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Napolitano a San Vittore

di Sergio Segio

La visita del Presidente Giorgio Napolitano nel carcere milanese di San Vittore e le parole che ha pronunciato nell’occasione suggeriscono un’immagine di potenza e di impotenza al tempo stesso.

Potente, e coraggiosa, è la considerazione che la drammaticità della condizione carceraria «mette in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia», poiché «La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’artico 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità».

Non è tanto la visita di un Capo dello Stato a San Vittore dunque a essere un fatto inedito e importante. Sono queste parole pronunciate dal massimo garante della Carta costituzionale, che denunciano l’illegalità della situazione in cui versano le carceri, a essere gravi e vere. Gravi perché vere.

E la verità è e rimane un fatto potente; perché troppo spesso trascurata o addirittura ridicolizzata dalla politica; specialmente in momenti storici come l’attuale, nel quale spesso istituzioni e politica sembrano perdere progressivamente di autorevolezza e di credibilità agli occhi dei cittadini.

 

Impotente è stata invece la sottolineatura di Napolitano allorché ha ricordato di aver «colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità della condizione delle carceri» e l’amara affermazione: «avrei auspicato che quegli appelli fossero stati accolti in maniera maggiore».

Ci torna alla memoria una stessa immagine in un’occasione simile: quando il Papa Giovanni Paolo II si recò nel carcere romano di Regina Coeli, nella ricorrenza del Giubileo, un anno in cui, ancora e di nuovo, il Parlamento e i partiti politici non seppero e non vollero dare un risposta di clemenza e di umanità alle intollerabili condizioni di vita dei detenuti.

Un’occasione storica perduta, come lo stesso pontefice non esitò a rimproverare alle Camere riunite nell’occasione delle sua visita due anni dopo, il 14 novembre 2002.

Immagini simili, parole simili, rimpianti analoghi cui il Parlamento di ieri e quello di oggi sembrano rimanere del tutto indifferenti e inerti.

Ecco che allora rischia di cadere nel vuoto l’alto riferimento fatto da Napolitano a una figura come quella di Piero Calamandrei.

Un Parlamento che in tempi relativamente recenti ha visto suoi membri sventolare cappi in Aula e forze politiche che ormai da vent’anni sono prigioniere del meccanismo infernale da loro stesse creato di un uso enfatizzato e strumentale delle problematiche della sicurezza, che produce sempre più carcere e sempre maggiore irrigidimento del sistema penale e penitenziario, oltre che un incattivimento e una disinformazione della pubblica opinione, non sono forse davvero in grado di comprendere quel riferimento e quell’invito.

Ma questo rende ancora più importanti le sofferte parole pronunciate quest’oggi dal Capo dello Stato e per le quali tutti lo dobbiamo ringraziare.

 

Sergio Segio e Sergio Cusani

 

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