Leggi
modello eas, cosa rischia chi non l’ha inviato
Vademecum per inadempienti e "ignoranti"
di Redazione
Gli enti associativi italiani sono 222.151. La maggioranza ha sede in Lombardia (31.868); seguono Lazio e Veneto (entrambe poco sopra quota 20mila), Emilia Romagna, Piemonte e Toscana; le più numerose sono le associazioni sportive (ben 73.150), seguite a distanza da quelle culturali (52.135) e dalle associazioni di promozione sociale (25.850). Questa la mappa del non profit italiano disegnata dal fisco grazie ai modelli Eas. Ma che succede a chi, pur dovendolo fare, non ha inviato il documento?La corsa alla presentazione del modello Eas è finita, anche se alcune proposte di prolungamento dei termini di invio sono comparse tra gli emendamenti al decreto Milleproroghe in esame al Senato. Comunque vada a finire c’è da chiedersi: e ora? Buio pesto. Poche certezze. Molti dubbi.
Partiamo da un assioma: non esiste una norma che dica che mi commineranno un euro di sanzione più interessi se, avendo l’obbligo di inviarlo, non l’ho fatto. Purtroppo, invece, la legge istitutiva dell’adempimento (art 30, Dl 185/08) dice qualcosa di peggio, ovvero che certe agevolazioni – persino il semplice incasso decommercializzato delle quote sociali – saltano, e pertanto la quota sociale diventa commerciale. Inoltre, è una conseguenza di questa norma, facilmente mi troverò ad avere soprattutto entrate di natura commerciali e quindi potrò perdere il profilo di ente non commerciale. A questo punto avrei preferito di gran lunga la sanzione e gli interessi!
Ricorso: istruzioni per l’uso
Cosa succede ora? Non l’ho mandato e avrei dovuto farlo. L’Agenzia delle Entrate fa un accertamento nei miei confronti e trova che io in realtà non evado un euro di imposte, che seguo le prescrizioni del 148 (Tuir) perfettamente (democraticità, assenza di scopo di lucro, rendiconto annuale ecc). Ma non ho inviato il modello Eas. Rispetto alle risultanze dell’accertamento l’associazione ricorrerà in Commissione tributaria. Con quali argomenti? Questo è il problema. Vediamo il caso di un ente che rientra in una di quelle categorie obbligate alla compilazione dell’Eas “ridotto”. Se la stessa Agenzia ha ammesso che la ragione per la compilazione ridotta risiede nel fatto che un tot di tipologie di enti comunicano già alle varie amministrazioni i dati fiscali (cfr art 6, legge 212/00, richiamato nella circ 45/09), si può affermare che la legge istitutiva dell’Eas afferma che il binomio obbligatorio 148 + Eas è necessario «al fine di consentire gli opportuni controlli» (art 30, c 1 Dl 185/08). Ma è dimostrabile che gli opportuni controlli potevano essere condotti sulla base dei dati già esperibili dall’amministrazione finanziaria; bastava che essa andasse a chiederli non già all’associazione ma alle singole amministrazioni pubbliche, al massimo chiedendo all’associazione di indicare quale amministrazione pubblica li detenesse.
Come dire che far saltare un’associazione di promozione sociale iscritta o un’associazione riconosciuta perché non ha mandato l’Eas è folle, irragionevole, contro l’interesse dell’amministrazione pubblica intesa nella sua globalità.
Ignorantia legis non excusat
E se l’associazione non fosse iscritta in alcun registro, albo ecc, e non avesse inviato l’Eas formato extra long? La risposta non può essere «non lo sapevo», come ben sappiamo. Un primo approccio potrebbe essere: l’Eas risponde ai requisiti di cui al comma 3, dell’art 6, della legge 212/00? A noi non sembra, infatti la legge afferma che: «L’amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione (?) siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.