Cultura
Monsignor Zenti: La delocalizzazione selvaggia crea deserto”
Il Vescovo di Vittorio Veneto (Treviso) ha incontrato gli operai della Zoppas a rischio licenziamento
”La delocalizzazione, selvaggia e senza regole, rischia di provocare una progressiva desertificazione occupazionale dei territori, come il NordEst, che fino a ieri erano oasi invidiate ed esemplari”. Lo afferma in un messaggio diffuso oggi il vescovo di Vittorio Veneto (Treviso), Giuseppe Zenti, dopo un incontro con gli operai della Zoppas. Per Zenti, ”una azienda delocalizzata va considerata come una ramificazione di quella nata, cresciuta e resa produttiva in un territorio, piuttosto che una nuova piantagione a se stante”. Il piano di delocalizzazione dell’azienda trevigiana prevede il licenziamento di 720 dipendenti e la chiusura di due stabilimenti. Nel corso dell’incontro, il vescovo aveva anticipato che illustrera’ il caso al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il messaggio, afferma Mons.Zenti, ”è un intervento da vescovo, da uomo sopra le parti, non uno schieramento unilaterale. Non sono contro nessuno. Non sono prigioniero di nessuno. Per quanto è di mia competenza, vorrei favorire un raccordo tra le parti in causa”. Il vescovo offre quindi, ”qualora se ne valuti l’opportunità, anche una mediazione nell?ambito delle aziende ubicate nel territorio della diocesi di Vittorio Veneto, non in spirito di conflittualità rivendicativa, ma di ragionevolezza”. ”Questo – prosegue il presule – pur di giungere a soluzioni che, mentre possono offrire nuove opportunità occupazionali anche nei mercati mondiali del lavoro, non strappino di mano un diritto, come e’ quello dell’occupazione lavorativa, a coloro che gia’ l’hanno a fatica acquisito e se lo trovano ratificato a livello della Costituzione”. Secondo il vescovo, ”non e’ giusto che il sorriso dei nuovi occupati in terre lontane sia pagato dalla rabbia, difficilmente controllabile, dei disoccupati che da quell’azienda hanno tratto il sostentamento per la propria famiglia, mentre hanno coscienza di aver assicurato un contributo personale di impegno e di dedizione delle risorse fisiche e culturali, per la stabilita’ e la prosperita’ dell’azienda, che, in qualche modo, sentono propria”. ”Una speranza appena germinata – afferma – non ne spenga una gia’ vigorosa: perche’ non e’ possibile mettere a fondamento dei progresso della civilta’ il principio che la vita e la prosperita’ dell’uno dipende dalla vita e dalla prosperita’ dell’altro? Le aziende nate in un territorio e sviluppate con l’apporto di persone del territorio, appartengono al patrimonio di quel territorio, come le opere d’arte”. ”Semmai i profitti piu’ elevati assicurati dalla delocalizzazione, e anche questi andrebbero soggetti ad un’etica da tutti condivisa, dovrebbero avere un ritorno di utilita’ nei confronti dell’azienda d’origine, se essa sta vivendo una situazione di crisi, allo stesso modo in cui la delocalizzazione e’ stata resa possibile dagli utili dell’azienda d’origine”. Va infatti ”tenuto sempre presente che la forza vitale di una azienda non sta esclusivamente nell’accumulo dei profitti, ma nella sua stabilita’ e nella positiva ricaduta sociale, che a lungo andare premia. Ma poiche’, purtroppo, il fatto non riguarda solo una pur prestigiosa azienda del nostro territorio, bensi’ si estende a molte aziende della regione, dell’Italia, dell’Europa, come un dato scontato, libero da ogni vincolo e immunizzato da forti critiche socio – culturali, prima che il fenomeno diventi del tutto ingestibile, necessitano adeguati interventi legislativi almeno a livello nazionale ed europeo e un risveglio dell’ opinione pubblica, che rischia di insabbiarsi, in grado di fare da supporto ai vari Parlamenti”
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