Non profit

Modello Milano: le fondamenta dell’abitare sociale

Una piattaforma comune fra coop e banche

di Daniele Biella

Nella fase iniziale si gestiranno un migliaio di alloggi.
Ma i numeri sono destinati a crescere Milano sarà la vetrina dell’housing sociale. E il terzo settore avrà le “chiavi in mano” della gestione di almeno 45mila nuove case low cost. È nel capoluogo lombardo che vedrà infatti la luce la prima realizzazione in Italia di alloggi a prezzo calmierato su vasta scala, finanziati da una parte dei due miliardi di euro che il governo, attraverso la Cassa depositi e prestiti, mette a disposizione dei Comuni che puntano sull’edilizia a scopi sociali. Che Milano stia facendo sul serio lo conferma la riunione indetta a metà aprile dall’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli, alla presenza di politici, costruttori, banche e privato sociale cittadino. Tutti concordi nel dare l’ok alla road map del social housing milanese, con la regola che chiunque voglia edificare in città dovrà dedicare il 35% della cubatura ad alloggi a canone agevolato. Per il definitivo via libera, bisogna ora attendere l’approvazione del nuovo Pgt, Piano di governo del territorio. Ma nel frattempo, dato il suo ruolo cruciale nel gestire i futuri edifici, il terzo settore si è già mosso creando una piattaforma dedicata ad hoc, composta da tre enti non profit ben radicati sul territorio, la cooperativa Dar casa e le coop sociali La cordata e La strada, e un partner finanziario, Banca prossima, propulsore dell’iniziativa.
Una rete «che entra in azione una volta edificato l’immobile, ognuno con le proprie competenze e le conoscenze acquisite finora», spiega Claudio Bossi, presidente di La cordata, che tra le varie attività ha in gestione dal 2003 il Villaggio Barona, composto da 85 appartamenti (in cui vivono 250 persone) in social housing. «Il nostro operato consiste nell’accompagnamento delle famiglie affittuarie su più livelli, dal pagamento delle rate alle relazioni tra vicini e con il tessuto sociale circostante», continua Bossi, «un’esperienza di housing sociale è completa quando è basata non sulla ghettizzazione ma sul mix abitativo (la compresenza di utenti in difficoltà economica e non, ndr) ed è capace di erogare servizi». Dialogo che è anche uno dei punti di forza della coop La strada, che da 30 anni lavora sull’accoglienza di famiglie in difficoltà e, in collaborazione con Aler e Comune, sulla regolarizzazione di quelle abusive: «La presenza di operatori del terzo settore permette di raccogliere le esigenze delle persone e nello stesso tempo di “scuoterle” a superare i problemi», aggiunge Gilberto Sbaraini, presidente di La strada. Al cui contributo si aggiunge quello della cooperativa Dar casa, il cui valore aggiunto è «l’esperienza nel recupero di centinaia di case di patrimonio pubblico e privato e nella successiva mediazione dei conflitti tra vicinato», spiega il presidente Sergio D’Agostini. «Lavoriamo in particolare con gli immigrati, che una volta ben inseriti passano dall’essere visti come problema a una risorsa in più del quartiere». Ma la piattaforma sarà in grado di gestire le 45mila case? «Iniziamo con numeri bassi ma ben fatti», aggiunge D’Agostini, «la prospettiva è di arrivare almeno a un migliaio di alloggi, con le forze attuali». La piattaforma, del resto, «è nata per promuovere l’incontro di buone pratiche di gestione, ed è quindi aperta a nuovi inserimenti», chiarisce Marco Morganti, ad di Banca prossima, che «erogherà credito senza garanzie al non profit e, tramite il proprio gruppo Intesa Sanpaolo, concederà protezione finanziaria alle famiglie in housing sociale».

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