Famiglia

Molte parole, poco welfare

Ecco tutti i problemi dei bambini di cui non si parla alla conferenza in corso a Napoli

di Benedetta Verrini

«E’ difficile pensare a un sistema di welfare per i bambini nel nostro paese. C’è un welfare dei lavoratori, un welfare “femminile” per la parità delle donne, un welfare per gli anziani incardinato sull’assistenza pensionistica. Manca il welfare dell’infanzia, manca l’approccio delle “pari opportunità” tra le generazioni». Alla vigilia dell’apertura della Conferenza nazionale sull’infanzia, il professor Valerio Belotti, coordinatore scientifico del Centro nazionale di documentazione ed analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, nonché docente di Politiche per l’Infanzia dell’Università di Padova, ha curato la Relazione biennale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2008-2009.

La Relazione fotografa l’esistente, a volte difficile, su cui lavorare per la costruzione del Piano Infanzia, il documento programmatico biennale che deve essere adottato dal Governo per la promozione e la realizzazione di un welfare rispondente alle esigenze e agli interessi dell’infanzia e dell’adolescenza. Il Piano però manca dal 2004. Le sue Linee applicative dovrebbero essere anticipate proprio nella tre giorni che si apre a Napoli dal sottosegretario Eugenia Roccella. Per un documento vero e proprio bisognerà aspettare il 2010: l’Osservatorio nazionale per l’Infanzia ha già fatto il suo lavoro, presentando al governo una corposa bozza. Su di essa il governo si è riservato di dare l’ultima parola entro gennaio.

Nel frattempo, proprio con il professor Belotti, Vita ha cercato di analizzare le criticità e le prospettive della situazione dei bambini in Italia e delle politiche minorili.

Vita: Quali sono i punti critici delle politiche per l’infanzia in Italia?

Valerio Belotti: La questione del welfare è la premessa da cui discendono diversi ordini di problemi. L’Italia è uno dei paesi europei in cui si spende meno per la famiglia e dunque anche per l’infanzia. Gran parte della spesa sociale viene assorbita dall’assistenza pensionistica e questo crea uno squilibrio: è necessario ricalibrare le risorse tra anziani e giovani, tra le famiglie e le altre dimensioni del sociale. Detto questo, tra il 1996 e il 2001 c’è stata una bella stagione per le politiche per l’infanzia. Adesso quella spinta si è esaurita ma le cose fatte hanno lasciato segni positivi: è stato costruito molto in termini di servizi non solo per i bambini in situazione di emergenza ma anche per quelli che vivevano in condizioni ottimali. Si è lavorato per la promozione e non solo per la prevenzione e l’emergenza.

Vita: E oggi?

Belotti: La crisi economica che attraversa tutte le dimensioni del sociale ha investito anche il pubblico, con una progressiva diminuzione delle risorse. Ci troviamo di fronte a un fenomeno preoccupante: molti servizi nati a favore dei bambini chiudono, oppure restano aperti con personale ridotto e precario. L’aumento di contratti a termine o collaborazioni tra assistenti sociali, psicologi e operatori causa un turn over nelle strutture residenziali e in tutti gli altri servizi per i minori che provoca pesanti conseguenze sul piano relazionale per i bambini e per le loro famiglie. E poi, c’è un problema di discriminazione territoriale.

Vita: Un welfare differente da regione a regione?

Belotti: Ancora oggi, anzi sempre di più, nascere a nord rispetto a sud significa tantissimo per un bambino in termini di accesso ai servizi. L’Italia è divisa perché non sono ancora stati definiti i servizi di base che vanno garantiti in Veneto così come in Puglia. E in questo senso, purtroppo, non è sufficiente valutare quanto costano e dunque quanto si possa davvero garantire, ma sarebbe più opportuno ragionare in termini di bisogni, all’interno di un quadro progettuale che ancora manca. Comuni e regioni stanno facendo moltissimo, ma purtroppo in solitaria: dopo la riforma del Titolo V della Costituzione non vedo ancora un luogo d’incontro in cui si possano elaborare politiche nazionali capaci di dettare standard univoci e un linguaggio comune e condiviso.

Vita: Quali sono le emergenze nel settore infanzia?

Belotti: L’immigrazione è un fenomeno da affrontare urgentemente. Mentre cresce in modo esponenziale la quota dei bambini figli di stranieri in Italia non ci sono risposte per accoglierli nel modo adeguato. I nostri servizi sono stati concepiti negli anni Settanta, sono stati pensati per bambini italiani. Oggi nelle comunità residenziali un minore su 3 è straniero; in Toscana arriviamo a uno su due. Bisogna capire come accoglierli, stimolare la diffusione di figure professionali dedicate, come i mediatori culturali. Invece questo personale si va riducendo e lo svantaggio per i minori stranieri aumenta esponenzialmente: basti pensare alla situazione delle carceri minorili, dove gli stranieri non hanno accesso a misure cautelari o messa alla prova per mancanza di famiglia e strutture accoglienti.

Vita: Qual è la situazione dei minori fuori dalla famiglia?

Belotti: I dati dei minori fuori dalla famiglia, confrontati a quelli di 10 anni fa, mostrano un quadro inatteso. Gli affidi familiari per la prima volta hanno scavalcato la residenzialità in struttura (16mila contro 15mila, ndr). Anche grazie alla filosofia della legge 149 e a dispetto di tutto quello che si dice, l’affido familiare è aumentato del 60%.

Vita: Ma il numero complessivo dei minori fuori famiglia non è diminuito.

Belotti: Perché i posti che si sono liberati nelle comunità a favore dell’affido sono subito stati riempiti dai minori stranieri. E il fatto che sia cambiato il target delle strutture residenziali dovrebbe far riflettere e far sviluppare nuove politiche di sostegno.

Vita: Cosa pensa delle politiche di allontanamento denunciate nella copertina di “Panorama”?

Belotti: Dal 1998 al 2007 gli interventi di allontanamento familiare sono passati da 25mila a 32mila, ma l’Italia è il paese europeo che meno adotta questo tipo di soluzione: in Gran Bretagna gli allontanamenti sono tre volte tanto, in Danimarca 4 volte tanto, in Francia esattamente il doppio. Credo che la “crociata” di questo giornale contro i servizi svilisca profondamente il loro lavoro, che resta nell’ottica del rientro del minore nella sua famiglia d’origine. L’aumento dei casi, in questo decennio, coincide anche con un aumento dell’attenzione e della sensibilità sociale verso il benessere dei bambini. E il nostro paese, rispetto alla Ue, è quello dove i minori commettono meno reati, quello dove i giovani restano più a lungo legati alla famiglia, quello dove si decidono meno allontanamenti giudiziali. C’è una “tenuta” della famiglia, nonostante tutto, che rappresenta un valore da preservare.


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