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Moni Ovadia: «La polemica di Amadeus sul Festival è lo specchio di un Paese finito»

«Il Covid non cambierà nulla. Troppa gente pensa che i propri privilegi siano un diritto. E mentre la politica politicante si occupa solo del proprio interesse il mondo della cultura deve subire, oltre alla serrata che dura da più di un anno, anche l'umiliazione di una polemica del genere». La posizione durissima dell'uomo di teatro e intellettuale. L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Da alcuni giorni al centro dell'attenzione mediatica italiana c'è il Festival di Sanremo. Il direttore artistico e conduttore Amadeus ha scatenato una polemica con il Ministro della Cultura Dario Franceschini. L'oggetto del contendere è stata la presenza del pubblico. Per il conduttore è imprescindibile per il Governo invece, essendo l'Ariston un teatro come gli altri, non c'è margine per discostarsi dalle regole generali per cui i teatri da un anno sono chiusi. Uno scontro che aveva portato Amadeus a minacciare di abbandonare la direzione dello spettacolo. Scelta su cui poi ha deciso di fare marcia indietro. Ne abbiamo parlato con Moni Ovadia, uomo di teatro e intellettuale, che sui social ha invitato al boicottaggio della kermesse.



Lei si è espresso duramente sui social sulla querelle Sanremo, invitando le persone a boicottarlo. Qual è la sua idea?
Il mondo del teatro da un anno è chiuso. Se si parla di spettacoli dal vivo sono 500mila addetti. Un'industria totalmente ferma e dimenticata. Io non ho nulla contro Sanremo, sia chiaro. Non lo sa quasi nessuno ma l'altro giorno chiacchieravo su Zoom con Enrico Ruggieri della mia partecipazione al Festival come produttore nel 1980 del cantante Francesco Magni. Non ho alcuna ostilità neanche nei confronti di un garbato presentatore televisivo come Amadeus. Però, fatta questa doverosa premessa, gli consiglierei di darsi una regolata. Nella vita bisogna riconoscere quando è il momento e quando non lo è.

È una questione di timing?
Lui è stato intempestivo perché se i teatri pubblici sono chiusi non si può fare un'eccezione né per lui né per i soldi della pubblicità. Sarebbe il segnale che non viviamo in un contesto di regole condivise ma che ognuno fa le regole come piacciono lui. Una cosa molto grave. Porti pozienza per un anno e si rifarà l'anno prossimo.

Il tema però non era sulla fattibilità dle Festival, che è di fatto garantita, ma sulla presenza del pubblico all'Ariston…

È una polemica grottesca. E allora Crozza cosa dovrebbe dire? L'Ariston per altro è un teatro molto piccolo, che è principalmente palcoscenico televisivo. Certo esibirsi solo per le telecamere senza persone fisiche è più difficile. Ed è qui la questione del timing: qualcuno si lamenta per una difficoltà lavorativa, trascurabile, a fronte di migliaia di italiani che un lavoro non lo hanno più, o lo portano avanti in mezzo a mille difficoltà.

Un problema di connessione con la realtà dunque?
Io sono convinto di una cosa: il Covid non cambierà niente. Perché esiste un tipo di uomo formato, con una certa visione del mondo, una certa weltanschauung, e che pensa che i suoi privilegi siano dei diritti. Finché non usciremo da questa pestilenza non ci sarà un minimo di equità. Finché ci saranno persone che pensano che l'unica cosa importante è che io debba avere quello che ritengo sia mio diritto e tutti gli altri si fottano non abbiamo speranza.

Quindi alla fine tutto si riduce a una questione di soldi. Amadeus pare gudagni 700 mila euro per la kermesse…
Certo. È sempre e solo questione di soldi. Al centro del Festival di Sanremo ci sono i soldi non la musica. E poi è una questione di dignità. Qualcuno ha sentito cosa pensino gli artisti di questa situazione? Io ho un mito, il direttore di orchestra giapponese Seiji Ozawa. Pare che una volta l'orchestra lo abbia contestato. Così ha eseguito tutta la sinfonia come se ci fosse l'orchestra, con tutti i gesti. Questo perché quello dell'arte, qualunque essa sia, è un lavoro. E nel lavoro ci deve essere anche un'etica. Io, come uomo di teatro, pago le tasse. Se qualcuno decide che l'arte non è più lavoro ce lo facciano sapere che non le pagheremo più.

Intanto oltre ai teatri è un anno che interi comparti, in particolare della cultura e della formazione, sono chiusi. Come le scuole, gli atenei, i musei e i cinema. Che segnale è?
Sarò molto sincero: io non credo più alla poltiica dei partiti. Per me sono dei gangli di potere di auto rappresentazione di coloro che ne fanno parte, per attribuirsi ruoli, lavoro e soldi. Non credo più che la politica sia fatta per il bene del Paese. Dopo 74 anni di militanza è la mia amara conclusione. La politique politicienne, come la chiamano i francesi, non ha più nulla a che fare con il bene comune, ma esclusivamente con il bene personale, di chi la esercita. Ci sono naturalmente alcuni galantuomini. Ma non solo loro a tirare la carretta.

E se dovessimo individuare qualcuno che tira la carretta in senso positivo, guardando al bene comune, dove guardiamo?
La figura morale più significativa di questi tempi è indiscutibilmente Papa Francesco. L'unica autorità planetaria sul piano etico. E poi tutti coloro che fanno volontariato. Guardiamo a Don Ciotti, Libera, Emergency, Amnesty International. Tutta quella gente che fa, rischia, si ammazza dio fatica per portare aiuto e conforto. La cittadinanza attiva. Ma non basta. Quando l'isocrazia, il governo degli eguali, è saltato per aria. L'elettorato e l'esercizio democratico del voto è solo strumentalizzato, privo di ormai qualunque significato. Avremmo bisogno di una rivoluzione culturale, ma non so dire come.

C'è poi da registrare il fatto che nonostante tutto proteste, occupazioni e manigfestazioni sono molto limitate…
La gente è sfinita. Molti sono stati educati a questo mondo che è perversamente facile. C'è internet, la tv, l'happy hour. È sparita una parte dello spirito di sacrificio per cui non andavi a fare il fine settimana ma stavi perché c'era bisogno di mantenere la posizione, di dare il tuo contributo. Basta guardare all'unico movimento di piazza che ha raccolto adesioni, le Sardine. Hanno avuto giusto un impatto sulle elezioni regionali dell'Emilia Romagna. Poi si sono dissolti. Non c'erano alla base idee, ideali e valori per cui battersi. Non ho soluzioni.

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