Non profit
Monopoli e azzardo: basta giri di parole, fuori i dati
Invece di rispondere alla società civile con dati veri sulla spesa in azzardo nei territori, l'Agenzia dei Monopoli di Stato ci scrive e dice che ci siamo sbagliati a lanciare il nostro appello alla trasparenza: in Italia il problema non esiste, perché per i Monopoli ogni cittadino maggiorenne spenderebbe solo 31 euro al mese in azzardo. Il distacco dei tecnici dalla realtà sociale è ormai un abisso. Ecco la nostra replica
di Marco Dotti
C'è un livello elementare di "filtraggio" dei dati. Consiste nello spostarli a proprio piacimento in caselle create ad hoc, al fine di "normalizzare" un problema.
Il trucco della "raccolta" e della "spesa"
Per quanto riguarda l'azzardo legale, quello che le norme chiamano "gioco pubblico", questo "filtraggio" consiste nel ribadire a ogni piè sospinto che "la raccolta non è la spesa". In sostanza, secondo questo "filtro" (intenzionale o meno, poco importa, quando diventa luogo comune) se un disperato mette 10 euro in una macchinetta mangiasoldi o li sperpera in gratta e vinci e ne vince – si fa per dire – 5 la spesa effettiva sarebbe di 5 euro e la "raccolta" di 10. Peccato che il disperato – e oramai sono centinaia di migliaia, ma tranquilli anche su di loro stanno approntando ricerche "filtrate" – oltre ai dieci iniziali nel 99,99% dei casi si rigiochi pure i 5 apparentemente vinti. In psicologia questo lo chiamano "rinforzo positivo" e serve a incatenare il giocatore, quando una pura perdita lo allontanerebbe generando noia e frustrazione. I tecnocrati del neuromarketing lo chiamano, più onestamente, induzione al consumo. Chiaro come l'acqua.
Ma le acque, in tema di azzardo legale, sono tutt'altro che chiare, poiché il filtro di cui parlavamo (spesa vs. raccolta) non le rischiara, anzi le intorbida.
E qui torniamo ai dati. Abbiamo lanciato un appello affinché si sappia il fatturato (parlereste mai di "raccolta" e di "spesa netta" in un bilancio aziendale? Maddai!) ossia il flusso di denaro mosso dall'azzardo che investe i singoli territori. In sostanza: se un disperato mette 10 euro in una macchinetta o li sperpera al gratta e vinci, noi quello vogliamo sapere.
Poi ognuno trarrà le proprie conclusioni e considerazioni, senza che l'Agenzia dei Monopoli o chi per essa debba alfabetizzare gli amministratori locali su come e cosa pensare. Amministratori che magari non conoscono i numeri del disastro, ma di certo conoscono oramai il vissuto concreto di migliaia di vite devastate da questo privatissimo business.
Perché negare i dati a chi – ricordiamo che un sindaco è la massima autorità sanitaria su un territorio – mette le mani nel concreto e non in banalissimi fogli excel?
Quei dati dovrebbero essere pubblici di default e non dovrebbero essere nemmeno chiesti! Se il sindaco di Brugherio piuttosto che di Milano, di Civita Bagnoreggio piuttosto che di Palermo o Cagliari li volesse, non dovrebbe far altro che domandarli alla a un loro ufficio tecnico, non bussare e ribussare e fare ore giorni mesi persino anni di anticamera in qualche ufficio romano.
Quale trasparenza?
Eppure, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non sembra pensarla così. E il suo ufficio stampa (ma la risposta dovrebbe quanto meno arrivare dai vertici, perché il vulnus è ben altro che comunicativo) ci scrive. Succo del discorso? "La raccolta non è la spesa". Solita lezioncina che potete leggere nell'allegato pdf in calce all'articolo.
E poi ci allega una serie di specifiche, ma la cosa su cui concentrarsi – perché è interessante – è il passaggio in cui si dice che i dati richiesti sono sì disponibili, ma necessiterebbero di elaborazione.
Ebbene, no, grazie, nessuna elaborazione. Se ci sono tirateli fuori subito. Senza lettere di interpretazione autentica, magari da mandare a amministratori, sindaci, consiglieri comunali, società civile e cittadini.
Cittadini, società civile e amministratori comunali sanno benissimo interpretare le cose e capirle. Da voi vogliamo fatti.
Ribadiamolo. Vogliamo sapere il fatturato (quello che voi chiamate "raccolta", di ciò che voi chiamate "spesa" ora non ci interessa) ossia il flusso enorme di denaro che investe i territori, comune per comune, città per città. Vita per vita
Chi nasconde il problema e chi lo vive
Scrivono i Monopoli: «per quanto concerne i dati pubblicati da codesto settimanale [quotidiano, ndr], si precisa che non può essere confusa la “Spesa” con il dato della “Raccolta” (insieme delle “puntate” effettuate in un anno). Quest’ultimo è un dato tecnico che esiste solo nel comparto dei giochi e che non è in alcun modo assimilabile né alla spesa dei giocatori (le perdite al gioco) né al ricavo della filiera commerciale». Un «dato tecnico che esiste solo in questo comparto» è già un indizio semantico interessante e forse ci sarebbe da chiedersi la ragione.
Poi l’ufficio stampa dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli afferma – tra le tante cose che potete leggere, e alle quali replicare appare quasi inutile – che «la spesa procapite in Italia risulta essere di 380 euro», insomma: 31,6 euro al mese. «Fino a qui tutto bene», diceva il protagonista di un vecchio film mentre cadeva dal decimo piano. Fino a qui, tutto bene? Non proprio. E la gente lo sa.
Ps: I Monopoli allegano poi una lista di comuni che negli anni avrebbero chiesto dati sull’azzardo e li avrebbero ottenuti. Notiamo solo la singolare presenza di Borgosatollo, in provincia di Brescia (sigla BS), che qui viene dato come come comune in provincia di BR, ossia Brindisi. Il diavolo – si diceva – è nei dettagli.
In allegato la lettera dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli
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