Formazione

Missione in Iraq, Bedin: “Vi spiego perché ho votato e ho votato no”

Il senatore, capogruppo della Margherita in commissione Difesa, affida al suo sito le ragioni del suo voto. Un no per ricominciare con gli iracheni e l'Onu

di Benedetta Verrini

“Cari amici, ho votato “no” alla proroga dell’intervento militare italiano in Iraq”. Così il senatore Tino Bedin, capogruppo della Margherita in commissione Difesa al Senato, aveva già anticipato sul suo sito (www.euganeo.it) il suo “no” al decreto che proroga l’intervento italiano. “E’ una spinta a ricominciare” sottolineava già l’8 febbraio, “A ricominciare con gli iracheni, con le Nazioni Unite, a fianco dell’America che vota contro la guerra”. Coerente con queste posizioni, ieri ha partecipato al voto sul rifinanziamento delle missioni italiane all’estero e ha votato no. “Non c’era in discussione neppure un emendamento di senatori della maggioranza: tutto perfetto in Iraq, tutto uguale a sei mesi fa, nessun dubbio. La strage di Nassiriya è come non ci fosse stata. Il sacrificio dei militari italiani caduti e delle loro famiglie è citato per tuonare che non si può indietreggiare; viene anche utilizzato per zittire chi, come me, propone di cambiare la natura della nostra missione, per evitare che i militari italiani finiscano per essere confusi con gli occupanti e patiscano da questo giudizio altre conseguenze” ha scritto, riflettendo sull’andamento della discussione in commissione. “La maggioranza non ha voglia di parlare dei nostri militari, perché accettare la discussione significherebbe farsi venire qualche dubbio sulla scelta di partecipare all’intervento unilaterale in Iraq, interrogarsi sulle ragioni della nostra presenza attuale, fare quello che persino gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno facendo: promuovere un’inchiesta sulle informazioni fasulle, ora che tutti ammettono che l’Iraq non aveva armi di distruzione di massa. Significherebbe andarsi a rileggere le sicurezze esposte in Parlamento da Berlusconi, da Frattini, da Martino a proposito di Saddam Hussein e chiedere loro chi li ha imbeccati”. “Contraddicendo il comportamento tenuto sei mesi fa” prosegue Bedin, “il governo ha messo in un unico decreto sia l’intervento in Iraq che le altre numerose missioni internazionali. La finalità è fin troppo chiara: tutti i circa novemila militari italiani impiegati all’estero devono “difendere” la decisione del governo si stare in Iraq; votare contro il decreto significherebbe votare contro anche agli interventi in Kosovo o in Palestina”. “Votare contro il decreto significa tra l’altro votare contro un governo che utilizza persone generose quali sono i militari italiani all’estero non per dare una mano a popolazioni in difficoltà, ma per creare difficoltà alle opposizioni. Ho votato “no” al decreto per rispetto di tutti i nostri militari”. “C’è chi ci invita a prendere atto che i nostri militari “ormai” sono in Iraq. C’è chi mette in risalto la condizione della popolazione irachena in assenza di un potere efficace. C’è chi continua a dire che non bisogna lasciare soli gli americani (e non sai mai se lo dicano perché amano gli Usa o perché li temono). Credo che il bene dell’Italia, il bene dell’Iraq, il bene degli Usa si raggiungano con meno difficoltà e meno tragedie se si ricomincia da capo, in molti, insieme con gli iracheni. Per ricominciare una strada insieme, bisogna dichiarare che quella che si è intrapresa in maniera solitaria ed avventurosa è finita. È finito anche l’intervento italiano. Si vota “no” alla proroga. Si riparte”. “Io voto “no” anche perché partecipo alla campagna elettorale di John Kerry. Quella di stare con John Kerry è una scelta mia, personale. A voi lo dico, perché molti tra noi desiderano “stare con gli americani”, con i valori della Costituzione americana, nella quale non c’è la “democrazia da esportazione”. Molti tra noi, ormai tanto tempo fa, hanno cominciato pensato alla loro comunità “convinti” da JFK che ci sia sempre “una nuova frontiera”.


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