Welfare

Napoli tutto esaurito

Se ne è accorto anche il ministro Castelli. In tutta Italia il sovraffollamento è una pentola a pressione. Intervista a Rino Pastore.

di Redazione

Finalmente se ne è accorto anche il ministro Castelli: «Il carcere scoppia». Gli ultimi dati del ministero della Giustizia sono inclementi: nelle nostre prigioni ormai si ammassano 59.012 detenuti. Circa 17mila in più rispetto alla capienza regolamentare. Nel disastro generale la maglia nera spetta ancora una volta alla Campania. Dove con 7.340 presenze complessive non solo è stata abbondantemente superata la capienza massima fissata per legge (5.109), ma sono stati frantumati perfino i limiti di tolleranza (stabiliti a quota 6.704). Il tutto aggravato da un tasso di tossicodipendenti superiore a quello nazionale di ben 4 punti percentuali (33% contro 29). Simbolo della tragedia campana sono i due istituti del capoluogo: Poggioreale e Secondigliano. Difficilmente sapremo come reagirebbe il ministro Castelli se mai dovesse entrare in uno di questi penitenziari, come fa ogni mattina, da 5 anni a questa parte, lo psichiatra Rino Pastore. Quarantanove anni, papà di due bambini, guida uno staff di 10 psicologi, 3 medici specialisti, un sociologo criminologo e 3 infermieri, che tutti i giorni, festivi inclusi, dalle 8 alle 15 gestisce il servizio per tossicodipendenti nei due istituti napoletani di Poggioreale e Secondigliano. Non si tratta di due carceri qualsiasi. Ma due veri e propri ?casi-studio? per comprendere cosa significhi davvero la parola ?sovraffollamento?. A Poggioreale, infatti, a fronte di una capienza regolamentare di 1.359 posti, risiedono 1.966 detenuti. Non vanno meglio le cose a Secondigliano dove 1.259 persone sgomitano per sopravvivere in un luogo attrezzato per ospitarne 918. Vita: Se dico sovraffollamento, cosa le viene in mente? Rino Pastore: Penso che nelle celle le perone stanno in piedi a turno perché non c?è un posto a sedere per tutti. Penso che le docce si fanno una volta a settimana, se va bene. Penso che l?amministrazione penitenziaria non è in grado di soddisfare l?assistenza sanitaria e psicologica. Vita: Ovvero? Pastore: L?emergenza non è legata ai tossici, che in qualche modo sono seguiti. E nemmeno ai casi più gravi. Il vero allarme è la quotidianità. Mancano i farmaci per le cirrosi, le epatiti croniche, le patologie cardiache e gastriche e anche le dermatosi. Quanto al capitolo ?disturbi psichiatrici? meglio tacere. Vita: In che senso? Pastore: Siamo al paradosso. La stessa persona che fuori disponeva di una copertura farmaceutica completa, una volta varcata la soglia del carcere perde il diritto all?assunzione di una determinata molecola. Semplicemente perché i più moderni farmaci antipsicotici in carcere non sono disponibili. Qui l?assistenza è ancora fatta con medicine di vecchissima generazione. Vita: Quante persone ha in cura attualmente? Pastore: Nel 2004 abbiamo visitato circa 1.800 detenuti a Poggioreale e 250 a Secondigliano. Vita: Mai detto «chi me lo ha fatto fare»? Pastore: Ieri un giovane paziente cocainomane mi ha detto: «Dottore, adesso l?ho capito anch?io: il carcere non chiude le ferite, le riapre». Quest?inverno a Secondigliano un altro ragazzo si è ucciso con un?overdose. Mi spiace dirlo, ma io credo che sia stato un gesto più di liberazione che di disperazione. Un gesto per uscire dall?inferno. Nessuno si è preoccupato di comprendere la natura di quell?atto. Quel poco di trambusto che si è scatenato aveva l?obiettivo di individuare le responsabilità della mancata sorveglianza. Ecco, il senso del mio lavoro è proprio questo: non rendere tragica un?esperienza durissima come quella della malattia in carcere. Vita: Quanto le pesa lavorare qui dentro? Pastore: Il carcere logora. Il grado di usura è elevato. Ma la fatica maggiore è ricordarmi ogni giorno che io rappresento il servizio pubblico e non l?amministrazione penitenziaria. Non riuscire più a distinguere il dolore, abituarsi all?inferno. Questo è il vero rischio. Vita: Qual è invece l?antidoto? Pastore: Il segreto è di non perdere mai il filo della speranza. Vita: Ma c?è una via d?uscita possibile? Pastore: Certo che c?è. Se non si vuole spendere in prevenzione finanziando i servizi sociali, che almeno si spenda nel carcere. Penso all?incremento delle misure alternative e, per i tossicodipendenti, agli istituti a custodia attenuata. In Campania, malgrado la morìa che ha colpito questo tipo di strutture, a Lauro ed Eboli sopravvivono due esperienze dignitose. Vita: Non ha accennato né all?amnistia, né all?indulto. Perché? Pastore: Vanno bene entrambi, per carità, ma di certo non costituiscono una risposta reale. Al massimo dei tappabuchi temporanei, delle camere di decompressione. Le statistiche dimostrano che nel giro di 3/6 mesi i livelli di affluenza tornano quelli pre indulto. Io ritengo che la semplice applicazione della legge in vigore risulterebbe un toccasana.


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