Welfare

Moratti blob

di Flaviano Zandonai

Qualche notte fa durante uno zapping notturno tra i canali di una TV generalista ormai in disfacimento mi sono imbattutto in una trasmissione – 2next – dove tra gli ospiti c’era Letizia Moratti che veniva intervistata nella veste di imprenditrice sociale, in particolare per quanto riguarda il suo impegno nella comunità di San Patrignano. Ecco alcuni spezzoni dell’intervista. Una sorta di “blob” che riassume i principali contenuti e, nel suo insieme, evidenzia come il campo dei “portatori di interesse” dell’impresa sociale si stia allargando a nuovi attori che non necessariamente provengono dal campo nonprofit. Insomma, prove tecniche di futuro per l’impresa sociale.

Il nonprofit sulle macerie dello Stato. L’intervista entra subito nel merito: impresa sociale e terzo crescono perché lo Stato non è in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini. E la principale causa della sua crisi è la minor disponibilità di risorse economiche. Un primo punto tutto da discutere.

Ce lo chiede l’Europa. Il dialogo prosegue e Moratti mette il coltello nella piaga: bisogna cambiare la legge sull’impresa sociale italiana per non perdere la nuova tornata di finanziamenti europei. Il punto è più che controverso e sostanzialmente riguarda la necessità di allentare il vincolo alla distribuzione degli utili (oggi totale) per fare in modo che le imprese sociali siano in grado di attrarre risorse finanziarie magari pazienti, ma non disposte a non veder remunerato il loro investimento (anche se con tassi “calmierati”).

Il braccio operativo: Riccardo Luna introduce il social impact bond, ovvero il nuovo strumento finanziario per la nuova impresa sociale. Il servizio è molto chiaro e riprende l’esperienza inglese del primo social bond che ha finanziato il reinserimento lavorativo in ambito carcerario.

E se lo dice Goldman Sachs! Moratti riprende i contenuti del servizio ed evidenzia gli elementi di vantaggio delle obbligazioni sociali inglesi: lo Stato fa da garante finale, ma sono gli investitori a rischiare secondo un modello elaborato e promosso anche dalla famosa (famigerata?) banca d’affari statunitense Goldman Sachs.

Gran finale con la finanza sociale. Un altro servizio chiude l’incontro. Ma ci sono troppe cose dentro: microcredito, i social bond di UBI Banca, banca etica, big society per finire con il dissesto della cooperative bank inglese. Moratti chiosa sottolinendo le differenze tra i social bond nostrani e quelli inglesi. Questi ultimi, infatti, prevedono un “payment by results”, dove cioè il rendimento è legato al risultato sociale raggiunto (ad esempio la diminuzione della recidiva nel caso dell’inserimento al lavoro dei carcerati).

Una trasmissione interessante, tutta da discutere, in particolare per quanto riguarda il ruolo guida della finanza in questa nuova stagione dell’impresa sociale. E tutto questo a prescindere da come andrà la vicenda normativa.

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