Politica

Movimento Consumatori: togliamo l’Irap alle associazioni di promozione sociale

Questo il contributo del Movimento al dibattito sulla redazione della Legge Quadro del Terzo settore. «Ad oggi se un’associazione prende a contratto a progetto 3 persone, dovrà pagare le tasse per aver creato lavoro, pur non avendo creato profitto/utile, con la beffa di non poter neanche rendicontare un costo che diventa un vero e proprio “buco”»

di Redazione

Premessa
Movimento Consumatori riconosce l’importanza di una riforma organica del Terzo Settore, che ne aggiorni e potenzi “fondamenta giuridiche” restituendogli forma, identità e trasparenza.
Come associazione di consumatori vogliamo ‘confessare’ però un ulteriore aspirazione, che questa riforma sia l’occasione per aiutare il nostro Paese a cambiare orizzonte culturale: tendendo, per la prima volta, verso l’affermazione del principio di legalità.

La proposta
Pensiamo che il Terzo Settore ed in particolare l’associazionismo di promozione sociale possa contribuire all’affermazione del principio di legalità se è messo nelle condizioni di accedere realmente alla giustizia in nome di interessi collettivi. Per Movimento Consumatori questa riforma dovrebbe creare gli strumenti (o meglio rivedere tutti quelli già esistenti) per rendere effettivo l’accesso alla giustizia della associazioni che si siano costituite proprio per tutelare, difendere e promuovere i diritti di cui chiedono accesso alla giustizia, ottenendo che chi ha sbagliato non possa reiterare gli illeciti e risarcisca i danni. Non ci riferiamo solo alla materia del consumo, di fondamentale importanza per lo squilibrio tra consumatore e imprese, ma, anche alla materia ambientale, dei diritti civili, del diritto alla salute. Chiediamo, insomma che la lesione degli interessi collettivi possa trovare una risposta vera, anche di natura risarcitoria. Questa semplice e poco costosa (per lo Stato) riforma, grazie al suo reale potere deterrente nei confronti illeciti commerciali, ambientali e malasanità, ad esempio, contribuirebbe invece, a far emergere, questa volta in positivo, tutta quella imprenditorialità che già si è data, come limite al proprio diritto di fare profitti, una propria etica sociale di impresa (responsabilità sociale di impresa) alimentando di fatto una nuova etica di mercato intesa come rispetto delle regole di comunità e come rispetto anche dei ben comuni. Nel nostro paese “formalmente” già è previsto il diritto delle associazioni di promozione sociale di promuovere azioni giurisdizionali ad esempio per intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'associazione, ma il vissuto ci insegna che raramente i cittadini organizzati in associazioni riescono a difendere i diritti collettivi (civili, ambientali, di consumo). Si ritiene essenziale promuovere e affermare la tutela dei diritti collettivi dei cittadini/consumatori tramite una migliore esplicitazione degli strumenti giudiziari a disposizione delle associazioni e in particolare delle aps nonché tramite la revisione della disciplina del gratuito patrocinio e del risarcimento degli interessi collettivi e della costituzione di parte civile. In tal senso si chiede al Governo di riflettere se oltre a riformare l’accesso alla giustizia per le associazioni, possa essere opportuno provvedere anche ad una radicale riforma della class action permettendole così di divenire un vero strumento di deterrenza portandola fuori dal ristretto ambito del consumerismo per aprirla a contesti nuovi e diversi quali in cui operano le associazioni di promozione sociale, insomma ,una class action per le associazioni di promozione sociale (sulla riforma della class action che la renda uno strumento efficace estendendola eventualmente a tutte le aps, siam disponibili ad uno specifico focus).

Dal punto di vista fiscale, si chiede che si smetta di applicare l’IRAP sulle aps che non svolgono nessuna attività commerciale. Ad oggi se un’associazione prende a contratto a progetto 3 persone, dovrà pagare l’IRAP per aver creato lavoro, pur non avendo creato profitto/utile, con la beffa di non poter neanche rendicontare nel progetto che ha comportato le ‘assunzioni’ un costo che diventa un vero e proprio “buco” per l’associazione.

Strumenti
A) Risarcimento dei danni da lesione degli interessi collettivi.

La norma oggi vigente
Oggi l’art. 27 della l. 328/2000 prevede che:
<<1. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate:
a) a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi promossi da terzi, a tutela dell'interesse dell'associazione;
b) ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'associazione;
c) a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità di cui alla lettera b)>>.

Le applicazioni giurisprudenziali
Per quanto riguarda le prerogative delle associazioni di cui alla lett b) si rileva che nel corso degli anni la giurisprudenza ha sempre interpretato la norma restrittivamente, affermando che l’associazione era legittimata solo ad intervenire nei giudizi promossi da terzi e non ad agire in maniera diretta per ottenere il risarcimento del danno. In altre occasioni è stata richiesta la prova della quantificazione in concreto del danno, rendendo così davvero estremamente difficile e residuale l’applicazione di tale principio.
Anche in sede penale si assiste oggi ad un panorama frastagliato e non univoco in quanto accanto ai giudici che ammettono la costituzione di parte civile delle a.p.s. in caso di lesione degli interessi generali perseguiti, altre richiedono che quello specifico settore nel quale si sia verificato l’illecito debba essere oggetto di specifica previsione statutaria; in altre occasioni ancora si afferma invece che la lesione deve attenere ad una specifica campagna o ambito di intervenuto nel quale si è distinto per attivismo l’ente.

3 Le proposte di modifica
Il tema della lesione degli interessi collettivi merita una più attenta rivisitazione almeno sotto due distinti profili:
1) il risarcimento in sede civile
2) i criteri per l’ammissione dell’aps quale parte civile in un giudizio penale.

3.1. Risarcimento in sede civile
Riteniamo in questo caso importante precisare il quadro normativo attuale per affermare in maniera più chiara il principio per cui in caso di lesione degli interessi collettivi rappresentati dall’aps queste abbiano diritto di ottenere il risarcimento del danno da quantificarsi in via necessariamente equitativa. Il risarcimento del danno da lesione di interessi collettivi, oltre ad un corretto riconoscimento del ruolo e dell’attività svolta dalle aps, rappresenta infatti un meccanismo di deterrenza che certamente può contribuire alla promozione delle legalità anche in campo economico.

3.2. Costituzione di parte civile
Riteniamo sia opportuno precisare che ogni aps ha diritto di costituirsi parte civile in caso di lesione degli interessi generali previsti nello statuto e concretamente perseguiti dall’associazione.

Proposta di modifica dell’ art. 27  della l. 328/2000:
«1. Le associazioni di promozione sociale sono legittimate:
a) a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi promossi da terzi, a tutela dell'interesse dell'associazione;
b) promuovere e ad intervenire in giudizi civili per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'associazione da liquidarsi anche ai sensi dell’art. 1226 c.c. in ragione del comportamento illecito fatto valere e dell’entità delle relative conseguenze dannose;
b-bis) costituirsi parte civile in caso di reati idonei a ledere anche indirettamente gli interessi generali concretamente perseguiti dall’associazione
c) a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità di cui alla lettera b )».

B Patrocinio a spese dello stato.

L’art. 76, comma 1 del d.p.r. 115/2002 (in tema di spese di giustizia) prevede che «Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.766,33».
L’art. 119 del DPR citato sancisce che «Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato, altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare e all'apolide, nonché ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica».
La norma ha creato notevoli contrasti applicativi: mentre alcuni Consigli dell’Ordine e Tribunali ritengono quale requisito necessario la sola assenza dello scopo lucrativo e il mancato esercizio di attività economica, in altri casi è stato richiesto il rispetto del limite reddituale previsto per i cittadini.
Riteniamo sia necessario prevedere che le APS sono di diritto ammesse al patrocinio a spese dello Stato a prescindere da requisiti reddituali ed economici.

Proposta di modifica degli art. 76 comma 1 e 119 del d.p.r. 115/2002:
Art. 76, comma 1:«Salvo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 119, può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.766,33».
Art. 119:«1. Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato, altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare e all'apolide.
2. Il medesimo trattamento è altresì assicurato ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica, ai quali non si applicano i limiti di cui all’art. 76 comma 1».


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