Volontariato
Mucca pazza: la farina killer è ancora nel piatto
Sono il principale veicolo del contagio, ma nonostante i divieti, i Nas hanno sequestrato in Italia 3300 tonnellate di farine animali.
Il quindicesimo caso di mucca pazza italiana è scivolato via in sordina: un lancio delle agenzie stampa a metà pomeriggio, un trafiletto sui quotidiani il giorno dopo. Tanto che c?è da scommettere che la maggior parte degli italiani non se ne sia neppure accorta. Fine dell?emergenza? Sono in molti a crederlo: il commissario per la Bse Guido Alborghetti, che si è dimesso dopo aver dichiarato: «La crisi è risolta»; i funzionari della Sanità, che hanno improvvisamente eliminato dal sito del ministero il banner informativo sulla malattia; i consumatori, che sono tornati a mangiare carne come prima; gli allevatori che non scendono più in piazza.
Eppure i segnali di allarme non mancano, sono clamorosi e riguardano proprio l?origine del contagio della mucca pazza, le farine animali. In teoria, non dovrebbero più essere commercializzate e meno che mai date agli animali; in pratica, continuano a circolare. Lo dicono i Nas, i carabinieri del nucleo antisofisticazioni, che da novembre a oggi hanno intensificato i controlli a mangimifici e allevamenti. E se a dicembre la quantità di farine animali sequestrate ammontava a ?sole? 5 tonnellate, al 23 maggio le tonnellate sono diventate 3300. Il dato è tanto più preoccupante se si pensa che il divieto europeo sui mangimi composti da farine di carne è datato 1994, e fu ?rinforzato? dal recepimento italiano nel 1996. Da allora, però, è stato tutto un susseguirsi di denunce lanciate e non raccolte sull?infrazione di questi divieti, che puntavano proprio a circoscrivere l?epidemia. Nel novembre del 1997 tocca al Parlamento europeo ribadire in un documento che «le farine animali non possono essere somministrate ai ruminanti e che devono essere etichettate di conseguenza», aggiungendo che «occorre adottare opportuni provvedimenti atti a impedire che nella produzione, esse vengano miscelate ai mangimi concentrati per ruminanti». Tutto chiaro, no? Eppure, nel giugno ?99 l?allora ministro della Sanità Rosy Bindi vieta di nuovo, con un?ordinanza, la «somministrazione ai ruminanti di mangimi contenenti proteine derivanti da tessuti animali». Fino al 12 gennaio 2000, quando si registra l?allarme più pesante: in Parlamento, in un?audizione davanti al ministro Pecoraro Scanio (allora presidente della commissione Agricoltura della Camera), il capo dell?Ispettorato repressione frodi delle Politiche agricole Giuseppe Ambrosio riferisce senza battere ciglio, anzi con soddisfazione, che «oggi risulta irregolare meno del 20 per cento dei campioni» di mangimi. Sei anni dopo l?introduzione del divieto! È l?inizio dell?anno, la crisi mucca pazza scoppierà in ottobre, con l?epidemia francese, ma nel frattempo nessuno si muove. Se non il 16 novembre, in piena bufera, quando il ministro della Sanità sente il bisogno di ribadire in un?ordinanza «il divieto di somministrazione agli erbivori di tutte le farine animali, principale fonte di contagio della Bse». L?ennesima reiterazione che sa tanto di grida manzoniana.
Infatti. Venendo ai giorni scorsi, il rapporto dei Nas parla, per il periodo 13 novembre-23 maggio, di 4106 ispezioni effettuate in allevamenti e 1594 in mangimifici, 453 persone segnalate all?autorità giudiziaria e un intero impianto (del valore di due miliardi) sequestrato in provincia di Cremona. I carabinieri si sono trovati davanti a una situazione difficilmente immaginabile: hanno infatti scoperto 1922 bovini e 1090 ovini alimentati con farine animali, e 2054 capi privi dell?obbligatoria marca identificativa auricolare, che ne certifica la provenienza; in 18 casi hanno riscontrato il reato di macellazione clandestina; accertato che in tre stalle di sosta (dove i bovini vengono ospitati per un certo periodo, prima di essere rivenduti o macellati) si distribuiva farina animale. Non basta: tra i denunciati ci sono tre allevatori che hanno occultato le carcasse di bovini morti in circostanze sospette; uno, addirittura, stava tentando di smerciare la carne di un animale risultato positivo al test della Bse. Una delle 15 vacche infette, insomma, si avviava tranquillamente al banco della macelleria, ma è stata fermata in tempo.
Alla faccia del test anti Bse, che pure ha esaminato finora 112mila bovini con oltre 30 mesi, e di cui (vedi box) tutto sommato siamo costretti a fidarci. C?è però un altro problema, e sono le 100mila vacche distrutte senza essere sottoposte all?esame. È il programma ?rottamazione? che l?Italia ha varato sull?esempio tedesco, con la differenza però che in Germania le bestie rottamate sono sottoposte ugualmente al test, tanto è vero che poi vengono inviate in Corea del Nord per contrastare la carestia; da noi invece questo gesto non è possibile, perché abbiamo scelto di non eseguire alcun esame su questi animali. Così non sapremo mai quanti di loro erano malati. E saremo pronti a giurare, alla prossima crisi, che in fondo da noi la mucca non era poi così pazza.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.