Società

Nadia Urbinati: «Caro Terzo settore, la qualità della democrazia dipende da te»

Dialogo con la docente della Columbia University che sarà una degli ospiti della XXIV edizione delle Giornate di Bertinoro, in programma dall'11 al 12 ottobre nella città romagnola. Titolo di quest'anno "Le regole del gioco". Secondo Urbinati «i corpi sociali sono fondamentali. Senza di loro vince la "democrazia commerciale"»

di Stefano Arduini

Nadia Urbinati, è una delle più autorevoli scienziate della politica a livello internazionale. Riminese di nascita, laurea in filosofia a Bologna, insegna alla Columbia University di New York ed una grande esperta dei meccanismi di funzionamento delle democrazie occidentali. La incontriamo qualche giorno prima del suo intervento alle Giornate di Bertinoro.

A giudicare dai numeri della partecipazione con le ultime elezioni europee abbiamo toccato il fondo: ha votato il 49,7% degli aventi diritto, meno di uno su due. Un dato mai visto nella storia della Repubblica italiana. Come vanno interpretati questi numeri?

Il voto è la fase finale di un processo democratico. Prima del momento decisivo per la conta delle preferenze, c’è però il processo di costruzione delle opinioni che porta ciascuno a scegliere una parte, piuttosto che un’altra. Questo processo non si ferma nemmeno dopo il passaggio elettorale, perché la dinamica democratica prevede che, mentre la maggioranza tenti di dimostrare di mantenere fede alle promesse, la minoranza metta in evidenza le contraddizioni e gli errori di chi sta esercitando il potere. Di fatto il confronto è in continuo divenire. Il nodo allora diventa la partecipazione: chi alimenta il confronto democratico? E ancora: qual è il tasso di qualità della partecipazione? E qui vengo alla sua domanda. Ci sono due modi di rispondere.

Partiamo dal primo…

In un’ottica che potremmo definire di democrazia economica o commerciale, il fatto che in pochi partecipino al voto è una circostanza non significativa. L’aspetto fondamentale è che si possa votare, ovvero che sia garantito il diritto al voto, che poi questo diritto venga esercitato o meno è secondario. Si tratta di scelte individuali. Anzi: se la partecipazione è bassa questo vuol dire che gran parte dei cittadini è soddisfatta dell’offerta politica in termini di servizi e di benessere e di conseguenza è poco propensa ad andare al seggio, tanto le cose bene o male funzionano: l’astensione è in fondo una buona notizia.

La seconda chiave di lettura?

È quella della democrazia partecipativa. Qui l’individuo viene concepito come parte di una società. È all’interno del contesto sociale, culturale, etnico, religioso che forma la coscienza e sviluppa le idee che tradurrà in voto. Il momento elettorale è unico, vale per tutti e ogni testa vale uno, ma la formazione delle teste è diversa per ciascuno di noi. In questa cornice sono decisive le relazioni fra le persone (persone, non individui) perché è attraverso le relazioni che si formano le parti sociali e quindi i partiti. Ed è attraverso i partiti politici che prende vita la dinamica democratica. Partiti, ben inteso, che non si relazionano con i singoli individui (come nell’ipotesi della democrazia commerciale, che in estrema sintesi cataloga gli elettori alla stregua di clienti) ma dialogano con gli altri corpi sociali della società civile. Nel momento in cui organismi di rappresentanza e associazioni sono deboli e non esprimono visione, questa fragilità ha ripercussioni dirette sulla qualità della democrazia e delle soluzioni ai problemi collettivi che è in grado di proporre. La crisi della società viene prima ed è causa della crisi dei partiti. E la bassa partecipazione al voto genera direttamente politiche di bassa qualità e basso controllo sociale sull’operato dei politici. Poiché, come dice Jean Jacques Rousseau, il potere per natura tende a corrompersi, è fondamentale la vigilanza di soggetti indipendenti rispetto a chi ha in mano le redini del governo. Io ritengo che la teoria della democrazia partecipativa sia decisamente più utile rispetto alla democrazia commerciale per provare a migliorare la nostra vita sociale. E quindi si pone un problema.

La crisi della società civile viene prima ed è causa della crisi dei partiti e dell’abbassamento della loro qualità

Nadia Urbinati

Quale?

Come fare in modo che i cittadini partecipino alla vita democratica durante i passaggi elettorali, ma anche e soprattutto prima e dopo il voto?

Lei come risponde?

Il Terzo settore e l’associazionismo hanno un compito fondamentale: generare meccanismi di inclusione civile fondati su principi di interesse generale in modo che sempre pi. persone siano preparate e predisposte alla partecipazione politica. Se questo non succede si lascia un’autostrada al dilagare dei populismi e dei partiti individualistici. Il Terzo settore deve porsi il problema di travalicare i suoi confini tematici e geografici e mettersi nell’ottica di essere presente dove non c’è. La disintermediazione è un problema democratico.

Il Terzo settore e l’associazionismo hanno un compito fondamentale: generare partecipazione politica

Anna Urbinati

Cosa pensa della democrazia diretta e della democrazia deliberativa su cui lei ha molto lavorato negli ultimi tempi?

Si dice che un limite della democrazia elettorale sia il suo tasso di conflittualità. Per superarlo si propongono una teoria ed una prassi di governo, dove la volontà dei cittadini non viene espressa tramite l’elezione di rappresentanti, ma direttamente dal popolo, attraverso un processo basato sulla discussione pubblica tra individui liberi ed eguali scelti tramite sorteggio all’interno di una platea rappresentativa del corpo sociale. Io credo che questa sia una teoria ingenua in quanto presuppone che la cattiva politica sia generata dalle istituzioni e non dalle persone. Al contrario credo che il problema siano le persone, e quindi che il sorteggio non sciolga la matassa. Allo stesso tempo per. ritengo che, su alcuni focus specifici, creare delle assemblee deliberative sorteggiate con poteri consultivi possa essere molto utile per migliorare e accelerare i processi decisionali. In questo senso la città di Nantes, caso studiato dall’etnografa Marianella Scalvi, merita di essere analizzato con attenzione.

Le Giornate di Bertinoro

Con il titolo “Le regole del gioco” l’11 e il 12 ottobre nella bellissima e tradizionale sede della rocca di Bertinoro andrà in scena la XXIV edizione delle “Giornate di Bertinoro per l’economia civile”: un fondamentale laboratorio di analisi e confronto capace di anticipare le sfide future del Terzo settore. Il taglio di quest’anno è particolarmente sfidante per le istituzioni non profit: come essere agenti di cambiamento non solo a livello di prassi, ma anche di definizione delle norme?

Leggiamo insieme un passaggio esemplificativo del concept note: «…La capacità di un Paese di affrontare le sue crisi passa dal ruolo “attivo e istituente” giocato dal Terzo Pilastro (Raghuram Rajan) e dalla propensione a uscire da quella “anoressia del desiderio” che è alla base di un’inerzia spesso mortifera. In una fase caratterizzata da crisi e trasformazioni di carattere sistemico ed entropico (ossia di senso), sta maturando una consapevolezza sul fatto che le sfide che ci troviamo davanti non possano trovare soluzioni adeguate attraverso risposte individuali o pratiche che poggiano la loro certezza nel binomio “tecnologia-tecnocrazia”.

Al contrario, l’unica strada per uscire da una posizione meramente difensiva è quella di scommettere su un agire corale caratterizzato da alleanze, collaborazioni e sperimentazioni capaci di ridisegnare il perimetro del “campo da gioco”. Nonostante non manchino esperienze e segnali di un futuro positivo nel presente, prevale una crescente rassegnazione e insicurezza che rende il nostro Paese, come ben fotografato dal Censis, una terra di “sonnambuli”… Questa fotografia conferma che le transizioni che viviamo non sono neutre e non è pensabile affrontare questa fase con gli strumenti, le regole, i paradigmi e le priorità del ‘900».

Info e programma: legiornatedibertinoro.it

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