Non profit

Multinazionali e no global: “Volete comprarci?…”

Due gelatai hanno addolcito il gigante. Il colosso dell'alimentare voleva inghiottire l'azienda di Ben e Jerry. Poi, la prosposta: "Finanziate i gruppi antagonisti". Un'anteprima da Vita Magazine

di Carlotta Jesi

In anteprima l’articolo che apparirà sul prossimo numero di VITA non profit magazine in edicola da sabato (leggi il sommario di questo numero). Mentre sul settimanale in edicola da venerdì potrai leggere anche l’intervista a Liz Bankowski della Fondazione Ben & Jerry.

Due gelatai hanno addolcito il gigante

«Più del loro no, è il fatto che non ci abbiano capito a farmi arrabbiare». Londra, estate 2000. Il no che fa andare su tutte le furie Niall Fitzgerald, boss di Unilever, arriva dalla cittadina americana di South Burlington, Vermont. E riguarda l?offerta di acquisizione che la multinazionale anglo-olandese ha fatto alla Ben & Jerry, un?azienda produttrice di gelati nota per la sua responsabilità sociale, vendite pari a 237 milioni di dollari e frozen yogurt al pistacchio e caramello. Mentre il suo staff si chiede incredulo come un gruppo di gelatai abbia potuto rifiutare la proposta di un colosso che vende beni di largo consumo per 45 miliardi di dollari in 100 Paesi, Fitzgerald sale su un volo per l?America carico di grafici sui progetti filantropici della sua compagnia in Vietnam e nel Ghana. Destinazione: South Burlington. Obiettivo: spiegare a Ben Cohen e Jerry Greenfield, i fondatori della Ben&Jerry, che globalizzazione e responsabilità sociale non si escludono necessariamente.
Dopo tutto, lui ne è la prova vivente. Per i 255 mila dipendenti di Unilever, Fitzgerald è il rivoluzionario in gessato grigio arrivato ai vertici dell?azienda senza rinunciare alle battaglie sociali iniziate quand?era una matricola dell?Università di Dublino iscritta al communist party: dalle campagne contro il governo inglese per le sue reticenze sull?Euro a quelle contro i pubblicitari accusati di ingannare i clienti. È un pratico rivoluzionario, il boss dell?Unilever. Ma i due imprenditori che lo accolgono all?aeroporto di Burlington lo sono ancora di più. Dal 1978, quando nei locali di una ex pompa di benzina si mettono a produrre creme e yogurt seguendo il metodo imparato in un corso di corrispondenza per gelatai, a guidare le loro scelte è la filosofia della linked prosperity, ossia di una prosperità che deve riguardare il prodotto ma anche le persone che lo realizzano e la comunità in cui vivono. La realizzazione pratica di questo principio? Cohen e Greenfield destinano il 7.5% delle entrate lorde a tre diverse iniziative di solidarietà: la fondazione Ben&Jerry, nel cui board siedono 9 dipendenti che esaminano le richieste di fondi della società civile e decidono a chi accordarli, 5 Commiunity Action Teams sempre composti da lavoratori dell?azienda che sostengono i progetti sociali di cui hanno bisogno le comunità in cui vivono e un programma cui partecipa il 14% delle risorse umane che incoraggia il personale a donare fondi al Terzo settore in cui l?azienda aggiunge un dollaro ad ogni biglietto verde donato da ciascun dipendente.
Sono ossi duri Ben e Gerry, e vogliono vendere solo a una condizione: Unilever deve sostenere e portare avanti la loro mission sociale. Dichiaratamente no global e, quindi, opposta agli obiettivi di business della multinazionale anglo olandese che sul libero mercato ha costruito il suo impero. E non è tutto: oltre a 43.60 dollari per ogni azione dell?azienda, se vuole concludere l?affare Unilever deve donare 5 milioni di dollari alla Ben & Jerry Foundation, altri 5 milioni di dollari a un fondo di venture capital per star up etici gestito da Ben Cohen e promettere un contributo annuale di 1.1 milione di dollari per 10 anni da destinare ad attività filantropiche. Il 3 agosto 2000, Fitzgerald firma. Per un 65 enne che da ragazzo portava i pantaloni a zampa e i capelli lunghi e da grande non ha esistato a infilarsi giacca e cravatta per cambiare il mondo, il prezzo da pagare per globalizzare la responsabilità sociale non è troppo alto. Anche se, come ha rivelato un?indagine del Financial Times, i 5 milioni di dollari extra che Unilever ha dovuto donare alla Ben & Jerry Foundation sono stati usati per finanziare le campagne anti globalizzazione di organizzazioni non profit come Global Exchange e la Rukus Society, due delle organizzazioni che hanno coordinato le proteste contro il vertice di Seattle nel 1999.
E anche se il caso Ben & Jerry ha creato un precedente. Dopo il successo dei gelatai del Vermont, sono tanti gli imprenditori responsabili che stanno pensando di vendere cara la loro mission sociale per sostenere le campagne della società civile. Tra loro Anita Roddick, che ha messo in vendita il suo Body Shop con un piccolo extra per la responsabilità sociale dei suoi prodotti e il ritorno di immagine che da esso deriverà al futuro padrone.

Per maggiori informazioni: Ben & Jerry’s Foundation

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