Venerdì sera, il rais egiziano Mubarak ha parato alla nazione in arabo classico. Perché ha optato per la lingua del Corano invece della lingua locale? Il testo del discorso è stato scritto dal presidente in persona oppure si è affidato a degli speech writer ? Ma anche: il presidente ha parlato in diretta oppure Nile tv ha mandato in onda una registrazione?
Sul timing del discorso, è interessante notare che tra l’annuncio del discorso e la sua messa in onda sono passate circa sei ore. Tutto il tempo per opportuno per valutare la situazione nel paese e scegliere il messaggio più adeguato. Ma anche il tempo necessario per scrivere vari discorsi da trasmettere a seconda della situazione, hanno concordato vari analisti intervistati nei talk show in diretta delle tv arabe. E poi dicono che gli arabi non sono organizzati.
Ma c’è anche chi ha offerto una lettura diversa. «Mubarak ha parlato in arabo classico perché questa lingua è più facile da tradurre in inglese rispetto all’arabo egiziano colloquiale. Mubarak ha mandato un messaggio al governo americano, non agli egiziani» ha detto un’analista su Al Jazeera. «Se fosse stato sincero, avrebbe parlato la lingua della sua gente. Invece ha usato la lingua e il linguaggio teatrale che usano i burocrati, i diplomatici. Mubarak è apparso in tv alle 12.30 di notte. Non è un orario, secondo gli standard arabi, di rispetto per chi ti ascolta ed ha aspettato 6 ore».
Nonostante gli egiziani abbiano un’infatuazione e provino un grande orgoglio nei confronti della loro lingua, nei testi della costituzione egiziana non c’è alcun riferimento all’esistenza del dialetto egiziano. Le istituzioni scolastiche non lo insegnano. I giornali sono scritti in arabo classico. Secondo l’esperta Niloofar Haeri, che oltre ad insegnare Antropologia presso la Johns Hopkins University è autrice del libro “Lingue Sacre e persone ordinarie, dilemmi della cultura e della politica in Egitto” , il declassamento della lingua egiziana a favore dell’arabo classico rispecchia la relazione incerta del sistema egiziano nei confronti della propria contemporaneità. In altre parole, l’Egitto è un paese pieno di contraddizioni e paradossi che spaziano dalla politica, alla scuola, alla società ai rapporti tra potere e popolazione.
Dal suo linguaggio del corpo, si notava che il rais era a metà tra il seccato e l’arrabbiato. D’altro canto ha dimostrato di non temere la piazza. Ha mostrato anche un certo self confidence. Il pronome NOI, ripetuto in varie frasi ( noi continueremo, noi siamo determinati, noi non ci arrenderemo), indica la sua intenzione a non lasciare la presidenza. La frase “Io, come presidente della Repubblica”, che il rais ha ripetuto più volte, rinforza palesemente questa sua volontà.
A differenza del passato, Mubarak ha letto il discorso in diretta infrangendo la regola della differita dei cinque minuti. Per evitare di essere ripreso in diretta nel caso in cui il presidente svenisse, starnutisse, o venisse fischiato e contestato, il regime ha sempre mandato in onda il discorso del presidente con pochi minuti in differita. Non è proprio il paese per Striscia la Notizia.
Venerdì sera il presidente ha infranto le regole tuttavia non ha improvvisato. Dietro il discorso c’è la mano dei suo speech writer. La retorica, il linguaggio usata venerdì notte sono tipici della comunicazione del rais. Solo l’attacco era diverso: per una volta non ha esordito con la solita invocazione religiosa che recita: Nel nome del Allah, misericordioso e compassionevole. Ma a vedere quello che sta succedendo al Cairo, più che una benedizione, Mubarak ha bisogno di un miracolo.
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