Sostenibilità
Moda, è sempre il giorno del vestito buono
L'industria della moda è una delle più inquinanti del pianeta, soprattutto per quanto riguarda il fast fashion, che vende abiti a basso prezzo e dal consumo "veloce". In Italia e nel mondo però stanno nascendo sempre più realtà e certificazioni che garantiscono una filiera etica e sostenibile, rispettosa dei lavoratori e del pianeta
"I vestiti che preferisco", diceva lo stilista Pierre Cardin, "sono quelli che invento per una vita che non esiste ancora, il mondo di domani". E, in un pianeta stravolto dalle crisi climatiche, ambientali e sociali, il futuro della moda dovrà andare verso la sostenibilità. Alcuni brand stanno già proponendo un modo di confezionare abiti diverso, attento ed etico in tutta la filiera. È il caso di Altromercato, che ha da poco lanciato la nuova collezione Rise up on Earth PE22, che unisce diverse realtà italiane in un unico progetto rispettoso dei lavoratori, dei consumatori e della Terra in generale, e di alcuni marchi – come l’udinese Algonatural, specializzata in prodotti in cotone –, che hanno scelto di affidarsi alla certificazione Fairtrade.
La necessità di un nuovo modo di produrre vestiti parte da una considerazione: l’industria della moda utilizza circa 93 miliardi di metri cubi di H20 all’anno – il 4% di quella potabile esistente –, produce il 20% delle acque di scarico e il 10% delle emissioni globali. Si tratta di numeri altissimi: solo il settore dell’agricoltura richiede maggior impiego del prezioso oro blu. Il comparto della moda, in più, rilascia nell’atmosfera più CO2 di voli internazionali e trasporto marittimo insieme. Ma i costi non sono solo ambientali.
"Nella produzione di cotone", racconta Marisol Cifuentes, titolare di Algonatural, "spesso i lavoratori vengono sfruttati e sottopagati, non ci sono sindacati e vengono impiegati anche minori. Ci sono anche episodi di discriminazione nei confronti delle donne, che costituiscono la maggior parte della forza lavoro". È per questo che Fairtrade ha deciso di riconoscere – ed è l’unico standard a farlo – un prezzo minimo garantito e un extra, il cosiddetto Premio Fairtrade, per supportare i servizi alla comunità.
Le condizioni di sfruttamento non sono limitate a un solo anello della filiera, né a un solo Paese. I capi che arrivano sugli scaffali del fast fashion non provengono solo dal Bangladesh o dall’India, ma anche dall’Ungheria o dalla Transnistria, stato non riconosciuto al confine tra Moldova e Ucraina. "Questo sistema", racconta David Cambioli, referente di Altraqualità, uno dei marchi riuniti nel progetto On Earth di Altromercato (nella gallery alcuni capi della nuova collezione), nel settore da 20 anni, "ha impoverito generazioni di persone, messe a produrre un finto benessere per noi; ci vengono venduti dei beni spacciandoli per essenziali, quando in realtà non lo sono affatto. Rispetto agli anni ’80 ora viene commercializzato l’80% di vestiti in più, ma si tratta di un consumismo idiota e non necessario".
Per questi motivi uno degli slogan su cui le filiere etiche insistono da sempre è "Compra meno, compra meglio": è preferibile un abito di qualità a un prezzo un po’ più alto piuttosto che molti vestiti fabbricati con un costo sociale e ambientale enorme. La moda etica, però, non deve essere per forza difficile da scegliere e portare. "Uno dei motivi che ci hanno spinti a realizzare questa cooperative collection con il coordinamento di Altromercato", continua Cambioli, "è quello di ideare una proposta di prodotti etici ed equosolidali che sia interessante sia per le botteghe, che sono il nostro riferimento commerciale, sia per i consumatori. Si tratta di moda artigianale di qualità, tessuta con attenzione e in una quantità di pezzi limitata, al contrario di quello che accade nel fast fashion, dove a volte per convenienza economica vengono realizzati più capi di quelli effettivamente vendibili".
La collezione comprende sia vestiti che accessori, tutti realizzati all’interno di un sistema virtuoso e acquistabili nei negozi fisici e nel portale online di Altromercato. "Noi lavoriamo a stretto contatto con i produttori, nel Nord e nel Sud del mondo", afferma il referente di Altraqualità, "a cui chiediamo di rispettare determinati standard etici. Sviluppiamo relazioni prima di fabbricare merce: l’importante non è cosa facciamo, ma con chi lo facciamo. Le persone con cui collaboriamo, poi, devono garantirci un impegno su qualità e sostenibilità".
E, del fatto che gli abiti etici siano diversi, in termini di valore, rispetto a quelli della moda tradizionale, i consumatori se ne stanno accorgendo, anche grazie alla narrazione che viene fatta all’interno delle botteghe del commercio equo e tra i distributori virtuosi, come Algonatural. Marisol Cifuentes e suo marito hanno dato avvio alla loro impresa nel 2015, aprendo una piccola attività a Udine. "Il nostro è stato il primo negozio in Italia totalmente dedicato all’abbigliamento in cotone sostenibile, con una proposta completa, dal bambino all’adulto, dall’intimo alla maglieria", racconta la donna con orgoglio. In seguito i coniugi hanno deciso di sviluppare un’agenzia di distribuzione per promuovere, nelle boutique di tutto lo Stivale, le collezioni di moda etica. "Tra i commercianti",continua la donna, "sta crescendo la sensibilità verso i prodotti come i nostri, perché la richiesta da parte dei clienti sta aumentando. Chi si occupa di abiti sostenibili ha avuto persino minori danni dalle chiusure dovute all’epidemia di Covid-19: le persone che acquistano un certo tipo di abbigliamento continuano a richiederlo e a ricercarlo, perché si rendono conto del suo valore".
La qualità della moda etica non è legata solo al rispetto dei lavoratori e dell’ambiente, ma anche alla maggiore salubrità per chi la indossa. "Alcuni clienti", spiega la donna, "ci hanno raccontato che con i prodotti chimici all’interno delle t-shirt in cotone della grande distribuzione gli sono venute delle macchie sulla pelle, per cui hanno dovuto andare dal dermatologo. La differenza con le nostre magliette è evidente, anche in termini di odore: i batteri del sudore, quando vengono a contatto con le fibre naturali, non si attivano come accade con i capi della moda tradizionale e quindi non producono quel tipo di afrore che induce a cambiarsi anche dopo poche ore: a fine giornata, spesso, basta far prendere semplicemente aria agli abiti per poterli riutilizzare".
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