Cronache russe
Mosca, la rivolta delle mogli e delle madri
In piazza, a Mosca, chi ha un figlio o un marito al fronte in Ucraina. Putin ha tollerato qualche giorno, ma ieri Maria Andreva, coordinatrice del movimento, è stata arrestata anche se poi rilasciata. Le partecipanti al movimento hanno mostrato una notevole ingegnosità, in molte città russe hanno deposto fiori vicino ai monumenti eretti ai soldati morti nelle guerre passate.
In Russia, il movimento delle mogli e madri dei militari mobilitati, alla vigilia del Natale ortodosso, ha organizzato una serie di picchetti vicino agli edifici del ministero della Difesa e dell’Amministrazione Presidenziale. Secondo una delle partecipanti che si trovata nell’area dell’Amministrazione Presidenziale, un impiegato del servizio di sicurezza federale (il servizio speciale incaricato di proteggere gli alti funzionari governativi) ha chiamato la polizia. La polizia è arrivata e ha confermato all’impiegato che il picchetto individuale era una forma legale di protesta e se n’è andata. Ma proprio ieri Maria Andreva coordinatrice del movimento è stata arrestata (nella foto qui sotto).
Essendo sotto costante pressione da parte dei servizi segreti, queste donne sono riluttanti a rilasciare commenti ai giornalisti, ma nonostante ciò i giornalisti di Sota sono riusciti a ottenere un commento anonimo. “Sono presso il ministero della Difesa della Federazione Russa, faccio un picchetto individuale nella speranza che ci ascoltino, ascoltino le mogli e le madri dei mobilitati, ascoltino il nostro dolore, le nostre richieste di far tornare i nostri mariti, di riportare a casa i nostri ragazzi. Sono stanchi. Da un anno e quattro mesi si trovano nella zona dell’operazione militare speciale senza cambio. Per quanto riguarda me personalmente, mio marito è stato arruolato nella squadra d’assalto (Shturm). Ha un master in fisica applicata, è informatico, ha un bambino di un anno e mezzo, quando è stato mobilitato il bambino aveva tre mesi, ora è nelle squadre d’assalto. Queste persone non dovrebbero essere inviate nelle squadre d’assalto”, ha detto ai giornalisti una delle partecipanti. Le partecipanti al movimento hanno mostrato una notevole ingegnosità e lo stesso giorno, in molte città russe, le mogli e le madri dei mobilitati hanno deposto fiori vicino ai monumenti eretti ai soldati morti nelle guerre passate. “Questi sono monumenti alla Pace, pace che abbiamo ottenuto a un prezzo così alto, come testimoniano i tantissimi nomi sulle lapidi. Ce ne sono migliaia. Sono monumenti eretti perché la guerra non si ripeta. I veterani della Seconda Guerra Mondiale dicevano sempre tra le lacrime: “Che non ci sia un’altra guerra! Che il cielo sopra di noi sia pacifico!” Questo era come un monumento per noi, i vivi!”
Una repressione senza fine
Come ha affermato il diplomatico sovietico A. A. Gromyko: «Meglio dieci anni di trattative che un solo giorno di guerra», si legge nel comunicato del movimento pubblicato sul canale telegram “La via di casa”.
Come vediamo, il destinatario delle domande poste da queste donne è il presidente Putin. Lo stesso giorno in cui le donne hanno manifestato con i picchetti, il presidente ha incontrato le vedove e i figli dei militari caduti.
Ma mentre venivano fatti bei gesti nei confronti delle madri, delle mogli e dei figli dei militari mobilitati e caduti, o addirittura mentre si permetteva loro di protestare un po’, le autorità russe non hanno fermato per un attimo la macchina della repressione. Alla fine dell’anno, la deputata indipendente del consiglio comunale di Tomsk (Siberia occidentale), ex coordinatrice del quartier generale locale di Navalny, Ksenia Fadeeva, è stata condannata a 9 anni di reclusione con l’accusa di aver creato una “comunità estremista”. I giovani poeti moscoviti Egor Kamardin e Egor Shtovb sono stati condannati rispettivamente a 7 anni e 5 anni e mezzo di carcere per aver “svolto attività contro la sicurezza dello Stato”. Tutta la loro colpa sta nel fatto di aver letto le proprie poesie contro la guerra sotto al monumento a Mayakovsky a Mosca (che amara ironia, negli anni ’60, in URSS, in questo stesso luogo si svolgevano incontri e letture di giovani poeti), in cui suggerivano di non fare il servizio militare per non rischiare di essere mandati a combattere contro l’Ucraina. Un caso assolutamente eclatante è stata la condanna a 4 anni di reclusione comminata ad uno studente di Adygea (Caucaso settentrionale) Kevin Leak, per “aver espresso il proprio disaccordo con la politica russa e contro l’operazione militare speciale”.
Come si è sviluppata la politica in Russia negli anni Duemila, come essa è crollata con l’inizio della guerra contro l’Ucraina e come questi eventi hanno influenzato il destino di una persona in particolare, lo racconteremo in una lunga intervista con un giornalista televisivo, sceneggiatore, produttore cinematografico, direttore della società cinematografica “Kartina mira”(L’Immagine del mondo), padre di cinque figlie, Boris Mamlin.
Le parole di Boris Mamlin
Boris è nato nel 1971 in Ucraina, ha lasciato la Russia nel 2022 e ora vive in Israele. Pubblichiamo di seguito un estratto della sua intervista:
«Ho iniziato a costruire la mia vita a Novosibirsk, mi sono sposato subito dopo il servizio militare, stavo benissimo, facevo ciò che amavo: lavoravo in televisione, ho aperto un’attività in proprio, realizzavo documentari e pubblicità. Sono stato in Antartide, al Polo Nord, in Africa e nelle due Americhe, gli affari portavano ottimi guadagni, il Paese cresceva e ne eravamo orgogliosi, i tempi erano “vegetariani”, Dmitry Medvedev era il presidente, indossava un Apple Watch e aveva Instagram. Ma nel 2012, quando ci fu l’arrocco tra il presidente e il primo ministro (ciò che accadde a Mosca, la cosiddetta Rivoluzione Bianca, quando il presidente Medvedev rifiutò di candidarsi per un secondo mandato e cedette l’elezione all’allora primo ministro Putin). All’improvviso nel mio Paese mi sono sentito, in primo luogo, ingannato e, in secondo luogo, un estraneo, uno straniero. Sono tornato a casa e ho detto subito a mia moglie che mi sentivo come una persona di un altro paese, perché non capivo le persone intorno a me, come potevano restare tutti così tranquilli davanti a quello che stava accadendo. Non capivo come potessero comportarsi così gli uomini al governo. Non capivo più niente».
Leggete il testo completo dell’intervista nei prossimi numeri.
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Nella foto di apertura, di AP/LaPresse, la repressione della protesta, scoppiata a Mosca nel settembre 2021, alla notizia della mobilitazione ordinata da Putin.
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