Se solo qualche anno fa rappresentava la nuova frontiera del turismo low cost, oggi la vacanza in multiproprietà rischia di scomparire. Troppe le trappole per un sistema che appare ancora eccessivamente rigido e costoso. Se ne è accorto anche il Parlamento europeo che, con una direttiva del febbraio scorso, ha richiamato i Paesi membri all’ideazione di strumenti di certificazione e a una più severa azione di monitoraggio e sanzione. Il tutto nell’estremo tentativo di ridare al settore quella credibilità che nemmeno leggi e disposizioni comunitarie hanno saputo assicurare in questi anni. D’altronde i numeri diffusi da Media Time Group, società specializzata nel marketing turistico, non lasciano spazio all’interpretazione. Rispetto al quinquennio 1995-2000, i contratti firmati sono calati del 90%, passando dai 50mila del 1997-2000 ai 5mila di oggi, e lo stesso valore delle transazioni è diminuito drasticamente, dai 40mila euro medi di allora ai 15mila di oggi.
Peccato perché, soprattutto negli anni 80, la possibilità di assicurarsi una seconda casa per le vacanze a costi apparentemente contenuti ha stimolato la fantasia di molti. Spagnoli, tedeschi, francesi e italiani hanno scommesso su quella che a tutti gli effetti sembrava una vera novità nel mercato delle vacanze. Sono nate decine di tour operator e di associazioni di categoria; in pochi anni il fatturato del settore è salito esponenzialmente (oggi vale ancora più di 10 miliardi di euro). Poi qualcosa non ha funzionato. Il giocattolo si è incominciato a rompere, martellato dalle continue segnalazioni di truffe, di acquisti da agenzie inesistenti e spesso in fallimento, di vacanze premio trasformate in falsi contratti di vendita. Insomma, qualcosa è andato storto, e se oggi si va a ricercare sui maggiori motori di ricerca la parole “truffa” e “multiproprietà”, si possono trovare tra le 10mila e le 20mila voci a tema.
Non stupisce, allora, che la multiproprietà negli anni sia diventata sempre meno appetibile. Ma le motivazioni non vanno ricercate solo negli evidenti rischi delle transazioni. «Un altro problema sono i costi», specifica Roberto Barbieri della segreteria nazionale del Movimento Consumatori. «Oltre al prezzo di acquisto bisogna tenere conto delle spese di gestione a cui vanno aggiunti il viaggio e il vitto. In conclusione si finisce quasi sempre per spendere almeno quanto una normale vacanza prenotata di volta in volta, con in più il vincolo permanente del periodo e del luogo». Una spesa ingente che di fatto ha convinto molti acquirenti a disfarsi della propria quota.
Insomma, c’è poco da stare allegri e, comunque la si metta, il raggiro è sempre dietro l’angolo. Eppure in Paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti la multiproprietà ha tuttora un grande successo. «In quei mercati si è cercato di puntare sulla flessibilità», aggiunge Favaron. «Grazie alla Rci, il network internazionale di time sharing, si è sviluppato un sistema di scambi tra multiproprietari che rende meno vincolante il sistema. Inoltre in quei Paesi l’atto notarile, che rende proprietari a vita di una singola quota o settimana, è stato gradualmente sostituito dal diritto d’uso. In poche parole, il cliente ha la possibilità di usufruire della propria settimana nelle diverse località di villeggiatura inserite in particolari circuiti turistici, ma sempre in base alla disponibilità dell’albergo o della struttura convenzionata».
Un meccanismo che in Italia e in buona parte d’Europa ancora non funziona. «Qui la Rci non ha assolutamente investito, così il sistema degli scambi è quasi inesistente e spesso lentissimo», aggiunge Favaron. «Inoltre da noi anche le formule più snelle e meno vincolanti non risolvono il problema perché ancora troppo costose in confronto alla qualità del servizio. Questo spiega il motivo dell’insuccesso della multiproprietà in Italia. Per non parlare del fatto che ancora non esistono sistemi di certificazione e di controllo tali da rendere veramente sicuro il sistema».
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