Mondo

Misure anti crisi L’Africa dà lezioni

«La reazione è stata migliore rispetto a quella di alcuni Paesi occidentali», sostiene Shanta Devarajan. Gli aiuti? «Sempre più efficienti, tagliarli un delitto»

di Joshua Massarenti

Crollo degli investimenti esteri, diminuzione delle rimesse, prezzi di materie prime in caduta libera e otto milioni di poveri in più. A due anni dall’inizio della crisi finanziaria, il quadro socio-economico dell’Africa è allarmante. Niente di sorprendente, verrebbe da dire, salvo poi scoprire nell’intervista rilasciata dal responsabile economico della Regione Africa presso la Banca mondiale, Shantayanan Devarajan, che la situazione è più complessa e, per certi aspetti, meno drammatica di quanto si possa pensare.
Vita: Nel 2008, le organizzazioni internazionali avevano previsto anni difficili per l’Africa. Pensa che queste previsioni si siano rivelate realistiche?
Shanta Devarajan: Penso di sì. Quando la crisi finanziaria è scoppiata, nel 2007, l’Africa è riuscita a salvarsi sfruttando la sua posizione marginale rispetto al sistema finanziario internazionale. Una volta che la crisi è diventata economica, le cose si sono complicate, e molto. Oggi è la regione più colpita dalla crisi.
Vita: Perché?
Devarajan: Innanzitutto il crollo brutale del flusso di capitale privato. Dopo aver raggiunto i 53 miliardi di dollari nel 2007, il volume complessivo dei flussi è sceso a 30 miliardi di dollari. Gli africani si sentono in qualche modo traditi da una crisi rispetto alla quale non hanno nessuna responsabilità.
Vita: Ci sono altre ragioni?
Devarajan: Il secondo motivo è legato alla diminuzione delle rimesse. Il flusso di rimesse inviate dai migranti africani aveva raggiunto i 20 miliardi di dollari nel 2008. Oggi si stima che ne 2009 le rimesse caleranno di otto punti percentuali. Poi c’è la caduta dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. Paesi come l’Angola, la Nigeria o il Gabon, le cui esportazioni petrolifere rappresentano l’80% del Pil nazionale, sono stati colpiti in pieno. Infine, l’ultimo motivo riguarda la diminuzione probabile dei fondi pubblici destinati agli aiuti allo sviluppo. Associando tutti questi fattori, non c’è da meravigliarsi se il tasso di crescita economica dei Paesi africani sia passato da una media del 4,8% nel 2008 all’1% nel 2009. Per i Paesi con basso reddito, l’1% equivale a un tasso del Pil pro capite negativo. In Africa la gente deve fare i conti con la morte, non soltanto con la disoccupazione. Secondo i nostri calcoli, otto milioni di persone scenderanno sotto la soglia della povertà, mentre tra i 30mila e i 50mila bambini moriranno prima di compiere l’anno.
Vita: Lei ha perorato a favore di una crescita degli aiuti all’Africa. Perché?
Devarajan: Sono a favore di un aumento degli aiuti per due motivi: i Paesi a basso reddito che non riescono ad accedere al mercato di capitali devono poter compensare il deficit fiscale provocato dalla crisi con l’apporto di risorse esterne; dall’altro lato, si pone la questione della produttività degli aiuti. Il clima positivo che nell’ultimo decennio ha accompagnato la politica economica in Africa – pensiamo al livello dell’inflazione, calato di metà rispetto agli anni 90 – ha migliorato la produttività degli aiuti. Con la crisi, i Paesi africani hanno deciso di proseguire con le politiche macro-economiche avviate dieci anni fa. Pensiamo alla Zambia, il cui deficit fiscale non supera il 2,5% del Pil, oppure alla Tanzania, protagonista di un piano di rilancio economico molto più prudente rispetto a molti Paesi occidentali. Il governo tanzaniano ha imposto un piano di sostegno finanziario molto rigido nei confronti delle banche nazionali – si parla di un sostegno che non supera i due anni, quando quelli di Barack Obama o di Gordon Brown non hanno scadenze temporali.
Vita: Questa reazione vi ha sorpreso?
Devarajan: Devo ammettere che alla Banca mondiale non ce l’aspettavamo. Temevamo che le riforme avviate dieci anni fossero state accantonate e che i budget nazionali sarebbero diventati fuori controllo, e invece sta accadendo il contrario. I policy-makers africani per primi sono convinti che senza un ambiente sano e senza l’adozione di riforme serie non si va da nessuna parte. L’Africa ha saputo reagire bene alla crisi. Per certi versi, ha reagito meglio rispetto all’Occidente, dove i deficit pubblici sono letteralmente esplosi.


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