Medio Oriente

Monsignor Hanna Jalloun: «Cari occidentali: chiamate i rivoluzionari siriani “integralisti”. Ma vi sbagliate»

Abbiamo incontrato ad Aleppo il vescovo latino e vicario apostolico Jalloun: «Al Jolani, leader degli Hayʼat Taḥrīr al-Shām, mi ha telefonato per chiedermi come stessi e come stessero i nostri cristiani», racconta. «Per il mondo occidentale loro sono terroristi, ammazzano e spargono sangue. Però conoscendoli si scopre la loro dignità umana e la fedeltà alla Patria». E ai siriani fuori dal Paese chiede: «Tornate in Siria, tornate perché il vostro Paese ha bisogno di voi»

di Asmae Dachan

«È stato tutto molto veloce, nessuno se lo aspettava, in quarantotto ore Aleppo con tutta la forza che aveva è caduta nelle mani dei rivoluzionari, o meglio dei patrioti. La gente in un primo momento era impaurita di fronte a questo cambiamento totale. Nessuno sapeva niente e questo ha creato timore. Piano piano le cose sono cambiate», a parlare è monsignor Hanna Jalloun, vescovo latino e vicario apostolico. Lo abbiamo incontrato ad Aleppo, la seconda città della Siria.

Li ha definiti “patrioti”?

Quando il gruppo degli Hayʼat Taḥrīr al-Shām sono entrati ad Aleppo io li conoscevo già tutti, compresi i loro dirigenti. Li avevo incontrati a Idlib e c’era una certa amicizia tra noi che risale al 2018. C’era un’amicizia anche con il loro capo, Mohamed al Sharee (al Jolani) che mi ha telefonato per chiedermi come stessi e come stessero i nostri cristiani. Gli ho detto che ringraziavamo il Signore perché non è stata versata neanche una goccia di sangue, ma che la gente aveva ancora tanta paura. Lui mi ha risposto assicurandomi che, come era stato fatto a Knayeh e negli altri villaggi a Idlib, nessuno avrebbe toccato i nostri beni, le nostre fabbriche, le nostre case, i nostri magazzini. Per il mondo occidentale sono terroristi, ammazzano, spargono sangue, sono un po’ fanatici, integralisti, e tutto quello che si dice solitamente. Però conoscendoli si scopre la loro dignità umana e la loro fedeltà alla Patria. È stata una grazia perché avendoli conosciuti si è instaurata un’amicizia, direi una fratellanza, e qualunque cosa accada, perché i problemi capitano, ci metteremo d’accordo.

Dicevamo delle feste…

Al Sharee ci ha esortato a vivere la vita normalmente, festeggiare come sempre, garantendo che non ci sarebbe stato nessun impedimento per noi. Così abbiamo cominciato a rassicurare la gente. Prima non volevano fare alberi di Natale, né il presepio, né addobbare le chiese. Ho detto a tutti che mi è stato assicurato che nessuno avrebbe toccato niente. Le cose sono andate avanti e abbiamo fatto tutto nel migliore dei modi. Per quanto riguarda la sicurezza delle chiese, abbiamo fatto un programma molto bello, e ci tengo a dire che nessuna ragazza ha subito molestie di alcun tipo. Le feste sono andate davvero benissimo e questo è stato un onore per noi. 

Come sono state le fasi successive?

Abbiamo aiutato la gente come abbiamo potuto e sistemato anche tutti i soldati che erano di istanza nella nostra zona, quasi duecento, dai generali a quelli semplici, che erano stati abbandonati al loro destino. Piano piano le cose si sono sistemate abbastanza bene sia per i servizi pubblici, per l’elettricità, per l’acqua, per beni di prima necessità come il gasolio, il gas. Grazie a Dio sta andando bene, come si dice, piano piano la carovana va avanti. Le racconto un aneddoto.

Prego

È successo che una persona di fede cristiana, mentre andava da Aleppo a Damasco, è stata ferita. L’hanno portata in ospedale a Hama e lì purtroppo è morta, proprio mentre Hama cadeva. I familiari mi hanno contattato per chiedermi come fare per riportare a casa la salma. Così ho chiamato al Sharee e gli ho detto cosa volevo. Lui mi ha risposto che si sarebbero occupati loro di riportare il feretro a casa, senza che i parenti si mettessero in viaggio. Lo hanno caricato su un’ambulanza e lo hanno portato qui da me al vicariato, ma ho chiesto loro di accompagnarlo fino alla famiglia. L’ho trovato un atto molto umano. La gente ha potuto constatare che c’è qualcosa che sta cambiando. Ora ci sono amore, fratellanza, possiamo dire anche timore di Dio. 

Monsignor Hanna Jalloun vescovo latino e vicario apostolico ad Aleppo durante l’intervista di Asmae Dachan

Dopo tanta sofferenza questa fase chiama tutti i figli della Siria alla partecipazione per il cambiamento. Qual è il ruolo che adesso deve giocare la comunità cristiana?

La prima cosa è che noi dobbiamo essere parte integrante del processo per la ricostruzione del Paese. Abbiamo sempre avuto questo ruolo, sia a livello politico, sia a livello sociale e culturale e bisogna continuare su questa via. La seconda cosa, essendo stato abolito il sistema militare, anche il servizio di leva (che era obbligatorio per un minimo di tre anni n.d.r.), è il momento che tanti giovani ritornino, perché rappresentano una ricchezza per il Paese. Non parlo solo dei maschi, ma anche delle femmine. C’è un Paese nuovo da inaugurare, bisogna riprendere i matrimoni, la vita sociale.

C’è un grande nome nella comunità che definirei italo-siriana che manca all’appello, padre Paolo Dall’Oglio. Avete più avuto sue notizie?

Purtroppo ormai direi che è stato ucciso, da molto tempo, quasi dieci anni. Come sappiamo era entrato clandestinamente in Siria, andando prima dai curdi, è passato poi a Raqqa, e voleva entrare dalle nostre parti, ma all’ultimo posto di blocco ha presumibilmente avuto un diverbio con uno dei miliziani di pattuglia e si vede che quel ragazzo non sapeva chi fosse padre Paolo e lo ha ucciso. Poi ha chiamato i suoi capi e ha detto loro di aver sparato a una persona che si era presentata davanti a lui. Quando questi hanno capito di chi si trattava lo hanno insultato per quello che ha fatto. È così che dovrebbe essere andata la storia, purtroppo. 

Perché il suo messaggio resti vivo, che cosa bisogna fare?

Padre Dall’Oglio ha fatto tanto bene alla Siria, specialmente vicino ad al-Nabek. Ha fondato anche un monastero (Der Mar Musa n.d.r.), una comunità religiosa (al Khalil n.d.r.), sia maschile, sia femminile, e ha lavorato molto bene anche nell’ambito della fratellanza tra cristiani e musulmani. Purtroppo però la sua vicenda è finita male. 

Ora che la nuova Siria si apre al mondo, quale sarà il ruolo del Vaticano?

Spero che potremo fare qualcosa di buono. Il 31 dicembre 2024 abbiamo avuto un incontro con Ahmad al Sharee, c’era una delegazione dei frati francescani della Custodia della Terra Santa e parlando con lui ha espresso il desiderio di incontrare il Santo Padre. Questo vuol dire che c’è una volontà, una vicinanza. Speriamo davvero di poter fare qualcosa perché se veramente la voce della Santa Sede arrivasse a tutto il mondo, sarebbe un gran bene per la Siria. 

Secondo lei, in questo preciso momento, di che cosa ha più bisogno la Siria? 

La prima cosa è la sicurezza, poi, piano piano, bisognerà arrivare a promulgare la nuova Costituzione, nella quale andranno definite diverse cose: dal ruolo della donna, a quello delle diverse etnie. Dovranno essere decise bene tutte le questioni, come quella giudiziaria, la scelta dei ministri, un po’ tutto. Lui (al Sharee n.d.r.) lo ha detto chiaramente che non può fare miracoli e non può occuparsi di tutto, che il Paese è devastato, compromesso, e li stiamo vedendo tutti piano piano i disastri che si stanno scoprendo. Non è facile, ma con l’aiuto di Dio e la buona volontà degli uomini le cose andranno avanti. 

Cosa direbbe ai siriani fuori dalla Siria?

Dico loro di tornare in Siria, tornate perché il vostro Paese ha bisogno di voi, voi lo avete lasciato e avevate ragione di farlo, ma adesso è il momento di tornare, prendersi mano nella mano e rimettere a posto le cose. La Siria ha sempre avuto una grande cultura, ha dato all’umanità tanti santi e tanti uomini grandi. Una volta il Papa, il governatore di Damasco e l’imperatore romano erano tutti siriani. Speriamo che questo grande contributo torni di nuovo in vita. Noi siamo come un mosaico, non si può togliere un colore da un mosaico perché si rovina. Tutti insieme possiamo fare il bene comune, il bene per la Siria, il bene per la nostra gente e la nostra fraternità. A ogni nascita si arriva attraverso un dolore, i bambini nascono piangendo e anche per la nostra vita è così. Per far nascere un Paese bisogna soffrire un po’.

Nella foto di apertura: Monsignor Hanna Jalloun vicario apostolico per i cattolici di rito latino ad Aleppo (tutte le foto: Asmae Dachan)

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