Mi sono stupito quando, due giorni fa, dopo aver inserito sulla mia pagina di facebook questo semplice pensiero: “Ma perché a Napoli non si reagisce con la stessa rabbia popolare quando i morti li fa la camorra?”, ho visto schizzare a livelli impensati le condivisioni e i “like”, ossia gli apprezzamenti. Il medesimo fenomeno in proporzione su twitter. Non mi pareva di aver espresso un pensiero così clamorosamente originale, e infatti in molti hanno commentato di aver pensato esattamente la stessa cosa, vedendo le reazioni alla tragica morte di Davide Bifolco, raggiunto da una pallottola partita dalla pistola di un carabiniere. In realtà il mio era il sincero rammarico per un’occasione perduta, ossia quella di aprire un ragionamento positivo sugli anticorpi, che pure ci sono, nel tessuto sociale partenopeo. Certo, in occasione di delitti particolarmente efferati di camorra non sono mancati i cortei, le manifestazioni, i discorsi, le veglie di preghiera. Ma il tutto in un modo assai più composto, quasi come un atto dovuto di dignità più che come una vera indignata e arrabbiata protesta contro la criminalità organizzata.
Pensavo e penso tuttora che la questione napoletana ci riguarda da vicino e non possiamo far finta di non vedere, o lasciare che il tutto si risolva in un confronto tra Stato (debole e perdente) e illegalità diffusa e considerata del tutto normale. Disinteressarsi oggi di Napoli è a mio parere una vera e propria forma di razzismo. O almeno una totale dichiarazione di impotenza. Ma io non riesco a immaginare, in quartieri come quello di Traiano, come sia possibile ad esempio realizzare esperienze di inclusione sociale delle persone con disabilità o comunque delle persone più deboli. Come si possa far capire che una pensione di invalidità ottenuta con una falsa certificazione (ho letto anche questo nei pezzi degli inviati, a proposito di alcune delle famiglie del rione) è un reato grave e soprattutto toglie risorse pubbliche a chi ne ha veramente diritto e bisogno. Come si possa anche lontanamente immaginare che quei ragazzi fra qualche mese possano svolgere, che so, un servizio civile o un lavoro socialmente utile.
Una delle obiezioni che mi sono arrivate, qua e là, tra i tanti commenti di adesione, è che stavo pontificando su una situazione che non conosco affatto. Obiezione che arriva da giovani e meno giovani, napoletani e non solo. Io trovo questo argomento inaccettabile. Ognuno di noi ha il diritto e anche il dovere di farsi un’idea di quanto accade nel mondo. E’ come se non potessimo parlare o ragionare dell’Ucraina o del virus di Ebola in Africa solamente perché non siamo competenti in materia. Il mondo oggi è interconnesso attraverso i mille canali della comunicazione, soprattutto visiva, e quanto avviene adesso nella periferia di Napoli può essere immediatamente usato come esempio, come riferimento culturale. L’uso scioccante della foto del ragazzo morto, con il foro del proiettile, è ad esempio un tentativo evidente di forzare l’opinione pubblica, di spingerla contro lo Stato, di avallare senza contraddittorio e in modo assai cinico l’ipotesi del delitto volontario. Il video della telecamera collocata nella sala da biliardo (aperta alle due e mezzo di notte, e affollatissima di ragazzi) rappresenta un altro esempio di come un’attività del tutto discutibile, come quella del gioco e delle scommesse, possa essere utilizzata tranquillamente per influenzare la gente, certamente non gli inquirenti.
L’assoluta mancanza di un pensiero autocritico a proposito delle palesi violazioni delle regole minime della circolazione stradale (niente casco, in tre sul motorino, nessuna assicurazione, mancato rispetto dell’alt della pattuglia dei carabinieri) produce un effetto straniante e acuisce la distanza sociale, riduce il desiderio di solidarizzare di chi comunque emotivamente è rimasto colpito, come è giusto, dalla disgraziata fine del ragazzo. Ho anche la sensazione che il filone “Gomorra”, dopo il successo del libro di Saviano, del film, e ora della serie televisiva di Sky, stia creando involontariamente un clima da epopea tragica, nella quale vittime ed eroi si confondono, con il risultato grottesco che la situazione napoletana si riduca alla fine nella risposta: “Ma tu non puoi capire…”.
Raccontare i rivoli di azione sociale positiva, a questo punto, diventa ancor più difficile, ma Napoli ci riguarda. E’ Italia. La rassegnazione è il migliore regalo possibile alla camorra.
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