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Moro: «Dobbiamo riscoprire il significato costituzionale della sussidiarietà»
«La crisi innescata dal Coronavirus», sottolinea il sociologo Giovanni Moro, sul numero del magazine di aprile scaricabile su Vita.it, «ha mostrato chiaramente che una divisione netta del lavoro tra società e Stato, dinanzi a catastrofi di tale portata, non è un vantaggio ma uno svantaggio per tutti»
di Marco Dotti
Comitati spontanei, gruppi di quartiere, ragazzi che si mettono in campo: è grande l’ondata di attivismo che si sta contrapponendo sul territorio alle conseguenze del Coronavirus. Conseguenze non solo sanitarie ma sociali. Quando tutto passerà, resterà qualcosa? Avremo capito la lezione? Ci apriremo a forme concrete e nuove di solidarietà e sussidiarietà tra amministrazioni e cittadinanza? Ne parliamo con Giovanni Moro, già presidente di Fondaca, sociologo, autore di libri ben noti ai nostri (e suoi) lettori, da Cittadinanza attiva a qualità della democrazia (Bruno Mondadori, 2013) a Contro il non profit (Laterza, 2014), attento osservatore della società civile e delle forme della partecipazione civica.
Non si governa senza società civile, insegnava Václav Havel. Oggi questa lezione sembra di un’attualità sconcertante…
Partiamo dall’attivismo civico, ovvero da tutte le forme di auto organizzazione, che abbiamo rilevanza giuridica o meno, dei cittadini che si occupano di autotutela. Partiamo da qui perché è questo che definisce la nostra società civile. Questo attivismo si occupa di diritti, della cura dei beni comuni, di supporto all’autonomia di soggetti in condizioni di debolezza o sofferenza e lo fa in vario modo, creando servizi, facendo attività di advocacy o facendo l’intervento diretto. Le azioni dei cittadini per l’interesse generale che emergono in modo anche autonomo dalle forme più organizzate e consolidate è un fenomeno che c’è da parecchio tempo. Oggi cogliamo una effervescenza nuova, ma lo slancio viene da lontano.
Forse era difficile osservarlo e l’emergenza lo ha portato alla luce?
L’Istat non lo poteva cogliere, perché spesso si tratta di associazioni senza statuto giuridico o di comitati. Ma oggi constatiamo tutti che c’è, ed è una fioritura di forme strutturate o meno strutturate di attivismo civico di uso in tutto il Paese: basti pensare a tutti coloro che nei condomini o nei quartieri si sono auto organizzati per consegnare cibo o medicine ai vicini anziani o in quarantena, ai ragazzi che hanno iniziato a fare volontariato proprio in questo periodo e anche alle iniziative digitali che hanno fatto pressione sui decisori per orientare al meglio certe norme restrittive o l’informazione di usa, che ha permesso a tantissime persone di venire a capo del groviglio di norme che ha imbrigliato la nostra quotidianità. Dobbiamo prestare molta attenzione a questi piccoli movimenti, che indicano qualcosa di molto importante: sta forse nascendo una qualche forma di attivismo civico che non necessariamente rientrano nelle forme più organizzate che già conosciamo.
Nel dopo, pensa che questo attivismo civico, che probabilmente si affiancherà più che confluire nei canali più grossi e tradizionali del Terzo settore, potrà dare lo slancio per un nuova sussidiarietà di territorio?
Il dopo è un’opportunità. Lo è, soprattutto, se finalmente cominciamo a chiarire che cos’è sussidiarietà. C’è stata molta confusione negli anni passati, su questo concetto.
Proviamo allora a chiarirlo e a rilanciare la questione?
Da anni si contendono il tema “sussidiarietà” posizioni molto diverse. C’è l’idea ottocentesca, che ritroviamo anche nella Dottrina Sociale della Chiesa, che legge la sussidiarietà come divisione del lavoro: quello che fa la società, non lo deve fare lo Stato che, casomai, interviene in aiuto quando la società non ce la fa. C’è poi un una visione strumentale della sussidiarietà: viene chiamata così, ma è di fatto una esternalizzazione dei servizi. In ne, c’è la sussidiarietà così come è stata accolta dalla Costituzione: sussidiarietà come valore dell’attività autonoma dei cittadini per l’interesse generale, una attività che le amministrazioni devono favorire, ma non possono autorizzare o ignorare. Questa crisi ha reso evidente che tanto la prima, quanto la seconda idea di sussidiarietà non funzionano. La crisi innescata dal Coronavirus ha mostrato che una divisione netta del lavoro tra società e Stato, dinanzi a catastrofi di tale portata, non è un vantaggio ma uno svantaggio per tutti: se c’è una cosa che abbiamo capito, in questo periodo, è che il ruolo della guida pubblica, purché illuminata, e di conseguenza dello Stato è cruciale. Se non ci può più essere un’ingenua suddivisione dei lavori fra società e Stato, ancor meno possiamo permetterci una visione strumentale della sussidiarietà. Al contrario, è proprio il significato costituzionale della sussidiarietà che dobbiamo approfondire e riscoprire di fronte a dei compiti che sono nuovi.
Che cosa intende, di preciso, quando parla di significato costituzionale della sussidiarietà?
Parlo di una relazione a valore aggiunto tra i cittadini comunque organizzati e le istituzioni della Repubblica. Una relazione che può assumere le forme della collaborazione. Le forme della collaborazione, per esempio, sono quelle degli empori solidali: ognuno porta il suo, nessuno toglie responsabilità ad altri, cittadini e imprese donano, associazioni e Comuni collaborano e ai beneficiari viene chiesto di fare volontariato per gestire l’emporio, ossia di rientrare in un certo circuito di senso. I Comuni, ovviamente, risparmiano ma nessuna delle loro responsabilità viene eliminata: sono forme a valore aggiunto, non a sottrazione di valore come nelle esternalizzazioni.
Andremo, dunque, verso questa forma di sussidiarietà collaborativa?
Bisognerà fare i conti con risorse minori per esigenze che saranno maggiori. Ci sarà, sicuramente, da parte delle amministrazioni pubbliche la tentazione di amministrativizzare l’attivismo civico, dando autorizzazioni “ad esistere”. Secondo me, il Terzo settore non dovrebbe accettare questa logica, soprattutto di fronte a s de che sono nuove e che metteranno sempre più alla prova le strutture del Terzo settore. La vita, inoltre, non sarà più come prima, …
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cover art: Massimiliano Marzucco & Matteo Riva
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