Welfare

Morti sul lavoro, Segio: «Questa strage in tempo di pace ha precise responsabilità»

Il Rapporto diritti globali di società INformazione, diretta da Sergio Segio parla chiaro: «Il Covid ha distolto l’attenzione. Morti e infortuni sono aumentati rispetto al pre-pandemia. I controlli? Scarsi e inefficaci»

di Luca Cereda

Il 28 aprile è la giornata mondiale per la salute e la sicurezza del lavoro, una giornata che mette al centro la correlazione tra la dignità del lavoro e la salute: «L’obiettivo che ci poniamo presentando il nostro rapporto da vent’anni, è affermare che la vita e la salute dei lavoratori devono essere dei diritti umani e non “solo” diritti del lavoro», afferma Sergio Segio, direttore di società INformazione, che da due decenni cura il Rapporto diritti globali.

Gli ultimi dati di “Insicuri da morire: le vittime sul lavoro nel mondo”, curato e realizzato dall'associazione società INformazione onlus – e che inaugura la nuova collana editoriale I Quaderni dei Diritti Globali – raccontano che non siamo mai stati così lontani dall’obiettivo di “morti zero”, che «resta una necessaria utopia. Ma intanto assistiamo ad una strage quotidiana», aggiunge Segio.


Il costo umano del “massimizzare i profitti”

Lo scorso anno sono state nel mondo 2 milioni e 300mila le persone morte a causa del lavoro: «Per fare una comparazione, non un paragone, questo succede mentre secondo le fonti dell’Onu ritengono che sommando tutte le guerre in corso lo scorso anno nel mondo, siano morte 150mila persone nei combattimenti. Assistiamo ad una “guerra” sanguinosa e terribile, dunque. In apparenza inarrestabile e resa invisibile, per garantire l’impunità a chi, storicamente e quotidianamente, la determina e incentiva al fine di massimizzare i profitti e per scaricare le responsabilità sulle vittime stesse», chiosa Segio.

Ancora qualche numero per comprendere e se possibile razionalizzare il fenomeno: ogni giorno 6300 persone muoiono a causa per motivi legati al loro lavoro. Significa un morto ogni quindici secondi. Ovvero circa una decina da quando il lettore ha approcciato la lettura di questo articolo.

«Sono solo alcuni dei numeri di questo “crimine in tempo di pace”. Una “guerra” che coinvolge anche l’Italia dove nel 2021 sono morte 1221 persone, il 12% in più rispetto alla situazione pre pandemia», aggiunge il direttore di società INformazione. La regione più colpita è stata la Lombardia con il 24% delle vittime sul totale italiano. Qui nei primi due mesi del 2022, secondo i dati raccolti dalla Cgil di Milano, si è registrato un aumento del 40% degli infortuni rispetto ai livelli del 2020.

Una strage in tempo di pace che ha precise responsabilità

Le morti del lavoro sembrano essere così gli effetti di una guerra senza eserciti né nemici, non i risultati di un sistema che in Italia costringe un grande numero di persone a vivere in condizioni tossiche e a lavorare correndo rischi mortali. Nel nostro Paese, ma succede su scala globale, i governi collaborano alla spoliticizzazione del significato della mortalità del lavoro e la trasformano in un problema amministrativo, statistico o tecnico: «Siam davanti ad una forma di vittimizzazione secondaria di morti al lavoro e per lavoro, che vengono considerati responsabili di non applicare le norme di sicurezza che spesso non sono previste dalle imprese.

Questa strage in tempo di pace ha precise responsabilità, ma resta sempre impunita proprio perché viene attribuita la colpa alla vittima, quando tra le sue cause c’è anche il superlavoro, lo stress e liberi professionisti che fanno i salti mortali tra una posizione di lavoro e l’altra», spiega Sergio Segio.

L’obiettivo di diminuire gli incidenti, e di accrescere la sicurezza sul posto di lavoro, è quindi dichiarato da tutti, ma gli strumenti per realizzarlo sono diversi e loro efficacia non è garantita in un mercato del lavoro polverizzato e aleatorio, con i sistemi di controllo e prevenzione e le risorse necessarie mantenute dolosamente insufficienti, quando non inesistenti.

«Con questa situazione di fronte – aggiunge Segio – la pandemia non ha mitigato il problema, ma ci ha soltanto distratto da punto di vista numerico. Queste morti poi sono maggiori in quelle aziende dove non sono presenti rappresentanti sindacali e dove la catena degli appalti e dei subappalti è infinita. Ma i dati raccolti raccontano soltanto di una parte del problema. C’è una grande massa di infortuni che non viene denunciata e questo va collegato alle condizioni precarie del lavoro e all’alto tasso di lavoro grigio e nero che c’è anche a Milano».

“Stop ai ragazzi in aziende insicure”

C’è un altro dato che caratterizza l’Italia: «A differenza del passato a morire non sono soltanto i lavoratori ma anche gli studenti. Giovani come Lorenzo Parrelli, 18 anni, e Giuseppe Lenoci, 16 anni, rimasti uccisi a gennaio e febbraio a cui abbiamo dedicato il Rapporto», spiega Sergio Segio. Erano studenti “costretti a lavorare gratuitamente da una norma, la legge 107 del 2015, che lo ha reso possibile e che ha imposto l’alternanza scuola-lavoro” si legge nel rapporto che viene presentato questa sera alle 20.15 alla Camera del Lavoro di Milano insieme all’attrice della Casa de Papel Itziar Ituno e al commissario europeo per l’occupazione Nicholas Schmit. «Con lui ci siamo confrontati in questi mesi – aggiunge Segio – insieme a Fight Impunity sull’Europa a cui chiediamo che i fondi per il post pandemia siano destinati anche alla prevenzione degli infortuni del lavoro.

Sono due ragazzi morti giovanissimi in luoghi e in momenti in cui non avrebbero dovuto essere. Questa norma obbliga all’andare in azienda, ma molte aziende non rispettano le norme di sicurezza e non vengono formati e informati. Speriamo che si possano inserire i ragazzi delle scuole non in aziende insicure, ma in contesti di volontariato per costruire la loro cittadinanza».

I controlli calano, in modo incontrollato

Infine c’è il problema dei controlli. L’aumento del numero degli ispettori sul lavoro previsto dal decreto fiscale è ritenuto “insufficiente” dal direttore di società e INformazione Sergio Segio che ricorda un dato: «Nella provincia di Bergamo ci sono 80mila aziende e soltanto 22 ispettori del lavoro. Questo significa che ogni ispettore dovrebbe vigilare su circa 4mila imprese. I controvi sono dunque insufficiente per non dire assent. E quando si verificano il tasso di irregolarità è molto alto. “Nel 2021 il 90% delle imprese controllate presentava delle irregolarità, una percentuale in aumento rispetto al 2020.

E se per l’Inps gli ispettori sono calati dai 1232 del 2016 ai 1004 dell’aprile di quest’anno, all’Inail sono passati dai 350 di cinque anni fa agli attuali 246. 1In Calabria ce ne sono quattro, tre in tutta la Sardegna, uno soltanto in Basilicata», spiega Segio. Numeri che ancora una volta si traducono nell’abbattimento dell’attività ispettiva, come ha accertato anche la Corte dei conti per l’anno 2019, certificando che l’Inail stessa imputa il calo “ai processi di riorganizzazione e coordinamento conseguenti alla creazione dell’agenzia unica dell’Ispettorato nazionale del Lavoro”. In parole povere, al garbuglio burocratico concepito nel 2015. Anche se in base al decreto fiscale dello scorso anno è prevista l’assunzione di più di duemila unità, ma questo non pasta per chi vive e lavora in un Paese in cui si è “Insicuri da morire”.

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