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Morire a 20 anni per vendetta

Un ragazzo di 20 anni ammazzato perchè il cugino, quattro anni prima, aveva ucciso un giovane in una rissa: è la gjakmarrja, la vendetta di sangue tra famiglie. Sempre più crudele, nell'impotenza del governo albanese, che invece minimizza il fenomeno

di Daniele Biella

Si può essere uccisi a soli 20 anni per vendetta nell'agosto del 2012? La risposta è sì: dall’altra parte dell’Adriatico, a poche decine di chilometri di distanza, via mare, dalle spiagge piene zeppe di bagnanti, succede anche questo. Anzi, continua a succedere da secoli: in Albania la gjakmarrja, la vendetta di sangue tra famiglie prevista dall’antico codice d’onore, il Kanun, è oggi tragicamente molto attiva: sono almeno dieci le vittime predestinate nei soli ultimi due mesi, soprattutto nei piccoli centri di montagna del nord del paese, attorno alla città di Scutari.

“Il 23 agosto 2012, il 20enne Gijn Gurj è stato ucciso, nel piccolo villaggio di Bardhaj, per vendetta di sangue. Insieme alla sua famiglia era ‘inchiodata’ da quattro anni (ovvero in stato di auto reclusione in casa per rispetto alla famiglia rivale e per la conseguente paura di essere ucciso), da quando, il cugino di Gijn, Pllumbë, in seguito ad una rissa, ha ucciso un altro ragazzo ed è stato arrestato. L’onore perduto, a causa di una lite o per l’uccisione di un parente, deve essere pagato con un altro omicidio”, denuncia Paolo Ramonda, presidente dell’associazione comunità Papa Giovanni XXIII, che in Albania è presente con alcune case famiglia e con i volontari del corpo civile di pace Operazione colomba, nel cui mandato è in primo piano l’interposizione nonviolenta per sradicare la gjakmarrje dalla società albanese.

“Attraverso la condivisione del quotidiano con le famiglie in auto reclusione e quelle in attesa di vendetta cerchiamo di far capire loro quanto, oggi più che mai, sia importante la riconciliazione”, spiega Fabrizio Bettini, responsabile Albania per l’Operazione Colomba, la cui presenza attuale conta su otto volontari, tra cui tre Caschi bianchi in servizio civile. “E’ estremamente difficile convincerli a perdonare, ma bisogna perseverare, anche perché queste famiglie sono lasciate a sé stesse”. Esistono i conciliatori tradizionali, uno per ogni villaggio, una figura importante nel passato ma oggi poco carismatica, “anche perché spesso chiedono soldi per fare il proprio dovere”. E lo Stato albanese? “Incredibilmente minimizza le morti per vendetta: il premier Sali Berisha poco tempo fa ha dichiarato al consiglio d’Europa che la gjakmarrja è ridotta quasi a zero, ma così non è affatto”.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema l’Operazione Colomba indica ogni giorno 12 del mese una manifestazione in centro a Scutari, e con le altre associazioni scende periodicamente in piazza e fa lobby verso le istituzioni “per una legge che riconosca l’onore, e dia risposte culturali alla gente, non sbandieri solo i numeri di quante persone sono in prigione perché colpevoli di vendette”, spiega Bettini. Il fenomeno negli ultimi tempi è diventato ancora più allarmante, perché mentre prima la vendetta era riservata ai maschi (le donne non devono vivere auto recluse e possono anche lavorare), ora si colpiscono anche le femmine, “come nel giugno di quest’anno, quando è morta una ragazza di soli 17 anni”(vedi la foto d’apertura).

“Ci sembra impossibile che ancora oggi in Albania, uno stato da vent’anni in cammino verso un pieno stato di diritto, e in corsa per l'entrata nell'Unione Europea, non si affronti il fenomeno in maniera coordinata ed efficace”, ribadisce Ramonda, presidente della Papa Giovanni XXIII, “chiediamo che lo Stato Albanese prenda parte alla lotta a questa mentalità criminale e si faccia garante dei diritti delle persone, collaborando con tutte le realtà della società civile albanese che lottano contro questo fenomeno”. Infine, aggiunge Ramonda, “chiediamo anche al Governo Italiano, in particolar modo al ministro degli Affari esteri Giulio Terzi e al ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi, visti i rapporti di amicizia e vicinanza con lo Stato Albanese, a esprimere una posizione chiara contro il fenomeno delle vendette di sangue e a sostenere il Governo Albanese nell’adozione di tutti quei provvedimenti necessari a tutelare i propri cittadini e a porre fine ad un fenomeno violento che è motivo di lacerazione per tutta la società”.


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