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Mose? Un’opera “non ancora nata” ma già vecchia
Sei miliardi di euro per un'opera - non ancora finita - che, dicono gli ambientalisti, non servirà a risolvere il problema dell'acqua alta in laguna ed anzi è potenzialmente pericolosa. Quando è stata pensata, agli inizi degli anni Ottanta, non sono state considerate le conseguenze del cambiamento climatico. «Quello che vedo in questi giorni», dice Beppe Caccia, «è la poca consapevolezza del problema della laguna, anzi si continua a insistere nell’errore e nella retorica del “finiamo il Mo.S.E"»
di Anna Spena
53 anni fa un’alluvione sommerse Venezia e gli altri centri abitati lagunari con una marea eccezionale di 1,94 cm sul livello medio-mare. Certo Venezia era stata sommersa prima e sarebbe stata sommersa altre volte negli anni a venire. Ma quel novembre del 1966 ha segnato un momento cruciale: la salvaguardia della laguna era una questione nazionale di cui non dovevano e potevano farsi carico solo gli abitanti della Serenissima.
Anche la scorsa notte Venezia si è allagata con il mare sollevato da un vento di scirocco che soffiava a 100 km all’ora. Ma in 53 anni cosa è stato fatto? Pressoché niente, a guardare le fotografie e i video che ci restituiscono l’immagine di una città fantasma. Anzi no, qualcosa è stato fatto: spendere 6 miliardi di euro per un’opera di ingegneria civile, il “Mo.S.E. – Modulo sperimentale elettromeccanico” che doveva essere ultimata entro il 2016, forse lo sarà per il 2021 – se si riescono a sbloccare gli ultimi 200 milioni necessari alla finalizzazione dell’opera – e che comunque a conti fatti non serve a niente: il progetto è ormai obsoleto e quando è stato pensato – agli inizi degli anni Ottanta – nessuno ha fatto i conti con la velocità e le conseguenze del cambiamento climatico.
Ma che cos’è il Mo.S.E., quest’opera “non ancora nata” ma già vecchia? «Prima di tutto», dice Beppe Caccia, ambientalista e amministratore pubblico della città di Venezia per 17 anni, dal 1997 al 2014, «la soluzione più costosa e più impattante dal punto di vista ambientale con la chiusura temporanea delle bocche di porto, che separano mare e laguna, attraverso un complicato sistema di dighe mobili la cui costruzione ha irreversibilmente modificato con migliaia di tonnellate di cemento e acciaio l’intera morfologia degli accessi marittimi a Venezia». 78 paratoie che normalmente restano sul fondo piene d’acqua e in caso di alte maree eccezionali vengono sollevate, immettendo aria compressa, fino a farle emergere in modo da isolare la laguna dal mare.
Nel 1973 fu emanata una legge speciale per la salvaguardia di Venezia, che sancì l’inizio del lungo processo con cui si cominciarono a studiare le possibilità per salvaguardare Venezia e la laguna dall’acqua alta. «Con l’approvazione nel 1984 della seconda Legge Speciale per la salvaguardia di Venezia», continua Caccia, «si riconosceva infatti l'interesse nazionale rappresentato dalla tutela della città e della sua Laguna. Ma nello stesso momento si decideva che gran parte delle risorse, destinate dallo Stato, dovessero essere affidate a un unico concessionario, successivamente identificato nel Consorzio Venezia Nuova. La ripartizione istituzionale degli stanziamenti era ed è gestita dal cosiddetto Comitatone ovvero dal Comitato interministeriale per la programmazione e il controllo degli interventi finalizzati alla salvaguardia fisica e socio-economica di Venezia, mentre il Consorzio Venezia Nuova avrebbe dovuto essere formalmente diretto e controllato dalla struttura periferica del Ministero delle infrastrutture».
La “prima pietra dell’opera" fu posata nel 2003. «Ma già nel 2006», spiega Caccia, «uno studio di Principia, leader mondiale nel campo della modellistica, metteva in discussione il progetto: con particolari condizioni di mare – onde di 2,2 metri con frequenza di 8 secondi – si può generare l’effetto “risonanza”, che rende le paratoie instabili e inefficaci. Quelle dello studio Principia sono esattamente le condizioni che si sono verificate la notte del 12 novembre».
Che ce ne facciamo quindi di un’opera non ancora finita, per cui si è già speso tantissimo, e i cui costi di manutenzione una volta ultimata (se mai lo sarà) si aggirano attorno agli 80 milioni di euro l’anno (e chi si farà carico di questi costi?), potenzialmente pericolosa perché già obsoleta? «Per prima cosa», dice Caccia, «bisogna sottoporla ad una rigorosa verifica su efficacia e sicurezza del sistema. E poi capire come la parte di struttura già realizzata possa essere impiegata in interventi minori di riequilibrio della idrodinamica lagunare. Quello che però sinceramente continuo a vedere in questi giorni è la poca consapevolezza del problema della laguna, anzi si continua a insistere nell’errore e nella retorica “finiamo il Mose” che non va finito, ma completamente rivisto».
Credit foto: Mirko Toniolo, Sintesi
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