maggioranza, con il voto sul federalismo e sul caso Ruby.

“Sì del premier all’appello del Colle” è l’apertura del CORRIERE DELLA SERA, servizi sulla situazione politica da pagina 2 a pagina 9. E’ Bergamo, cuore del federalismo della Lega, ma anche “la città dei Mille”, il palcoscenico ideale per Napolitano dal quale lanciare il suo accorato appello a tutti. “Napolitano, appello alle istituzioni «Uscire dalla spirale degli scontri»” è il titolo che apre pagina 2. Subito sotto, la nota politica di Massimo Franco: “Tentativo di rilancio fra sponda del Colle e incognita elettorale”. L’incertezza è il dato dominante. Scrive Franco: “Nel limbo temporale di febbraio si potranno misurare per intero l’impatto dell’indagine della magistratura e la «scossa» alla politica economica annunciata ieri. Se lo sfondo permetterà una tregua, il Presidente del Consiglio può sperare di continuare a governare. Se invece i problemi si affastelleranno, la prospettiva è quella di uno scioglimento delle Camere tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, per votare a maggio.”. Intanto ha suscitato polemiche reazioni l’intervista “esclusiva”, mandata in onda alle 20 dal direttore del Tg1 Minzolini, al presidente del Consiglio. Titolo a pagina 3: “Polemiche su Minzolini, Il Pd: via lui o il dg Masi”. Intanto il governo tenta di rimettere in moto il programma: “Vertice premier-Tremonti: misure senza nuove spese” è l’apertura di pagina 5, ma, a pie’ di pagina, un documentato e amaro pezzo di Sergio Rizzo, stronca i proclami del 2008: “Torna (per la quarta volta) il Piano casa. Ma senza decreto legge non può funzionare”. Ecco un passo illuminante:  “«Garantisco che le Regioni di centrodestra daranno via al Piano casa entro la fine del mese», aveva proclamato il 13 giugno del 2009. Arrivando a precettare i governatori a lui fedeli, poche ore prima delle regionali del 2010: «Dove vinceremo approveremo immediatamente il Piano casa ». E così, più o meno, è stato. Dei risultati attesi, però, nemmeno l’ombra. La Lombardia, per esempio. In quella Regione la legge che ha recepito il piano nazionale è passata a tambur battente. Peccato che le domande, sei mesi fa, fossero soltanto 91. Novantuno su 1.546 Comuni. Volume d’affari, si e no 200 milioni, come ha scritto sul Corriere Andrea Senesi, contro i sei miliardi previsti dal governatore Roberto Formigoni. Seguendo le più elementari regole dello scaricabarile la responsabilità del fallimento è stata addossata ai sindaci, colpevoli di non aver garantito un’adeguata grancassa all’operazione. Nella Sardegna di Ugo Cappellacci, invece, le pratiche erano appena 22. Una di queste riguardava Villa Certosa, la residenza di Berlusconi. Oggetto: costruzione di bungalow abitabili.” Ma oggi è voto alla Bicamerale: “Federalismo, muro contro muro. Bossi: o passa o salta tutto” titolo a tutta pagina 6 del pezzo di Roberto Bagnoli. Vedremo oggi. L’ultima scadenza della giornata, il voto sul caso Ruby, occupa altre due pagine del quotidiano di via Solferino, la 8 e la 9. “Centrodestra ottimista sui numeri «L’opposizione avrà tanti assenti»” è il titolo del pezzo di Monica Guerzoni. Curiose due notizie a piede: “«Oggi»: Ruby incinta, presto le nozze”, e, a fianco, «Perquisita la casa di Brigandì” (sequestrato un computer al membro laico, leghista, del Csm, a proposito del dossier sulla Boccassini).

«Federalismo, Bossi minaccia la crisi» è l’apertura de LA REPUBBLICA. In prima pagina l’editoriale del direttore, titolo: «Riforme e credibilità», dedicato alle dichiarazioni di Berlusconi intervistato dal tg1. Scrive Ezio Mauro: «Prendiamo sul serio il Presidente del Consiglio quando annuncia che intende finalmente occuparsi dell’economia, della crescita e della necessità di dare la scossa ad un sistema bloccato. Sarebbe ora, dopo che da mesi e mesi l’esecutivo è prigioniero nel bunker del suo presidente, e non produce né politica né governo. Come dimostra la minaccia finale di Bossi di andare al voto se non passerà il federalismo». La conclusione è che «Un ritorno alla politica è utile, un piano per la crescita è necessario. Ma la politica è credibile quando le istituzioni sono credibili. Berlusconi dimostri finalmente che la legge è uguale per tutti, e si difenda davanti ai magistrati, senza criminalizzarli. Altrimenti, è lecito pensare che il suo piano economico è un diversivo per sfuggire a uno scandalo che lo sovrasta, perché non può dire la verità agli italiani». All’interno si parla di «combinato disposto Colle-Palazzo Chigi» che può tenere «aperta la partita sul federalismo». Giorgio Napolitano «commosso quasi alle lacrime dall’accoglienza che Bergamo gli riserva pure in assenza del concittadino ministro leghista Calderoli, conosce perfettamente qual è la posta in palio». Le pagine 6 e 7 si concentrano sul voto di oggi, nella commissione bicamerale i decreti attuativi sarebbero «senza maggioranza», con la «parità di voti, fallisce il pressing del Governo». Mentre un «dossier» è dedicato all’imposta municipale: «ecco la patrimoniale su artigiani e commercianti». 

A proposito di abbassare i toni, il titolo d’apertura de IL GIORNALE è “Nasce il partito dei Pm”, l’editoriale è di Salvatore Tramontano «il partito dei Pm sente l’odore della vendetta. Sono convinti di poter finalmente correggere la storia ed eliminare l’anomalia Berlusconi. L’offensiva ha tutte le caratteristiche di un assalto finale. È giudizia­ria. È culturale. È ideologica. La parte giacobina della magistratura è il braccio armato, ma ora è nato anche il movimento politico di riferimento, che va oltre il Pd e i dipietristi, è un movimento che non ha alcuna rappresentanza in Parlamento e si propone come intellighentia forcaiola della piazza anti Cav. Il nome fa capire che qualsiasi azione contro Berlusconi è lecita, è moralmente giustificata: “legittima difesa”. È un modo per far capire al mondo che di fronte a una situazione eccezionale, l’esistenza del Cavaliere, si può calpestare la democrazia, i diritti dell’uomo, le libertà fondamentali e anche sospendere la Costituzione». Tramontano aggiunge poi «Chi sono i capi di questo movimento? Un triu­mvirato di tribuni che da tempo considera la de­mocrazia un’inutile per­dita di tempo. Sono Mi­chele Santoro, Barbara Spinelli e Marco Trava­glio. Rinviata la manife­stazione del 13 febbraio davanti al tribunale di Milano, il battesimo ufficiale del nuovo movimento avviene con una lettera di arrogante supe­riorità, una sorta di sup­plenza al vuoto dell’op­posizione parlamentare».  A seguire due provocazioni. Una di Marcello Veneziani. Con “Raccogliamo le firme per dare una sinistra al Paese” il giornalista dipinge impietoso il Pd «dunque, un governatore di sinistra è stato sepolto sotto tonnellate di monnezza. Un altro governatore di sinistra è tornato al trans-trans della sua vita privata di inviados speciale. Un altro governatore del centrosinistra ha sbattuto ieri la porta e abbandonato il partito. Fanno le elezioni in casa loro e riescono a perderle anche senza avversari; oppure le vincono con i brogli e si denunciano a vicenda. La base del partito è sbranata tra una corrente filoVendola ed una filoDiPietro, più finiani e grillini. Anche al suo interno, il Pd è in minoranza. Un sindaco di casa loro, il Renzi, vuole rottamare i suoi capi, a cominciare dal capataz. L’economista serio di casa, il Rossi, sbatte la porta e se ne va. E con questo scenario da piangere, il loro leader Bersani, in arte Gargamella, rifiuta di dialogare con il governo dicendo che non è credibile, il tempo è scaduto, se ne deve andare… Ma se non ci fosse Ruby, di che campe­rebbe questa gente? Se non ci fossero i magistrati, la stampa, un pezzo di potentati, qualche carica istituzionale, gli intellettuali da passeggio, più quei poveri manifestanti con il labbro imbronciato da indignazione permanente, dove sarebbe finito questo Pd? Cos’è il Pd, come definirlo, Partito Defunto, Patata Decomposta, iPad senza vocali?». L’altra è di Vittorio Sgarbi che lancia la bomba “Ruby incinta. E Sgarbi sfida i pm: Sono stato con lei”. «“Anch’io sono stato con Ruby. Chiunque l’avesse vista avrebbe avuto voglia di stare con lei. Attendo adesso di essere indagato e di ricevere l’avviso di garanzia”. Così Vittorio Sgarbi è intervenuto ieri sull’inchiesta sui presunti festini di Arcore. “Ruby – ha sottolineato in una nota – dai dodici ai diciassette anni ha conosciuto molti uomini, che l’avranno contattata per telefono. E allora perché i magistrati di Milano indagano solo Berlusconi?”. Staremo a vedere se i pm daranno seguito all’uscita di Sgarbi.

Su IL MANIFESTO in una prima pagina dominata dai fatti egiziani, il federalismo fiscale e la politica italiana è relegata in due richiami «Crisi di governo – Tremonti manda a casa Berlusconi: il bilancio è sacro» il primo e «Federalismo fiscale – No delle opposizioni: la riforma è fallita. Oggi il voto decisivo». Due le pagine che parlano di questi argomenti, la 6 e la 7. Alla 7 trova spazio anche un box sulla visita di Napolitano a Bergamo «Basta contrapposizioni, serve più sobrietà. Anche nei Tg». Punta su questo particolare del richiamo di Napolitano anche il corsivo di prima pagina, poche righe sotto il titolo «Nessuna resa alla “Cronaca nera”» a firma di Matteo Bartocci che scrive: « Ci dispiace per il presidente della Repubblica ma di “cronaca nera” sui giornali sarà costretto a leggerne ancora a lungo. Perché il decreto “milleproroghe” contiene di tutto tranne un impegno. Decisivo per noi e per altre 90 testate in cooperativa, non profit e di partito. Senza la restituzione dei 50 milioni sottratti alla finanziaria questo e molti altri giornali dovranno chiudere o ridurre costi e qualità. Peccato. (…)». Per quanto riguarda l’atteso voto di oggi alla bicameralina a pagina 7 apre l’articolo «Il federalismo fiscale fallisce prima ancora di cominciare» a firma di Matteo Bartocci. «Sul federalismo fiscale l’aritmetica è un’opinione. La “bicameralina” valuta gli emendamenti al testo Calderoli come un continuo, inafferrabile, work in progress. Si naviga a vista, su una riforma “liquida”, scritta sull’acqua del compromesso politico.  (…) Federalismo è tutto e niente. È un vessillo elettorale. Una rendita politica. A palazzo San Macuto va in onda l’ultimo suk targato Calderoli. Oggi all’ora di pranzo ci sarà il voto decisivo. E se la notte non avrà portato Tremonti a più miti consigli, a meno di stampare moneta fasulla il voto nella “bicameralina” si risolverà nel fatidico pareggio. (…)» E ancora: «Nel decreto Calderoli dunque restano la cedolare sugli affitti che premia i proprietari, la nuova Imu sugli immobili che in pratica reintroduce l’Ici (non sulla prima casa), l’aumento delle addizionali Irpef, la tassa di soggiorno sui turisti e la possibilità di una tassa di scopo. Tutte misure che si possono tradurre in un altro aumento delle tasse. (…)». Insomma osserva: «La riforma può dirsi fallita. È rumoroso come non mai, non a caso, il totale silenzio del Carroccio dopo questa giornata campale e la probabile bocciatura di oggi. La gioiosa macchina da guerra leghista è finita vittima delle sue macchinazioni e ha fallito anche questa legislatura come tutte le precedenti. Restano però alte le bandiere. Se pareggio sarà, il Pdl spera di convincere i leghisti che si può andare avanti lo stesso portando il decreto in aula. (…)». Di spalla un articolo dedicato al debito pubblico titola «Beati i poveri che saranno i primi. A pagarlo», il debito ovviamente. Tonino Perna scrive: «Prima le Regioni, adesso i Comuni. Il federalismo fiscale ha innescato una grande conflittualità tra lo stato e gli enti locali. E non è che l’inizio. Chi si illudeva che questo strumento potesse essere usato per far crescere le autonomie locali (oltre il centrodestra anche il Pd) senza intaccare i livelli standard dei servizi pubblici, non faceva i conti col fatto che in tempi di vacche magrissime il “federalismo fiscale” si traduce in una sciagura per i ceti popolari e le aree più deboli del paese. (…)». Per quanto riguarda il governo e la sua tenuta, la lettura del MANIFESTO è a pagina 6 «Governo in fumo» titola l’apertura a sfondare su una fotografia che ritrae Tremonti e Berlusconi in un momento di smorfie tormentate contemporanee. Riassume il sommario dell’articolo di Micaela BOngi: «Tremonti manda all’aria il «piano per la crescita» del Cavaliere. Le casse del Tesoro restano chiuse. Il Carroccio tace. E nemmeno le “domande” del Tg1 mettono di buon umore il premier. Maroni: “Non so quanto dureremo”». 

IL SOLE 24 ORE non è un’edicola per uno sciopero della redazione contraria al piano di tagli proposto dall’azienda. “Berlusconi, scatta la pace armata” titola ITALIA OGGI. Sul discorso di Napolitano, il quotidiano dei professionisti dedica un pezzo a pag 3 con varie reazioni politiche sia da parte  del governo che dell’opposizione. Secondo la lettura delle dichiarazioni raccolte, quelle di Berlusconi hanno il sapore di un mea culpa mentre l’opposizione ritiene che la sintonia del premier con Napoletano sia un bluff. Molto divertente la vignetta che fa da spalla al pezzo. Berlusconi è ritratto come un draghetto verde con un estintore che proclama:«Da grande farò il pompiere». Nella Nota Politica a pag 2 “La battaglia politica è sempre più sul peso fiscale”  Marco Bertoncini fa notare che la tesi sulla responsabilità dei Comuni non potrebbe essere sufficiente a superare un eventuale pareggio in bicamerale. «Peccato che proprio il presidente dell’Anci Sergio Chiamparino» scrive Bertoncini «abbia già assicurato che sarà inevitabile l’aumento delle tasse. Peccato, altresì, che analisti ed esperti siano di parere opposto. Ma, va da sé, guai che se oggi dovesse passare l’equivalenza federalismo = più tasse. Sarebbe smentire il nuovo corso intrapreso dal presidente del Consiglio».

AVVENIRE apre ancora sull’Egitto sull’orlo della guerra civile e riserva alla politica italiana un richiamo ai servizi interni nelle pagine 8 e 9. Il titolo, su due righe, accomuna il discorso di Napolitano “Basta con le prove di forza” a Berlusconi che “Promette la scossa per lo sviluppo”. Il Capo dello Stato chiede di spezzare «la spirale delle contrapposizioni» e auspica un’informazione più pacata per rasserenare il clima politico. Napolitano ha anche detto che per realizzare il federalismo «è decisivo un corretto clima di costruttivo confronto in sede istituzionale». Berlusconi fa suo l’appello del Quirinale, fa un appello alle opposizioni a deporre le armi  e annuncia che il pacchetto anti-crisi sarà oggetto del prossimo Consiglio dei ministri, che slitta però a martedì. Dietro il rinvio della riunione dell’esecutivo, oltre la motivazione ufficiale del consiglio Ue di venerdì, ci sono i timori per l’accelerazione della Procura milanese. Il ministro dell’Interno Maroni appare scettico e ammette chiaramente di non sapere quanto durerà il governo, mentre Bossi nelle ultime ore si è trincerato dietro un silenzio eloquente. Nell’articolo di pagina 9 Angelo Picariello scrive. «La Padania già sente puzza di bruciato e avverte: “Senza federalismo – riforma che vuole anche Napolitano – a rischiare la bocciatura è l’intera classe politica e il nostro popolo non capirebbe…”. Vige un clima di incertezza, e lo stesso leader non sa più se la strada giusta sia assecondare la “scossa” o smarcarsi del tutto».

“Appello del Colle: Basta scontri. E il premier si allinea”. LA STAMPA apre la prima pagina con Napolitano, proseguendo all’interno con pezzi di cronaca discorso e le reazioni di ieri. L’editoriale è affidato a Marcello Sorgi, che si concentra sul rapporto del premier con la Lega. Innanzitutto c’è la posizione di Napolitano: «per la seconda volta in tre giorni il Capo dello Stato ha ribadito che la situazione è al livello di guardia», dando segnali che così non si può andare avanti. Poi Tremonti, che fino a martedì non sapeva nulla del “nuovo piano di rilancio economico” annunciato da Berlusconi e che su questo «nutre molte perplessità» scrive Sorgi. Ma la vera novità è la posizione di Maroni: in una settimana ha parlato due volte per esprimere il suo scetticismo sulla trattativa sul federalismo, che rischia di snaturare la riforma, e ribadire la sua convinzione che il governo abbia i giorni contati. «Un’incrinatura di questa portata nel rapporto fra la Lega e il Cavaliere che finora non si era mai vista», commenta l’editorialista, tanto che circola addirittura la voce di un governo Maroni, come strada per evitare (o rinviare) le elezioni, rimettere insieme i pezzi del centrodestra e aprire più seriamente la discussione sul federalismo. Splendido il “Buongiorno” di Massimo Gramellini. Riporta tutte le domande a dir poco sdraiate dell’intervista del Tg1 a Berlusconi, e conclude così: “Domande dure, niente da dire. Di quelle che lavorano ai fianchi l’interlocutore, specie nel caso in cui soffra di solletico. A volte capita di leggerle anche sui giornali, ma sussurrate all’ora di cena sul primo canale della tv di Stato fanno tutto un altro effetto. Pur intimidito dalla prospettiva di trovarmi al cospetto di un superuomo che teneva entrambe le mani sopra la cartina geografica del mondo intero, al posto dell’intervistatore del Tg1 avrei approfittato della storica circostanza per rivolgere a Berlusconi una domanda ancora più insidiosa. 4. Presidente, come va?”.

E inoltre sui giornali di oggi:

DON EVALDO
CORRIERE DELLA SERA – Fiorenza Sarzanini racconta a pagina 11 le imprese di don Evaldo Biasini, coinvolto nell’inchiesta “Grandi Eventi”. L’economo della Congregazione del Preziosissimo sangue avrebbe custodito anche i “50.000 euro cash” poi consegnati a Guido Bertolaso, e provenienti dal costruttore Diego Anemone. Interessante questo passaggio: “Il «programma di gestione contabile» che il sacerdote conservava su alcune chiavette Usb ha consentito di scoprire la gestione diretta di almeno 50 conti correnti, dei quali tredici erano intestati allo Ior e servivano a movimentare soprattutto valuta straniera”.

EGITTO 
IL MANIFESTO – «Sotto ricatto» è il titolo di apertura per raccontare i fatti d’Egitto. «Assalto ai manifestanti di piazza Tahrir con pestaggi, cariche selvagge con cavalli e cammelli, pioggia di pietre e raid di agenti in borghese. E l’esercito resta a guardare. È la vendetta del regime contro le proteste di massa. Bilancio, 600 feriti e almeno un morto, ma gli scontri proseguono nella notte. Mubarak non cede. Un risveglio amaro per gli egiziani che si sono ribellati» tre le pagine dedicate al tema e l’editoriale di Marco d’Eramo «Obama, doppio dilemma». D’Eramo scrive che Obama: «Da un lato infatti deve appoggiare i tentativi di democratizzazione in corso: se non lo facesse, l’immagine degli Usa “paese della libertà” ne uscirebbe macchiata assai. Dall’altro lato deve far sì che l’Egitto continui a essere nel mondo arabo il partner più fidato di Israele. Ora, il problema è che a percorrere la via democratica fino in fondo, il governo che emergerà rispecchierà più da vicino i sentimenti popolari e quindi sarà meno filo-israeliano, se non addirittura anti-israeliano (…) Usando un concetto della teoria dei sistemi, Obama è in una situazione di double bind da cui non può districarsi semplicemente nominando un altro dittatore, (…) È dal colpo di stato del 1952 che l’Egitto è ininterrottamente governato da militari di carriera (Muhammad Naguib, Gamal Abdel Nasser, Anwar El Sadat, Hosni Mubarak). Ma il mondo in cui si trovano a operare gli Stati Uniti oggi non è più quello in cui, parlando del dittatore nicaraguense Somoza, il presidente Franklin Delano Roosevelt poteva dire: “Sarà un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Oggi, non fosse altro che per l’esistenza di Al Jazeera e di Internet, non è più così semplice sostituire “i nostri figli di puttana”. Da questo punto di vista, il timore che l’Egitto si trasformi in un nuovo Iran (e che Obama faccia la fine di Jimmy Carter) non è del tutto infondato (…)».

FAMIGLIA
AVVENIRE – L’editoriale “Fare i tedeschi ma in tutto”, firmato da Luigi Campiglio, parla della crisi che si è abbattuta in maniera pesante sulle famiglie. «Ne avevamo avuto il sentore netto, ora l’Istat lo certifica, pubblicando i dati sulla distribuzione del Pil e del reddito disponibile per e famiglie nel triennio 2007-2009», scrive. Dopo aver analizzato i dati e i possibili scenari, conclude che, come in Germania, per sostenere i redditi e rilanciare il Paese, occorre puntare su una fiscalità premiante per la famiglia. A pagina 7 i servizi sul calo del 2,7% sui redditi delle famiglie, il primo da 14 anni. Secondo il presidente Acli Andrea Olivero il calo «non è equamente distribuito e allarga la forbice tra ricchi e poveri» mentre il dato «è preoccupante anche dal punto di vista simbolico perché può ingenerare un processo di sfiducia».

NUCLEARE
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina sullo stop della Cassazione al governo: «Bocciato il decreto: l’esecutivo dovrà ascoltare le Regioni sulla scelta dei siti Un rapporto del congresso Usa: fare nuove centrali non conviene». Gli articoli sono a pagina 5 dove si conclude anche l’articolo di Guglielmo Ragozzini, che inizia in prima dedicato al referendum sull’acqua. Sul nucleare si ricorda come «La Consulta dichiara anticostituzionale quella parte del decreto legislativo sul nucleare che non prevedeva la possibilità che le Regioni interessate esprimessero il loro parere sulla costruzione di nuove centrali. Si tratta di un duro colpo per la lobby dell’atomo. Esultano opposizioni ed ecologisti, soddisfatti gli amministratori locali». Luca Fazio scrive: «Un atto di sano federalismo che mette i bastoni tra le ruote alla potente lobby filo nucleare che sta truccando il dibattito sul futuro energetico italiano a colpi di spot e informazione prezzolata. Così va letta la sentenza della Corte Costituzionale che ieri ha ridimensionato il potere del governo centrale stabilendo un principio che solo apparentemente sembra del tutto sensato: non si possono costruire centrali nucleari senza prima aver ascoltato il parere delle Regioni interessate (…)» Osservando: «(…) i consigli regionali favorevoli al nucleare ora saranno chiamati a mettere nero su bianco la loro eventuale disponibilità, con l’evidente rischio di giocarsi il consenso dell’elettorato (non per niente solo il presidente della Regione Piemonte, Cota, si è detto disponibile ad ospitare una centrale nucleare, mentre il lombardo Formigoni, che è più furbo, continua a mantenere una posizione ambigua)». 

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