Non profit

Moige e Fosi in guerra contro il cyber bullismo

Le due associazioni a sostegno delle famiglie presentano nella stessa giornata due progetti diversi che hanno uno scopo comune: aiutare i genitiori a contrastare efficacemente incitamento alla violenza, sexiting, hate speach e bullismo

di Vittorio Sammarco

Bullismo, incitamento alla violenza, sexiting, hate speach: sono i fenomeni che sempre più spesso stanno aumentando le paure di genitori ed educatori, quando vedono i nuovi strumenti di comunicazione usati dai minori in modo poco accorto. Perché molti adulti ne sanno poco, spesso non capiscono come funzionano, e quando si accorgono cosa vedono e cosa comunicano i propri figli, è tardi.

Ecco allora che alcune associazioni a sostegno delle famiglie si muovono (su terreni diversi) nella stessa giornata per presentare concreti progetti d’intervento. Il FOSI (Family online safety institute, in collaborazione con Tim) e il MOIGE.

La prima, organizzazione non profit internazionale (30 tra le principali Internet company e società di telecomunicazioni nel mondo tra i soci fondatori), che lavora per rendere il mondo online più sicuro per i bambini e le loro famiglie, punta il dito sull’uso scriteriato degli smartphones e rileva da una Ricerca che più del 95 per cento dei ragazzi tra i 9 e i 17 anni (in misura crescente) usa lo strumento per accedere a WhatsApp, Facebook e Youtube. Esponendosi così facilmente a contenuti violenti o razzisti (il 36% tra i 13-14 anni e il 44% nella fascia tra i 15 e i 17, dichiara di essersi imbattuto in questo tipo di messaggi almeno una volta). C’è poi il sexiting (lo scambio di messaggi di natura sessuale) che è un’altra situazione di rischio citata dai ragazzi, con il fenomeno che cresce al crescere dell’età (il 3% dei 11-12enni; il 7% dei 13-14; il 15% dei 15-17), coinvolgendo soprattutto le ragazze.

Il bullismo digitale sembra poco diffuso (solo uno su dieci ne parla) ma oltre i due terzi di chi ne è stato coinvolto afferma di aver sofferto molto o abbastanza quando è accaduto. Con alcuni casi, finiti in modo purtroppo drammatico e noto.

La ricerca inoltre dimostra quanto i genitori siano preoccupati e anche quanto gli insegnanti, che spesso vedono all’opera i ragazzi più di quanto non li vedano i genitori, siano poco attivi nella mediazione all’uso di internet e dei social, perché solo un docente su tre sa cosa dire e cosa suggerire.

Per questo le società attive professionalmente a veicolare i contenuti si propongono di “creare una strategia digitale affinché l’uso delle nuove tecnologie diventi principio fondante per l’inclusione sociale e lo sviluppo economico, con una vera creazione di valore per la comunità”, sviluppando – ha detto Giuseppe Recchi, presidente di Telecom Italia “strumenti e percorsi educativi rivolti ai giovani, ai loro genitori e ai professori, favorendo l’introduzione delle tecnologie digitali nelle scuole, per contribuire allo sviluppo di una maggior responsabilità e senso critico necessari a riconoscere i possibili rischi e pericoli insiti nell’uso delle tecnologie”.

E tra le tecnologie moderne ci sono – almeno quelle usate in modo diffuso dai giovanissimi – i videogiochi. Allarme, nulla contro i videogiochi in sé affermano al Moige, ma 4 minori su 10 usano quelli vietati ai 18, “con troppa indulgenza dei genitori e complicità dei venditori”. Da una ricerca su 1845 minori (11-18) i videogiochi non adatti sono acquistati nell’80 per cento dei casi presso negozi e la metà dei ragazzi che li compra dichiara di non aver visto alcun avviso che consigliava la visione ad un pubblico adulto. Sono violenti, comunicano scene pornografiche e aggressive, incitano all’odio e alla distruzione. Sebbene ancora non ci sia la certezza scientifica che generino comportamenti simulativi, la gran parte dei psicologi dicono che di certo andrebbe controllato il tempo e il tipo di uso che se ne fa (prevalentemente in casa, più che on-line, da soli o anche con la spinta reciproca e condizionante del gruppo amicale).

E per questo il Movimento Italiano Genitori sostiene la proposta di legge avanzata da un gruppo di deputati (trasversale a tutte le forze politiche, con in testa Antimo Cesaro e Valentina Vezzali, la campionessa di scherma ora deputata). Le “Norme a tutela dei minori in materia di diffusione e vendita di videogiochi violenti e/o pornografici”, si pongono alcuni obiettivi:

  1. Introdurre la classificazione europea sui giochi (PEGI) che prevede l’età minima dei videogiocatori da indicarsi tassativamente e con evidenza sul prodotto; l’indicazione dei contenuti e della possibilità di gioco a mezzo internet;
  2. I videogiochi privi di classificazione non possono esser distribuiti né pubblicizzati;
  3. I videogiochi +18 devono essere esposti separatamente dagli altri;
  4. I messaggi pubblicitari devono fare esplicito riferimento al divieto;
  5. Le sanzioni perché viola le norme (applicate in via amministrativa dall’Autorità garanzia per le comunicazioni) possono variare da 15mila a 100mila euro. All’accertamento delle violazioni prevede il prefetto.

Se qualcosa dovrà essere visto sul piano tecnico, sarà fatto in Commissione appena verrà calendarizzato il progetto, hanno detto i parlamentari. Ma si parte dal principio – ha sostenuto il direttore generale del Moige, Antonio Affinita – “è un comportamento indegno e irresponsabile quello di chi vende qualcosa di non adatto ad un minore, e vorremmo che fosse condannato sul piano mediatico oltre che normativo.”. “Perché – ha aggiunto – noi genitori abbiamo bisogno del contributo di tutti e non possiamo essere lasciati soli in questa importante sfida educativa”.

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