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Morti di freddo

Nel capoluogo lombardo in appena dieci giorni tre persone hanno perso la vita. In città sopravvivono 5mila senzatetto

di Riccardo Bonacina

«Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo», spiega Gesù nel Vangelo di Matteo. Proprio così, succede a Milano, la città dell’Expo 2015 dove si litiga per i compensi milionari.

Un freddo così non lo si pativa da tempo a Milano, e ovviamente a soffrire più di tutti sono i senzatetto. Sono 3 morti sulle strade in soli 10 giorni.

Il 6 gennaio, nella sala d’aspetto della Stazione Centrale di Milano, davanti al binario n.6, è morto un clochard. Una tragedia forse annunciata, si chiamava Franco Mauri ed aveva 69 anni.

Il 13 gennaio, stroncato da un arresto cardiaco in piazza Santo Stefano, a due passi dall’università Statale un africano  di  40 anni, ha cominciato a rantolare sul marciapiede, in preda a un terribile malore. Aveva un infarto in corso. Il clochard è stato soccorso dal 118, grazie alla segnalazione di un passante, e portato al Policlinico, ma una volta giunto in ospedale è morto. Tra le prime ipotesi il freddo intenso di questi giorni, capace di stroncare anche un cuore giovane.

Ieri sera un altro africano, senegalese, giovane,  di 35 anni e’ stato trovato morto nella notte a Milano. Era riverso sul marciapiede di via Scarampo.

Mariolina Moioli, dell’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali di Milano ha commentato così: «Ho appreso ieri sera, in tempo reale, del ritrovamento del cadavere del giovane senegalese in via Scarampo. Sono stata informata dagli operatori dell’Unità Mobile notturna Il buon samaritano che, nel loro turno di ronda, si erano recati ancora una volta sotto il ponte della Ghisolfa per offrire al trentacinquenne africano il ricovero presso una delle nostre strutture.  Si tratta di un giovane che i nostri servizi seguivano dallo scorso autunno al quale era stata più volte offerta accoglienza presso i nostri dormitori. Ma il ragazzo ha sempre rifiutato, accettando piuttosto cibo e coperte. Il dispiacere  è reso ancora più acuto dall’impotenza che prova chi vede rifiutarsi per l’ennesima volta un tentativo di aiuto. Grazie alla disponibilità di alcune strutture sanitarie, più volte abbiamo cercato di offrire un ricovero ai senzatetto che versano in gravi condizioni di salute. Ma nella maggior parte dei casi, neppure la malattia convince queste persone a intraprendere una strada diversa».

Per far fronte all’emergenza freddo, il Comune di Milano ha messo a disposizione dei senzatetto circa 900 posti letto. Ad oggi le persone ospitate dall’inizio dell’inverno, informano dal Comune, sono state più di 1.400 grazie anche al presidio del territorio effettuato dalle 8 unità mobili (7 notturne e una diurna) che nel corso della giornata offrono assistenza e la possibilità di ricovero nelle strutture ai senzatetto. In questo periodo di particolare freddo sono stati acquistati 500 sacchi a pelo. Grazie alla collaborazione con il Banco Alimentare, da quest’anno gli ospiti dei centri usufruiscono non solo della prima colazione, ma anche del pranzo e della cena. Il Banco Farmaceutico fornisce invece medicine per gli interventi delle unità mobili e per le infermerie dei dormitori; mentre i Medici volontari hanno messo a disposizione la loro professionalità.

 

IL CENSIMENTO

di Daniela Verlicchi

Single, mezza età, un lavoro in nero e un diploma in tasca. Non è l’identikit dell’italiano medio, ma quella del clochard milanese, così come è stato ricostruito in uno studio di due giovani ricercatrici, Cinzia Braga dell’Università Statale e Lucia Corno della Bocconi che hanno censito l’intera popolazione di senza tetto del capoluogo lombardo. Come? La tecnica utilizzata è quella, molto diffusa negli Stati Uniti, del «single night approach»: in una stessa notte si setacciano le strade, le vie e le piazze di una città (tutte) per individuare e intervistare gli homeless che le abitano; per quelli che vivono in baraccopoli, aree dismesse o nei ricoveri, invece, le interviste avvengono in giorni successivi. È la prima ricerca di questo tipo che si realizza in Italia: oltre 400 volontari hanno effettuato le rilevazioni.

IDENTIKIT. Così facendo, Cinzia Braga e Lucia Corno sono riuscite a raccogliere informazioni su circa 5mila senza tetto, quelli presumibilmente presenti a Milano la notte del 14 gennaio dell’anno scorso. Corrispondono allo 0,3 % della popolazione milanese, più di più di quanto avevano stimato ricerche precedenti. Ma le sorprese non finiscono qui. Dalla raccolta dei dati anagrafici emerge che l’età media è di 40 anni e uno su tre è diplomato, un dato in linea con quello più generale della popolazione italiana. Sono in maggioranza single o separati (lo è oltre il 60% di chi è in strada) il 29 % lavora e la metà è italiano.

STRADA O DORMITORIO? Sul totale degli homeless, 3.300 vivono in baraccopoli, aree dismesse e campi nomadi, 1.150 trascorrono la notte nei dormitori, 400 in strada. Le differenti sistemazioni derivano dalle capacità organizzative di ciascuno, dal tempo (e dalle ragioni) della perdita della casa, dall’età e, per certi versi, da una scelta: «Chi è fuori casa di un certo numero di anni non si adatta facilmente alle regole che vigono nei dormitori», spiega Braga.

PROGETTI. Le ragioni che portano alla vita di strada sono tante e difficili da studiare. Alla base di quasi tutte le storie c’è il fallimento di un progetto individuale che, nel caso degli italiani, ha come con-cause la perdita di relazioni famigliari o del lavoro, mentre per gli stranieri è dovuta alle difficoltà dell’immigrazione o alla mancanza di lavoro. Questo a prescindere dal fatto che gli immigrati risultino in media più istruiti degli italiani: con 9,7 anni di studio alle spalle contro gli 8,2 degli homeless locali.  «D’altra parte – osserva la ricercatrice -. Le storie di senza tetto italiani e stranieri sono per molti aspetti differenti. Per i primi, la strada è un punto di arrivo di una serie di vicissitudini; per gli altri è un punto di partenza».   

LAVORO ON THE STREET. Senza tetto però non è sinonimo di senza lavoro. Il 29% degli intervistati è riuscito a trovare un impiego anche senza un’abitazione (il 45% lo aveva prima di perderla). Nella metà dei casi si tratta di un lavoro in nero (solo il 13% degli altri possiede un regolare contratto a tempo indeterminato e il 20% è precario), poco retribuito e specializzato ma pur sempre di lavoro si tratta. «In media guadagnano 827 euro al mese – aggiunge Braga -: sono una forza lavoro rilevante. Assieme al dato sull’istruzione ci dice che hanno delle potenzialità: agli amministratori il compito di disegnare politiche in grado di valorizzarle».  
  


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