Cultura

Mister O’Dell, fantasma d’America

Pena di morte. Cosa è cambiato negli Stati Uniti dopo l’esecuzione del condannato sepolto a Palermo

di Paolo Mastrolilli

«Il Papa è intervenuto a favore di Joseph O?Dell preoccupandosi di difendere la vita, che appartiene solo a Dio, e appellandosi alla sfera più alta dell?essere umano. Infatti ha evitato di entrare nel merito della vicenda giudiziaria del condannato. In Italia, però, molti altri hanno impostato la campagna per salvare il detenuto della Virginia sulla sua presunta innocenza, e l?eco che hanno avuto negli Stati Uniti è stata praticamente nulla. Qualunque cittadino americano si sorprenderebbe se venisse a sapere il rumore provocato nel vostro Paese dal caso O?Dell, considerato uno dei tanti condannati a morte, e non riuscirebbe a comprenderlo per una chiara differenza culturale».

È il bilancio, forse amaro ma certamente realista, fatto da Mary Ann Glendon, professoressa di Harvard. La nota giurista, membro del Pontificio Consiglio per i laici e del Comitato Centrale del Grande Giubileo dell?anno Duemila, ha vissuto la vicenda con gli occhi del cittadino americano legato anche all?Italia, e ne ha notato le contraddizioni pur apprezzando lo sforzo.
La campagna a favore di O?Dell non ha colpito gli americani, e i pochi osservatori interessati l?hanno interpretata come un nuovo scontro fra innocentisti e colpevolisti, mentre i titoli dei giornali sono andati più facilmente alla Conferenza episcopale di Washington che, nello stesso periodo, ha chiesto invece di risparmiare la vita al supercolpevole Timothy McVeigh, condannato per la terribile strage di Oklahoma City. «Se uccidere è sbagliato», hanno affermato i vescovi «lo è anche quando si tratta di un colpevole».

Ma perché, aldilà del caso O?Dell, le esecuzioni restano così popolari negli Stati Uniti? «È una domanda», afferma la Glendon «che genera diverse ipotesi, ma nessuna risposta certa. Probabilmente la spiegazione principale sta negli alti indici della criminalità americana e nelle politiche troppo permissive per l?acquisto di armi. La gente si sente insicura, accusa il governo di non fare abbastanza per proteggerla, e come reazione invoca la pena di morte. ».

Non esistono anche delle ragioni culturali? «La pena di morte è un fenomeno pieno di contraddizioni, legato anche alla storia del nostro Paese, e soprattutto alle abitudini regionali. Ad esempio c?è una fascia di stati del New England che non hanno le esecuzioni, anche se a giudizio dei sondaggi la maggioranza dei cittadini del Massachusetts sarebbe favorevole. Poi ci sono alcuni Stati che hanno la pena di morte solo sulla carta, perché non la applicano mai, e infine ci sono molti Stati del Sud che guidano le statistiche sulle esecuzioni».

Perché il Sud è così favorevole?
«Nel caso del Texas, la ragione sta nella sua storia. Si tratta di uno stato di frontiera, che si è unito tardi agli altri. Ha vissuto da protagonista l?epopea dell?espansione verso ovest, e allora la giustizia veniva amministrata praticamente su base privata, opponendosi con le proprie armi alla criminalità dilagante. La pena di morte era quindi una pratica ovvia, e oggi è molto difficile sradicare questa abitudine mentale. Altri stati del sud come la Florida, la Louisiana e la Virginia, hanno invece vissuto storie diverse, e forse sono rimasti influenzati anche dal conservatorismo schiavista».

Non ci sono anche delle distinzioni fra le varie forze politiche?
«In teoria i repubblicani più conservatori sono maggiormente favorevoli alle esecuzioni, mentre i democratici più liberal si oppongono, ma il caso del presidente Clinton dimostra che non è possibile generalizzare. Il capo della Casa Bianca è cresciuto in uno stato del Sud, l?Arkansas, dove la pena di morte è appoggiata dalla stragrande maggioranza delle persone, ed ha sicuramente subito questa influenza durante la sua educazione. Inoltre il fattore della convenienza politica è molto importante: in stati come l?Arkansas, candidarsi ad una carica pubblica opponendosi alla pena di morte vuol dire in pratica condannarsi alla sconfitta. Al Nord ci sono state eccezioni, come l?ex governatore di New York, Cuomo e l?ex governatore del Massachusetts, Dukakis, che hanno corso anche dei rischi politici pur di sbarrare la strada alle esecuzioni. Ma purtroppo la tendenza al sostegno sembra in rapida diffusione fra i politici di tutto il Paese, come facile strumento per dimostrare la propria determinazione a combattere in modo deciso il crimine».

Gli Stati Uniti hanno anche una forte tradizione protestante e calvinista. Lei pensa che questo fattore possa aver inciso sulla disponibilità ad accettare l?eliminazione di una vita come pena possibile?
«In teoria, i protestanti dovrebbero essere un po? più favorevoli alla pena di morte dei cattolici, ma nella pratica è molto difficile fare generalizzazioni. Per la mia esperienza personale, ad esempio, posso dire che in genere i protestanti del New England sono contrari alla pena di morte. Lo stesso vale per i cattolici, anche perché il Papa ha detto chiaramente di essere contrario, così come ha fatto la Conferenza episcopale americana. La dottrina della Chiesa però lascia aperto un minimo spiraglio alle esecuzioni, e anche se lo definisce praticamente inesistente, qualche cattolico lo usa per sentirsi a posto con la propria coscienza».

La maggioranza dei sociologi, tuttavia, sostiene che la scarsa deterrenza della pena di morte contro il crimine è provata. Questa non sarebbe una ragione sufficiente per avviare un dibattito serio nel paese contro le esecuzioni?
«I sostenitori delle esecuzioni rispondono alle obiezioni sulla scarsa deterrenza dicendo che in realtà negli Stati Uniti non esiste la pena capitale perché viene applicata in casi sporadici. Cinquanta uccisioni all?anno, che pure sono un numero alto, rappresentano una piccola percentuale rispetto agli oltre 3 mila condannati presenti nei bracci della morte e a tutti gli altri criminali che potrebbero ricevere lo stesso trattamento. Quindi i sostenitori della pena chiedono di applicarla a tappeto, prima di giudicarla tramite le statistiche».

Sembra quasi di capire che al momento non esistano vie d?uscita.
«Probabilmente bisogna puntare prima di tutto ad una riduzione della criminalità. Una volta che gli indici saranno scesi, e la gente tornerà a sentirsi più sicura, allora diventerà possibile affrontare con efficacia il problema, eliminando tutte le ragioni strumentali a sostegno della pena di morte ».

L’opinione di Scott Wilson
O’Dell? Non so chi è

La questione della pena di morte è molto grave e suscita discussioni accese e prese di posizione opposte, che hanno la capacità di dividere profondamente gli animi. Non credo di poter esprimere una posizione definitiva, assoluta. Se un mio familiare venisse ucciso in modo orribile credo che non avrei dubbi, anche se so che la pena di morte non è e non è mai stato un deterrente per la criminalità. Credo che il film a cui ho partecipato, ?Dead man walking?, abbia presentato il problema nei suoi due aspetti, pro e contro, permettendo allo spettatore di conservare una doppia lettura del fenomeno. Joseph O?Dell? Chi è? No, mi dispiace, non lo conosco. Quando è stato giustiziato? Poche settimane fa? Non lo sapevo. Comunque il rischio di giustiziare un innocente esiste sempre, ed è terribile. Per questo la discussione attorno alla pena di morte è utile, non certo una perdita di tempo. La Corte Suprema, qui negli Stati Uniti, ne discute spesso, e credo che abbia cambiato parere centinaia di volte sull?argomento. Anche noi dello show business ce ne dobbiamo occupare, per tenere vivo l?interesse e far riflettere il pubblico. Anche se credo sia importante farlo innanzitutto con la nostra arte più che con dichiarazioni sui giornali.

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